Quando Miyazaki rubò Lupin

Per chi, come me, è cresciuto negli anni ’90 pranzando non solo con la giornaliera pasta della mamma, ma soprattutto con i mitici cartoni della serie animata di Lupin III, la visione di questo film, intitolato Lupin III – Il Castello Di Cagliostro, opera prima del maestro dell’animazione Hayao Miyazaki, rappresenta una svolta per un personaggio che finalmente acquisisce ai nostri occhi una personalità poliedrica, mettendo in secondo piano -ma non abbandonando assolutamente- i temi più leggeri e scanzonati preponderanti nella serie animata.

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Tutti ricordiamo quel ladro mascalzone, discendente del suo omonimo avo francese, che come lui si dilettava in truffe e furti impossibili. Accompagnato dai fedeli compagni Jigen e Goemon, con astuzia e molta irresponsabilità riuscivano -o meno, a volte- nelle loro imprese, scontrandosi con i doppiogiochismi di una delle femme fatali per eccellenza, Fujiko Mine, e con il duro ed esperto ispettore Zenigata, sempre e comunque al suo inseguimento.

Nonostante nessuna di queste pietre fondamentali del personaggio manchi all’appello nel film, ciò che Miyazaki aggiunge di suo riesce a farci entrare ancor più nelle profondità emotive di un personaggio che pensavamo ormai di conoscere fin troppo bene.

Il film inizia con un normale evento di routine per i nostri amici ladri, in fuga su una -ormai iconica- Fiat 500 dalla città di Montecarlo, carichi di soldi rubati e inseguiti dalla polizia locale. Arrivati sulle rive di un lago al confine del paese incontrano una giovane donna, Clarisse, fuggitiva da un castello dove il Conte Cagliostro la tiene prigioniera, attendendo che essa raggiunga la maggiore età per poterla sposare. Il motivo di ciò è puramente economico, essendo la loro unione necessaria al fine di recuperare il leggendario tesoro perduto della loro antica casata. Incuriosito dalla figura del conte, che gestisce segretamente nel suo castello una fabbrica di soldi falsati, Lupin entrerà strettamente in contatto con Clarisse, tentando di sottrarla dalla sua prigionia per beffarsi apertamente del malvagio conte, ma guidato altresì da motivazioni sconosciute legate ad eventi del suo passato. Il rapporto tra Lupin e Clarisse è proprio il fulcro emotivo dell’intera vicenda: lei è affascinata dal ladro gentiluomo e vorrebbe fuggire con lui per vivere una nuova vita, mentre Lupin, affabile ma in modo leggermente più romantico e crepuscolare di come siamo abituati a vederlo, cerca di convincerla del contrario, considerando il suo stile di vita troppo pericoloso per lei.

Zenigata svolge stavolta un ruolo più che fondamentale nelle vicende: abituati a vederlo relegato –la maggior parte delle volte- al ruolo di macchietta comica si rimane piacevolmente stupiti ed alla fine persino emozionati dalla sua figura, rappresentante la pura ed inossidabile forza della giustizia, quella che non si piega mai a niente a nessuno, tanto più alle macchinazioni politiche che spesso la intralciano nel mondo reale. Perché anche in quest’opera il regista e sceneggiatore -così come nei suoi film a venire- cerca di farci aprire gli occhi sulla nostra realtà, marcia nel profondo, soprattutto quando si parla di soldi. Lo capiamo apertamente nella scena in cui dei superiori dell’Interpol negano al retto ispettore il permesso di indagare sulle malefatte del Conte Cagliostro, essendo la sua influenza politica troppo importante e potenzialmente pericolosa per la “pace internazionale” per poter essere disturbata.

Miyazaki mette dunque molta della sua poetica in questo film, rendendo tutto più profondo, ma senza mai rinunciare all’epicità che il personaggio del ladro porta sempre con sé. In modo soprattutto visivo, l’opera è suggestiva e ammaliante, dall’ambientazione mitteleuropea, passando per i tenebrosi anfratti del misterioso castello di Cagliostro, fino ai rocamboleschi inseguimenti in macchina o a piedi dei nostri protagonisti. Nei personaggi scorre una linfa sempre in bilico tra la gioia e la tristezza, la speranza del successo e la solitudine di una sconfitta, rendendo molto più immediata l’immedesimazione anche per chi ormai è cresciuto e non si accontenta più di personaggi e trame facili e smaliziate.

Quando infine il tesoro della casata verrà rivelato, ci troveremo spiazzati e sorpresi. Forse alcuni di noi si sentiranno anche un pochino in colpa per non aver dato più attenzioni a ciò che realmente ci rende ricchi, non come singoli individui ma come genere umano.
Chi ancora non ha visto questo piccolo grande film sarà forse un po’ confuso da quest’ultima frase: per capire ciò di cui sto parlando non vi resta che fare una cosa sola.
Guardatevi il film, e guardatevi intorno. In entrambi i casi vi troverete di fronte a delle piccole meraviglie.

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