Trafitture. Le frecce di Antonello da Messina, Frida Kahlo e Marina Abramovich

Anche il #martedìarte di questo mese si adegua alle frecce di San Valentino, quelle di Cupido e quelle dei vostri amici single.  Eccovene alcune che hanno trafitto o stanno per farlo − e chi se ne importa del dolore, o quasi, se riescono comunque a rimanere così belle.

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I volti che stiamo per guardare fanno trasparire poco o nulla. Hanno espressioni concentrate o impassibili, come se il dolore fisico che stanno subendo quasi non li riguardasse più, ma rimanesse in loro la volontà di continuare ad attestarlo agli altri. Memento pati. Perché queste non sono frecce mortali, il loro scopo non è porre fine alla vita, ma prolungare la sofferenza: quelli a cui assistiamo sono tre martirî in tutto e per tutto, per amore dell’essere vivi e dello stare con gli altri, e questo non fa che accrescere ai nostri occhi  la loro innocenza.  San Sebastiano ha gli occhi rivolti al cielo: lì c’è la causa della prova che sta affrontando e il premio che lo attende. Lo sguardo fisso e mesto della Frida−cervo ci rivela che, anche dopo decenni di continue operazioni, è pronta a sperare ancora − e a essere delusa un’altra volta, bloccata nella trappola insensata in cui si trova e rimane, sempre.  Lo sguardo di Marina è diretto e fermo negli occhi di Ulay, perché bisogna fissare chi ci ferirà e allo stesso tempo confermargli che «sono qui con te mentre non ci facciamo male».

 

San Sebastiano, Antonello da Messina (1478 circa)

Antonello_da_Messina_018 Il dipinto racconta il martirio di Sebastiano, ufficiale romano che fu per la propria fede cristiana e il proselitismo condannato a morte dall’imperatore Diocleziano; in particolare, il momento in cui tutti, credendolo agonizzante e ormai prossimo alla morte , lo lasciano solo, ancora legato*.
Sebastiano è uno dei soggetti con frecce annesse più riprodotti nella storia dell’arte − giusto Cupido gli dà del filo da torcere, segue buona (e bella) Artemide. Inoltre, l’iconografia di questo Santo è stata sicuramente uno degli escamotage più utilizzati dai pittori perché potessero continuare, in un contesto accettato e promosso dalle committenze religiose, lo studio e la rappresentazione dell’anatomia classica, spesso concretizzata nelle forme dell’efebo e dell’atleta − quindi del corpo maschile nudo (o quasi) e proporzionato. In più, questo dipinto offre la possibilità ad Antonello da Messina di mostrare la lezione appresa da Piero della Francesca, unendo il corpo−colonna reso celebre nel Battesimo di Cristo (1440-60) o nella  Flagellazione (1470) con un’architettura assolutamente contemporanea, come quella della Città Ideale (il cui autore ancora rimane sconosciuto, anche se il nome di Piero della Francesca è tra i tre papabili).
( cheeky one: San Sebastiano, anche se la Chiesa non conferma, è protettore e intercessore della comunità omossessuale. Probabilmente per questo è uno dei soggetti preferiti di Pierre et Gilles: 1, 2, 3, 4, 5 )

 

Il cervo ferito / Il cerbiatto / Sono un cervo, Frida Kahlo (1946)

Per tutta la vita, Frida ha fatto della propria condizione di infermità − fisica, mentale, prolungata, momentanea che fosse in quello specifico momento − un’occasione di autoriflessione continua, che trova sfogo artistico nella forma dell’autoritratto, che è sempre caratterizzato da un volto composto e neutrale, perché il racconto è affidato al resto del quadro. Per fare un esempio conosciuto, in Autoritratto con collana di spine e colibrì (1940) l’espressione è impassibile, anche se il divorzio con Diego Rivera è appena avvenuto e sono i particolari a rivelarcelo (oltre che la datazione, ovviamente): il colibrì morto è un ironico riferimento alla credenza popolare per cui portassero fortuna in amore, mentre la scimmietta è un animale da compagnia che Diego le aveva regalato qualche tempo prima; Frida indossa a mo’ di collana la corona di spine di Gesù, come simbolo di sacrificio, ma ha tra i capelli delle farfalle, simbolo di resurrezione.
Nei quadri non lesina nemmeno la propria sofferenza fisica: i suoi aborti, le cicatrici, i dispositivi ortopedici non possono essere esclusi dalla sua arte, perché l’hanno portata a dipingere. È un omaggio dovuto − e ci spezza comunque il cuore. Lo stesso anno de Il cervo ferito, il ’46, Frida aveva infatti subito l’ennesima operazione alla schiena in un ospedale di New York; tornata in Messico, tuttavia, il dolore tornò a farsi sentire, accompagnato da una nuova fase depressiva. Il cervo, simbolo di eleganza, prudenza e velocità, è tutto il contrario di come si sente Frida mentre lo dipinge − usando per altro come modello Granizo. Il corpo è quello di una cerva ancora giovane, mentre l’impalcatura delle corna è maschile, solida: scrisse in una lettera indirizzata ad Alejandro Gómez Arias nel settembre del ’26, dopo l’incidente con l’autobus che li aveva visti entrambi coinvolti, che «è come se avessi imparato tutto in una volta, in pochi secondi. Le mie amiche, le mie compagne si sono fatte donne lentamente. Io sono diventata vecchia in pochi istanti».
Sullo sfondo, in lontananza, il cielo si sta finalmente rischiarando mentre le nuvole tempestose si diradano, ma il cervo non può vederlo.  Sotto le sue zampe e accanto al proprio nome Frida ha scritto la parola carma.

il_piccolo_cervo

Il pretesto per quest’opera è farne un regalo di nozze per una coppia di amici. Il messaggio che accompagna il dipinto è scritto su due lati di un fazzoletto:

“Ahi les dejo mi retrato, por que me tengan presente, todos los dias y las noches, que de ustedes, yo me ausente. La tristeza se retrata en todita mi pintura pero así es mi condición , ya no tengo compostura […] “solito andaba el venado rete triste y muy herido, hasta que en arcady y lina encontro calor y nido”
(Vi lascio il mio ritratto perché vi ricordiate di me, tutti i giorni e le notti, ora che sono lontana. La tristezza è ritratta in tutte le mie opere, perché è questa la mia condizione, e io non ho | la parola compostura può significare sia ritegno sia rimedio |. […] il cervo camminava da solo, triste e seriamente ferito, finché non trovò in Arcady e Lina il calore e un nido.)

( cheeky one: a questo punto, ovviamente. )

 

 Rest Energy, Marina Abramović  con Ulay (1980)

Di Marina e Ulay ho parlato tantissimo, anche di questa performance in particolare. È la rappresentazione fisica della tensione psicologica che l’affidarsi completamente all’altro, anche ( e soprattutto) nella possibilità di essere feriti, comporta. Nessuno dei due può cedere, altrimenti avverrà la catastrofe. C’è complicità anche nel dolore.
( cheeky one: guardate cosa c’è in Worry Fills My Heart degli Spring Offensive:

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  )

*È (santa) Irene ad accorgersi che è ancora in vita e a curarlo dalle ferite. Una volta ripresosi, Sebastiano non si arrende alle persecuzioni e si reca al cospetto degli imperatori Massimiano e Diocleziano per ribadire ancora una volta la propria fede; quest’ultimo ordina come castigo la flagellazione e che le spoglie di Sebastiano vengano gettate in segno di disprezzo nella Cloaca Maxima. Tutto molto bello (si fa per dire), se non fosse che Diocleziano non è mai stato a Roma: tutte le agiografie in nostro possesso che si occupano di questa storia sono quindi da considerarsi spurie.

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