Sarebbe bello dire cosa vogliamo, dopo aver detto quello che non vogliamo

Oggi è l’Earth Day (www.earthday.org) che quest’anno compie 46 anni. 534b3ae08bbf4.image

Eppure oggi leggiamo l’emergenza Pfas (Sostanze perfluoro alchiliche), un gruppo di composti prodotti per decenni dalla fabbrica chimica Miteni di Trìssino nel vicentino e usati per l’impermeabilizzazione di pentole e tessuti. L’assessore alla Sanità ha dichiarato che sono più di 60.000 le persone contaminate dalle sostanze cancerogene nelle acque. La denuncia arriva da Iss (Istituto Superiore di Sanità), Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità ) e da Domenico Mantoan, direttore generale della Salute del Veneto.  Gli effetti delle sostanze contestate sono colesterolo alto, ipertensione, alterazione dei livelli del glucosio, effetti sui reni, patologie della tiroide e tumore del testicolo e del rene, nei soggetti iper esposti a causa della zona più colpita (tra i comuni di Montecchio Maggiore, Lonigo, Brendola, Creazzo, Altavilla, Sovizzo, Sarego, in provincia di Vicenza) a causa dell’inquinamento. L’Unione Europea sta elaborando, sulla base del caso veneto, una direttiva che imponga minuziosi controlli sui Pfas nell’acqua.

Domenica scorsa invece, siamo stati chiamati a votare sull’abrogazione della proroga delle concessioni ai giacimenti attivi a meno di 12 miglia nautiche dalla costa. Ne abbiamo parlato con Beatrice Ruggieri in Verso il 17 Aprile tra Sì, No e molto silenzio17 Aprile – per cambiare basta un SI. Dato il risultato del Referendum, la norma rimarrà in vigore così com’è, ovvero l’attività di estrazione potrà continuare fino all’esaurimento del giacimento. La tendenza che vede uno spostamento dalle fonti energetiche fossili a quelle “pulite” verrà rallentata o arrestata. In particolare il gas (e in parte anche l’estrazione di petrolio) continuerà ad avere un peso significativo nel mix energetico del nostro Paese. Nei mari italiani sono presenti 135 piattaforme. Il quesito referendario riguardava la maggioranza, infatti 92 piattaforme si trovano entro le 12 miglia dalla costa, in particolare al largo dell’Emilia-Romagna, Marche e Abruzzo. L’attività estrattiva riguarda in particolare gas, solo 4 piattaforme sono attive nell’estrazione del greggio, nel canale di Sicilia e nella zona dell’Adriatico centrale. Le concessioni fatte alle lobby del settore Oil&Gas invece sono 48 e valgono per più piattaforme, lo spiega Assomineraria che è l’Associazione Mineraria Italiana per l’Industria Mineraria e Petrolifera. Solo 79 piattaforme su 92 sarebbero attive con una produzione elevata, parliamo di 2,7 miliardi di metri cubi di gas (il 60% del totale della produzione nazionale) e 4 milioni di barili di petrolio (il 73% del totale prodotto in Italia).

Secondo i dati di Greenpeace, differenti dai primi dati, 35 delle 88 piattaforme esaminate hanno esaurito totalmente il loro ciclo industriale, altre 6 piattaforme risultano non operative e 28 sono classificate come non eroganti. Di quelle operative, invece, solo 24 piattaforme registrano una produzione degna di nota. Il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, negli ultimi giorni, ha dichiarato che le piattaforme non produttive verranno smantellate dai petrolieri. Io-ci-tengo_treeimageSi è parlato molto del rischio dei posti di lavoro nel settore, ma le opportunità che potrebbero aprire le rinnovabili non sono da sottovalutare. Di certo (e per fortuna!) la ricerca degli ultimi anni è rivolta alle rinnovabili (solare, eolico, non mancano studi innovativi su onde, sabbia e alghe). In Sicilia si stanno installando impianti solari termodinamici che sono in grado di ricavare l’energia immagazzinata dalla sabbia di giorno per utilizzarla di notte. Quel che è rassicurante è che le fonti rinnovabili coprono circa il 35% della produzione nazionale di elettricità, corrispondente al 17,3% dei consumi di energia. Ricordiamo che l’Europa ha fissato per il 2020 l’obiettivo del 17%. Tra le rinnovabili, il settore che è cresciuto più in italia è il solare: ha avuto una crescita di 10 volte in 5 anni. Se nell’ultimo decennio la nostra dipendenza dall’importazione di idrocarburi è diminuita si deve a questo, non al gas estratto nei mari italiani.

Quel che è certo è che in cambio del diritto di estrazione degli idrocarburi, la somma di denaro che le compagnie petrolifere pagano allo Stato (royalties) corrisponde al 10% del valore della quantità di petrolio e gas estratti a terra, al 7% per gas e al 4% per petrolio estratto in mare. La tassazione del nostro Stato è molto alta rispetto alla media europea, corrispondente al 63,9%, seconda a Regno Unito e Norvegia (che ha tasse specialmente alte per chi estrae). Inoltre il più grave incidente legato alle trivellazioni in Italia è del 1965 al largo di Ravenna durante la costruzione di una piattaforma su un pozzo di metano. L’incidente causato da un’esplosione costò la vita a 3 persone. Esistono poi dei piccoli sversamenti di petrolio dalle piattaforme (è di appena qualche giorno fa la notizia del guasto di una piattaforma a soli 7 chilometri dalle coste delle isole Kerkennah, in Tunisia, causata da un malfunzionamento con fuoriuscita di petrolio, che va a colpire un habitat profondamente legato a pesca e turismo.  A un centinaio di chilometri si trova Lampedusa). Risultano in ogni caso maggiori i versamenti dalle petroliere che solcano il Mediterraneo, peggio se coinvolte in incidenti. In questi giorni al largo di Varazze, già in spiaggia a Pegli, si vedono gli effetti del petrolio causato dallo sversamento del 17 Aprile da una condotta del deposito della raffineria Iplom , mentre si stava effettuando il trasferimento di grezzo da una nave nel Porto Petroli di Multedo.

Quello che mi chiedo da giorni sul Referendum è ma eravamo davvero pronti ad affrontare questo argomento? Un referendum è lo strumento migliore per dibattere pubblicamente le scelte di politica energetica? Non se ne dovrebbe occupare il governo? Vero è che l’informazione sul Referendum è stata ignorata dai mass media praticamente. Un esperto dall’Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Davide Scrocca, ha recentemente dichiarato: “Non possiamo fare a meno dei combustibili fossili ancora per diversi anni. Però possiamo ridurli a partire dai più inquinanti nell’ordine: carbone, petrolio e metano”. Al di là delle conoscenze anche tecniche in questo caso  e della nostra coscienza ecologica sopita o meno, l’intenzione del referendum era chiara: fermare la corsa a estrarre idrocarburi vicino alle coste italiane e innescare un dibattito sulle alternative energetiche. Il referendum ha rimandato a questioni di fondo: la politica energetica futura del paese, gli impegni assunti dall’Italia per limitare le emissioni di gas di serra che alterano il clima, la sua politica industriale. Ora dobbiamo seriamente pensare se si tratta di abbandonare nell’arco di trent’anni i combustibili fossili, che generano emissioni di gas serra, e investire in energie rinnovabili. Cambiare le fonti di energia ma anche il modo di usarle, investire in efficienza e risparmio. È solo del 2014 il D.Lgsl. n. 102 del 4 luglio 2014 volto ad attuare la direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica, che prevede numerose misure da adottarsi nei diversi settori che contribuiscono al consumo di energia del sistema del nostro Paese. happy_earth_day_2013__by_dragofyre-d62levm

Il cambiamento radicale di rotta è necessario e da fare subito, ma quanto tempo e quanti costi (considerati anche nelle bollette dei privati cittadini) conseguono all’obiettivo 100% rinnovabili? Qual è il modo meno dannoso possibile per tutti? Quali abitudini siamo disposti a cambiare? A cosa siamo disposti a rinunciare? Nel nostro piccolo potremmo rinunciare a un po’ di consumi, spegnere la luce, staccare una presa, gestire coscientemente risorse quali carta e acqua ogni giorno… o anche protestare e agire attivamente contro l’uso della plastica (derivata dal petrolio) lasciata anche in giro per strada ad esempio. Mi e vi chiedo allora: siamo pronti a dire cosa vogliamo e cosa no agendo poi coerentemente? Wake up!

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