Luci e ombre su Pompei

Tempo fa, tre anni esatti, ci interrogammo sullo stato del sito archeologico di Pompei, e la situazione era dipinta con i più deprimenti colori. Da quel giorno abbiamo seguito lo svolgimento degli interventi e siamo tornati a calcarne le strade. Si avvicina il 24 agosto, il giorno fatale in cui, 1.937 anni fa, dalle pendici del Vesuvio si srotolò il flusso piroclastico che trasformò la città viva in un’istantanea sepolta da dieci metri di materiali eruttivi; il capo del governo si è fatto portavoce della designazione di questa data simbolica come giro di boa che nel 2017 concluderà la fase di salvataggio straordinaria inaugurata con il Grande Progetto Pompei colmando i ritardi e dando inizio alla fase due, quella di perpetua salvaguardia e prosecuzione degli scavi.

Il Grande Progetto Pompei vedeva l’Unione Europea in impaziente attesa di sapere come sarebbe stato  speso il denaro stanziato, pena l’esclusione della città sannita dall’elenco Unesco, spauracchio giornalistico che ha portato a intervenire massicciamente, trovando il modo di fatturare i centocinque milioni erogati da EU e Stato in bandi di restauro, messe in sicurezza  e assunzioni, basti pensare che per il restauro di una villa sono necessarie una quarantina di figure tra direttori, consulenti, ispettori, coordinatori e collaboratori; all’incirca trecento giorni – esclusi ritardi – e intorno ai tre milioni di euro.

DSC_0478Dalla devastante gestione Marcello Fiori, ex commissario macchiatosi dello scempio del Teatro Grande e della mala gestio di non limpidi affidamenti di appalto − sottoposto ad inchiesta penale e oggi relegato ai ruoli di coordinatore dei club “Forza Silvio” e di dirigente di prima fascia della presidenza del Consiglio − si sono imposte nuove figure. Dopo la nomina del super generale dei carabinieri Giovanni Nistri a garanzia della immacolata conduzione delle gare di appalto, adesso capo dell’Arma Ogaden, si è insediato il collega Luigi Curatoli; affiancati dal soprintendente Massimo Osanna, archeologo e professore all’Università della Basilicata, responsabile degli scavi e di tutte le problematiche lavorative e sindacali ad essi connesse, autore in questi giorni della proposta di impiegare i profughi inoperosi e stipendiati dallo stato all’interno del contesto di riqualifica e conservazione del patrimonio culturale e protagonista di delicati affaires di conflitto di interessi come la contestazione a una gara di appalto da 2,5 milioni, gara vinta da una casa editrice in rapporti con il soprintendente, e due richiami relativi alla candidatura come segretario tecnico e alla nomina come direttore del museo di Paestum a collaboratori del soprintendente.

Oltre ai soggetti singoli intervengono grandi gruppi richiamati alla gestione, come Ales spa, l’azienda pubblica di proprietà del Ministero dei Beni Culturali che opera fornendo dipendenti e agisce come serbatoio privato, distribuendo custodi al sito senza aprire bandi pubblici; e Invitalia, agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa, di proprietà del Ministero dell’Economia e quarto fondo in Europa per numero di investimenti, che accelera progettazione, affidamento e gestione degli interventi nel sito pompeiano. Questo in ottemperanza alla nuova tendenza di sviluppo dell’iniziativa privata in campo culturale, anche se a volte mascherata da impresa statale, che sopperisce alla tradizionale incapacità del settore pubblico a gestire il proprio patrimonio, sono d’esempio il recente decreto “Valore Cultura” che elimina gli oneri amministrativi per il privato che doni fino a 10.000 euro o il reclutamento a tappeto, da parte dello Stato, di aziende private per la gestione di monumenti, musei e siti archeologici durante lo scorso agosto.

DSC_0503Una gestione che ripresenta zone d’ombra, angoli bui di uffici che ad ogni modo il sole che dardeggia tra le colonne di domus e teatri sbiadisce. La pressione esercitata sul lacrimevole stato della città sannita ha infatti portato dei risultati, manifesti a chiunque varchi i cancelli sottraendosi all’odore ferrugginoso della Circumvesuviana e al vociare delle decine di venditori di statuette falliche, panzerotti e cartoline che sciamano sulle distese di asfalto.
Da tre anni a questa parte le cose sono cambiate in modo stupefacente: reperti su cui era possibile sedersi adesso sono protetti da recinzioni, così come mosaici un tempo invisibili vengono schermati da nuovi rivestimenti,  custodi umani e non più cani pigri si aggirano per i siti più delicati, e ricercatori, archeologi ed operai lavorano sul sito nelle ore più roventi del giorno. In più, sangue nuovo viene pompato nelle vene della città morta da mostre temporanee, concerti ed esposizioni. Quasi dieci nuove domus sono state riaperte, è prevista una nuova identità visiva del sito, già arricchita di un nuovo portale web, nuove mappe, un nuovo piano per la segnaletica e per la raccolta differenziata, un sistema in allestimento di identificazione per l’entrata e l’uscita tramite braccialetto elettronico, misure che assieme alle sentinelle dovrebbe evitare i numerosi e spiacevoli casi di furto, itinerari tematici e interattivi e la copertura wifi dell’intera area archeologica.

Al di là di ogni intervento il valore di Pompei resta immutato, una giornata trascorsa come in sogno tra le sue vie imprime sulla mente impressioni non solo grazie alla materia di cui è composta, i suoi affreschi, le sue fontane, o al suo essere ricordo di una città morta specchio delle tante città che vivono, ma dal suo essere simbolo e polo magnetico, microcosmo in cui si sono concentrate e si concentrano, inesauribilmente, le contraddizioni e le ambivalenze caratteristiche di una terra che porta frutti magnifici le cui radici crescono sepolte.

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