Possiamo essere tutto – Raccontare la difficoltà di vivere in bilico tra due culture

Possiamo essere tutto. Quante volte avremmo voluto che qualcuno pronunciasse per rassicurarci, incoraggiarci, motivarci questa frase? Io, personalmente, ho bisogno ancora oggi che qualcuno ogni tanto me lo ripeta, per ricordarmi che nonostante tutto possiamo essere tutto, possiamo essere quello che più desideriamo.

Per farlo, però, bisogna partire dal basso, un po’ come in ogni cosa. E allora prima di essere tutto è necessario essere noi stessi, capire chi siamo. Ma quanto è difficile mettere insieme i pezzi del puzzle che compongono ognuno di noi, far combaciare quello che sogniamo di essere con quello che la società ci chiede di essere?

Possiamo essere tutto di Francesca Ceci e Alessia Puleo, edito da Tunuè e realizzato in collaborazione con Amnesty International, affronta proprio questo tema.

Raja, Amal e Hadi sono tre fratelli che, insieme ai loro genitori, si sono trasferiti in Italia dal Marocco e, pur vivendo a Roma da ormai una vita, affrontano ogni giorno la lotta più difficile di tutte: definire la propria identità, in bilico tra le proprie radici e la cultura del Paese dove sono cresciuti, tra la loro religione e la forte voglia di indipendenza e libertà.

Possiamo essere tutto è un fumetto breve, ma ha una grandissima forza. Le parole che Francesca Ceci sceglie di mettere in bocca ai personaggi arrivano dritte al lettore per farlo riflettere; i disegni di Alessia Puleo, delicati nei tratti ma attenti ai particolari, alle sfumature e ai giochi di colori, danno concretezza a una realtà che troppo spesso sentiamo descritta soltanto a parole.

Quanta strada corre tra uno stereotipo e un pregiudizio?

Capita spesso, certamente troppo oggi, di sentire pronunciare queste due parole insieme, di leggerle accostate l’una all’altra. Ma quanto spesso e quanto a fondo siamo consapevoli della differenza, della distanza, non solo semantica, che le separa?

Nell’introduzione a Possiamo essere tutto, curata da Francesca Cesarotti, Direttrice Ufficio Educazione e Formazione di Amnesty International, leggiamo:

Esistono gli stereotipi, idee che tutti abbiamo su determinati gruppi di persone, raramente fondate sull’esperienza, e che servono sostanzialmente a semplificare la realtà quando non abbiamo tempo o voglia di soffermarci troppo sulle cose. Esistono i pregiudizi, quando gli stereotipi prendono forza e giudichiamo le persone senza conoscerle.

Quello che viene fuori è la risposta alla domanda iniziale. Quanta strada corre tra uno stereotipo è un pregiudizio? La stessa che separa la conoscenza dall’ignoranza.

Permettiamo agli stereotipi di farsi spazio nella nostra società, permettiamo loro di acquistare forza e crescere fino a diventare pregiudizi, giudizi errati e dati a priori, semplicemente perché non conosciamo ciò che è diverso da noi, non veniamo informati e non ci informiamo.

Hadi, a un certo punto della storia, chiede ad Amal: “cosa significa sottomissione?” perché alla domanda dei suoi compagni, perché tua madre e le tue sorelle portano il velo, lui non ha saputo rispondere e difendersi dalle prese in giro infondate.

In classe Amal viene spinta dal suo insegnante di religione a spiegare a tutti il perché della sua scelta di portare il velo. Una scelta simbolo di libertà e non di sottomissione, come molti pensano.

I sogni: una dimensione a metà tra due culture.

Il fumetto di Francesca Ceci e Alessia Puleio non parla soltanto di inclusione, accettazione e integrazione sociale. Parla anche di sogni, e quelli li abbiamo tutti, indipendentemente dal colore della pelle, dalla religione, dalla nostra cultura.

Questo, almeno, è come dovrebbero funzionare le cose.

La realtà, purtroppo è diversa. Raja sogna di aprire una propria libreria indipendente e tutta al femminile, un posto in cui proporre solo libri che vorrebbe davvero la gente leggesse. Ma vivere in Italia da ormai quindici anni non basta, avere un’idea brillante, diversa e valida non è abbastanza, perché la cittadinanza è uno dei requisiti fondamentali richiesti.

Amal, invece, ama il teatro e l’arte e vorrebbe ottenere uno stage per il progetto scuola-lavoro in una galleria d’arte di cui segue con passione tutte le mostre. Questo sogno, però, non è compatibile con un altro: quello di affermare la propria libertà e indipendenza scegliendo di indossare il velo.

Dall’altra parte ci sono Salim e Mur che, invece, hanno abbandonato i loro sogni giovanili per la realizzazione di un sogno ancora più grande: dare un futuro migliore ai propri figli, portarli in un paese che avrebbe dato loro maggiori opportunità.

Forse casa è ovunque ci siano possibilità!

Proprio ieri, giorno di uscita di Possiamo essere tutto, mi sono ritrovata a pronunciare una frase che ho sentito dire a molti dei miei coetanei e che, purtroppo, sento ripetere fin troppo spesso: “non so se ho voglia di vivere in un Paese che non mi permette di fare ciò che amo”.

È per questo che, quando leggendo questo fumetto mi sono imbattuta nelle parole di Raja, “dite sempre che ci avete portato in Italia per avere delle possibilità, ma queste possibilità non vogliono concedercele”, non ho potuto fare a meno di prendere una pausa dalla lettura e riflettere.

Perché è vero, Raja, Amal e Hadi sono l’emblema di quella generazione che, infelicemente, viene definita seconda generazione. Vale a dire figli di famiglie che lasciano il proprio paese in fuga da guerre, crisi ambientali, persecuzioni politiche. Quello che è ancora più vero, e che dimostra quanto Raja, Amal, Hadi e i milioni di ragazzi che si nascondono dietro la loro storia siano il nuovo volto del nostro Paese, è che i loro dubbi sono anche i nostri, i loro sogni non sono né più né meno importanti dei nostri, la loro voglia di sentirsi accettati, giusti, integrati è grande e forte tanto quanto la nostra.

E allora, non è forse più semplice affrontare questa inadeguatezza insieme e, magari, riuscire a trovare una via di fuga per tutti?

Perché Hadi ha proprio ragione: non dovremmo essere costretti a scegliere, forse casa è ovunque ci siano possibilità.

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