Gli oceani che vogliamo – Il Decennio del Mare UNESCO tra scienza, geografia ed educazione

Il decennio 2021-2030 è stato proclamato dalle Nazioni Unite come Decennio delle Scienze del Mare per lo Sviluppo Sostenibile per sancire ufficialmente ciò che in molti sanno da tempo: mari e oceani, che ricoprono il 70% del nostro pianeta, non sono mai stati così a rischio a causa dei cambiamenti climatici, dell’inquinamento e della pesca eccessiva. Ma se le Nazioni Unite puntano a dare vita a una serie di iniziative su scala globale che promuovano la ricerca di soluzioni scientifiche per un mare più pulito e più sostenibile secondo gli SDGs dell’Agenda 2030, come sostiene Francesca Santoro su Radarmagazine, ciò di cui abbiamo bisogno è una “vera e propria educazione all’oceano”. Educazione, si, perché di oceano si sa ancora troppo poco malgrado il ruolo prezioso ed essenziale che riveste per l’umanità e le altre specie viventi. Gli oceani, ad esempio, sono uno dei principali regolatori del clima la cui salute, quindi, è fondamentale per assicurare la stabilità climatica dei decenni a venire. Gli oceani assorbono una quantità inimmaginabile di anidride carbonica e generano fino all’85% dell’ossigeno che respiriamo anche grazie agli esseri viventi che lo abitano, cioè circa l’80% della vita del nostro pianeta.

Eppure, la maggior parte di essi continua a rimanere inesplorata. Per darvi un’idea di quanto ci sia ancora da scoprire, oggi conosciamo solo un quarto delle specie che lo popolano. Gli oceani, dunque, oltre che essenziali alla vita sono soprattutto una fonte inesauribile di nuovo sapere.

Il decennio 2021-2030 istituito dall’UNESCO come Decennio del Mare è stato pensato proprio per rispondere a due punti fondamentali e soprattutto complementari: scoprire ciò che ancora non sappiamo tramite nuovi progetti di cooperazione scientifica e trovare nuove strade che aiutino a invertire il ciclo di declino che sta mettendo a dura prova la salute delle acque oceaniche. La combinazione di diversi stress, antropici e non, sta infatti alterando l’equilibrio di queste immense distese d’acqua, con effetti visibili sulla perdita di biodiversità e, quindi, in modo diretto sulle comunità costiere, specialmente su quelle per cui l’oceano rappresenta la principale fonte di sussistenza e di sviluppo. A chi ha visto Seaspiracy, il documentario Netflix diretto da Ali Tabrizi sull’insostenibilità della pesca industriale, è apparso evidente come un modello di gestione sostenibile degli oceani e della vita sottomarina non sia ancora stato trovato ed è altamente probabile che, proprio per la vaghezza non casuale del termine “sostenibilità”, un simile modello non esisterà mai.

Seaspiracy (2021) è il documentario del regista Ali Tabrizi che rende esplicito il sistema di sfruttamento biologico, economico, sociale che regola il funzionamento della pesca industriale e dell’acquacoltura.

Dal problema dei rifiuti e delle microplastiche che ormai invadono i mari e ciò che mangiamo, a quello dell’uccisione di cetacei e soprattutto di specie accessorie (quelle che finiscono erroneamente nelle reti dei pescherecci, per intenderci) e ai metodi più che discutibili di acquacoltura e dei sistemi di certificazione di ciò che finisce sugli scaffali dei supermercati, il documentario di Tabrizi una panoramica piuttosto vasta su ciò che si cela dietro la gestione transnazionale delle risorse oceaniche e ittiche, mettendo in luce anche il lato di sfruttamento e schiavismo che caratterizza le pratiche della pesca industriale. Malgrado alcune informazioni fossero già note e le conclusioni a cui arriva Tabrizi, cioè che il solo modo per mangiare pesce in modo sostenibile è quello di non mangiarlo, possano sembrare alquanto drastiche, Seaspiracy offre uno spaccato desolante ma al tempo stesso illuminante sull’impatto antropico sul mare e, al contempo, su quanto la sua salute sia fondamentale per la nostra esistenza. Eppure, un sistema economico globale di stampo capitalistico che per secoli ha prosperato proprio grazie allo sfruttamento della natura come serbatoio da cui estrarre a piacimento e come discarica da riempire all’infinito ha ridotto aree marine vastissime e brulicanti di vita a poco più che un deserto liquido. Un’immagine molto distante da quella dell’oceano che vorremmo.

Ma qual è l’oceano che vogliamo? E cosa fare per arrivare ad avere gli oceani che desideriamo, oceani vivi e vitali? È a questo punto che, ricollegandoci alle parole di Francesca Santoro, specialista di programma Ocean Literacy e membro della commissione oceanografica intergovernativa dell’UNESCO, entra in gioco la dimensione dell’educazione agli oceani, della conoscenza del mare e della sua natura fluida e interconnessa che mette in relazione elementi fisici, biologici, materiali, ideologici e culturali. L’assenza di confini, infatti, è proprio ciò che contraddistingue le vaste distese acquatiche la cui peculiarità sembra essere proprio quella unire, di mettere in comunicazione e di favorire lo scambio tra “individui, sequenze genetiche, cibo e altro materiale tra regioni o popolazioni”. Uno sguardo rivolto al mare ci consente di mettere da parte per un po’ la nostra prospettiva terrestre, in cui ogni spazio è circoscritto, de-limitato, identificabile, confinato per guardare con occhi diversi alla bellezza e al valore della libertà di movimento, umano e non-umano. L’adozione di una prospettiva oceanica, di una nuova geografia culturale dell’acqua e del mare, ci consentirebbe di riequilibrare quell’egocentrismo tipicamente terrestre ed eurocentrico che ha portato a considerare il mare come aqua nullius, come distesa desolata e vuota da conquistare, da sfruttare.

Eppure uno sguardo attento concorderà nel riconoscere che mari e oceani non sono mai stati luoghi di divisione, di controllo, di scontro, di conflitto e di libertà negate tanto quanto lo sono oggi, nell’era del globale e della globalizzazione. Forse è questo che il Decennio del Mare può e deve aiutarci a riportare al centro del discorso. Non solo rivalorizzare la funzione della scienza oceanica nell’affrontare le temibili sfide che ci attendono ma anche fare leva sull’unicità di promuovere una nuova, preziosa, indispensabile ocean literacy.

PHcredit: decenniodelmare.it, vegolosi.it, ilpianetaazzurro.it

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