Ernesto Monaci: l’uomo, il maestro, il filologo

Il 27 maggio 2018, a Soriano nel Cimino (provincia di Viterbo), si è tenuta una splendida conferenza su Ernesto Monaci. Pressoché dimenticato ai giorni nostri, a cento anni dalla sua morte l’associazione Soriano Terzo Millennio Onlus ha voluto ­– giustamente – ricordare la figura di un uomo che è stato un cardine dello sviluppo dell’Italia postunitaria, e che tanto ha contribuito alla formazione di intellettuali che sono parte fondamentale della nostra cultura.
Con la collaborazione dell’Università La Sapienza e l’Università degli Studi della Tuscia, nonché con il patrocinio del Comune di Soriano, ha preso vita una conferenza vivace sulla persona a tutto tondo di Ernesto Monaci, ricordandone gli studi sulla lingua, sul teatro, sulla allora nascente filologia, sulla poesia, sugli impegni con l’università, con particolare attenzione anche alla figura umana dello stesso Monaci, che è possibile conoscere tramite l’archivio e il carteggio delle lettere. L’incontro è stato coordinato da Arianna Punzi, professoressa ordinaria alla cattedra di Filologia Romanza alla Sapienza, e sono intervenuti Nadia Cannata, Giovanna Santini, Silvia De Santis e Paolo Canettieri.

Locandina evento Ernesto Monaci

Monaci attraversa gli eventi storici da grande intellettuale, è particolarmente attento al dialetto che rappresenta il primo legame con il territorio, la sua tradizione. Monaci capisce che la cultura stessa è tradizione, è dialetto. In controtendenza rispetto al suo tempo, Monaci vuole combattere il “malvezzo” (come lo definisce nel proemio della Rivista di Filologia Romanza” che contribuisce a fondare nel 1872) che pone il dialetto in una posizione secondaria rispetto all’italiano. Capisce, come molti altri studiosi dopo di lui, che una lingua può imporsi soltanto se sentita come propria. Del resto questa ricerca della tradizione la si vede anche negli interessi di Monaci: non è un caso che si interessi del teatro medievale e in particolare delle rappresentazioni del movimento dei Disciplinati (cristiani che durante la processione si flagellavano), andando alla ricerca delle origini del teatro cristiano.

All’università La Sapienza il nuovo stato affidò il compito di creare una coscienza nazionale, formando la classe dirigente del nuovo stato. Monaci è parte attiva di questo cambiamento: l’università infatti deve rifondarsi, strapparsi di dosso le vesti pontificie e promuovere una scienza, una cultura nazionale. Con la legge Casati, un regio decreto del Regno di Sardegna, successivamente esteso all’Italia, lo stato applicava un controllo totale sull’università, escludendo di fatto qualsiasi forma di università privata. Non potevano esistere istituzioni private equiparabili all’università. All’apice di questo cambiamento, nasce la facoltà di lettere, facoltà che nei primi anni contò pochissimi iscritti, ma che nel giro di qualche anno migliorò la propria offerta al punto da divenire quella che è oggi. Nel 1875 Monaci insegna a La Sapienza, e diviene un pioniere di quella disciplina che si stava formando proprio in quegli anni: la filologia romanza. Si sentiva infatti la necessità di studiare le lingue e le letterature romanze tutte assieme, seguendo il modello di ciò che accadeva in Germania, cercando di avere in questo modo un quadro il più possibile completo. Monaci fu anche un grande innovatore: fondò la cattedra di storia moderna e promosse quella di storia contemporanea, al tempo non insegnate per le connotazioni politiche.
Tutelò il diritto delle donne ad accedere all’università; al tempo le donne non potevano accedere facilmente all’università (pur non essendoci un divieto esplicito, non esistevano licei femminili, il cui diploma era requisito per accedere agli studi universitari), ciononostante molte sue allieve occuparono in seguito ruoli nelle biblioteche che Monaci aveva nel frattempo riorganizzato, continuando a intrattenere rapporti di profonda stima e amicizia col professore.

Insomma di Monaci colpisce prima di tutto la grande modernità: è un precursore, è filologo romanzo prima della nascita della filologia romanza in Italia. Sente la necessità di un’istruzione superiore, come se avvertisse tutto il peso della responsabilità del ruolo che ricopre; conosce il Carducci, è maestro del Pirandello. Proprio quest’ultima relazione colpisce maggiormente: fu Monaci che lo consigliò di continuare gli studi a Bonn, dopo che era stato costretto ad interromperli a Roma per alcuni contrasti con il preside di facoltà. E sebbene da questi studi fu presto chiaro a Pirandello che non sarebbe diventato un filologo, furono senz’altro gli interessi di Monaci a indirizzarlo – anche in maniera indiretta – verso quei campi nei quali poi eccelse.
La cultura italiana – e più largamente europea – deve molto al Monaci. Egli rappresentò il tentativo di una certa società ottocentesca di plasmare la nuova coscienza nazionale, di porre le basi per una nuova italianità.

E tutto infine questo ammasso di poemi e di trattati, di misteri e di rappresentazioni, di versi d’amore e di prose di romanzi, di tradizioni popolari e di racconti cavallereschi, di miti favolosi e di simboli strani onde si compone la letteratura medievale, presenta al romanista copiosa e svariata materia di ricerche. Delle quali egli valendosi per illustrare la storia delle lingue e delle letterature nostre specialmente ne’ loro rapporti collo sviluppo della civiltà, contribuirà potentemente a restaurare l’idea di quel passato, nel quale si ritempreranno gli animi, e si ravviverà il sentimento di quella unità storica, che un giorno affratellava tutti i popoli latini. (Rivista di Filologia Romanza, 1872:8)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.