Anatomia di un istante 29 maggio/4 giugno

Stazione di Piacenza, a metà tra il terzo e il quarto binario. Una donna accasciata, a terra, al centro della scena, attorniata da cinque persone che la stanno soccorrendo. Ma a risaltare, sulla sinistra, è un giovane ragazzo, vestito di bianco. Sta immortalando una scena con un selfie. L’altra mano, quella che non ha lo smartphone come simbolica protesi, fa la V di vittoria, in contrasto con il senso di sconfitta emanato dalla foto.

Uno dei gravi problemi del nostro tempo è che abbiamo perso la capacità di empatizzare. Risaltiamo la differenza con chi è più debole, più povero, semplicemente con chi sta peggio di noi, invece di provare a ridurla. Abbiamo una grave carenza di empatia. C’è chi la chiama pietà, o sensibilità. Alcuni, definendola umanità, la ascrivono come condizione che dovrebbe accomunare ogni essere umano. Poi, tutto questo, è stato definito buonismo. Un cambio di prospettiva forte, come quello dei selfie.

I selfie stanno sostituendo progressivamente le foto normali. La grande differenza è che le foto di prima ci tenevano dietro l’obiettivo, mettendo in risalto ciò che ci trovavamo davanti. Un selfie, ogni selfie che sia stato scattato, ha come unico protagonista e soggetto l’autore della foto. E tutto il resto sullo sfondo, basta che sia funzionale.

Si ringrazia La Repubblica per la foto

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