Mektoub, My Love: Canto Uno – Il gioco dell’amore e del caso

Mektoub4Abdellatif Kechiche non è nuovo alle critiche, specie quelle mossegli dal pubblico femminile. Già Julie Maroh, la fumettista di Le bleu est une couleur chaude, aveva trovato ridicole le scene saffiche ne La vie d’Adele, che, a suo avviso, risentivano del voyeurismo di chi le aveva girate. E l’autrice, a suo modo, aveva senza dubbio ragione. Non è infatti il regista uno spione? E, come avviene per ogni osservatore, non è forse il suo uno sguardo inattendibile? La prospettiva di Kechiche è certamente maschile, inutile negarlo, ma non per questo la sua visione può dirsi maschilista. È un regista che ama le donne, così come le amava il suo collega Truffaut, ed evitare di riprenderne i corpi per non offenderne le coscienze sarebbe, più che un omaggio, un atto di ipocrisia.

Mektoub3Mektoub, in questo senso, non è affatto un film ipocrita. Ispirato al romanzo La Blessure, la vraie di François Bégaudeau, già autore de La classe, il regista mette in scena ciò che per sua stessa natura fatica a mostrarsi: il Desiderio. A differenza dell’opera da cui è tratto, nella quale la tensione erotica si univa a quella politica, in questa trasposizione è la carnalità a prevalere. L’estate che Amin trascorre a Sète diventa così il pretesto per narrare la vita che lo circonda, che sia la nascita di un agnellino o un amplesso tra il cugino e l’amica Ophélie. La storia del nostro protagonista, che abbandona Parigi e la carriera medica per dedicarsi alla sceneggiatura e la fotografia, si intreccia quindi a quella di un’intera comunità, tunisina ma non solo, che sulle spiagge della Costa Azzurra si prende una vacanza dalla propria esistenza. Non è d’altronde la prima volta che il cinema immortala questa stagione, basti pensare a Bergman (Monica e il desiderio) o Rohmer (La collectionneuse), ma rispetto a quanto avviene in queste due opere, che pure affrontano il passaggio dall’adolescenza alla maturità, in Mektoub l’amore è totalmente privo di pretese intellettuali.

Mektoub2Tutto è ridotto a mero rito di iniziazione, a un gioco di cui si ignorano le regole. Ci si muove così tra tenerezza e arroganza, tra scene roventi e cocenti delusioni, con una naturalezza che è tutto fuorché casuale: se la storia sembra affidata al caso non lo è però la regia, calibrata sin nei minimi dettagli. Ci vuole infatti del talento per fissare l’irruenza dei vent’anni, i sogni e le emozioni che finiscono prima ancora di nascere. Ci vuole soprattutto la consapevolezza di chi vent’anni non li ha più, o la curiosità di chi ancora non li ha vissuti. Lo sguardo di Amin riflette dunque quello di Kechiche: è distaccato ma empatico, vorace ma represso. È, insomma, lo sguardo di un regista.

MektoubI titoli di testa preannunciano da subito un’opera luminosa, e il film mantiene la promessa. La fotografia è volutamente abbagliante, al pari dei soggetti che ritrae, ma siamo ben lontani dall’iconografia da Cornetto Algida di cui molti critici hanno parlato. Mektoub non è infatti, o non è solo, una rassegna di fondoschiena in controluce. È la summa della poetica di Kechiche, che qui unisce l’universo di Cous Cous alla sensualità de La Vie d’Adele. Non mancano poi i riferimenti ad altri suoi lavori, primo tra tutti L’Esquive, dove si assiste alla messinscena di un’opera dal titolo significativo: Le jeu de l’amour et du hasard. Il dramma di Marivaux, il cui nome ritorna anche nel film premiato a Cannes, ben riassume quello che è il fulcro di questa pellicola. “Mektoub” significa infatti “destino”, così come “hasard” significa “caso”. I personaggi della pièce, così come quelli del film, sembrano infatti obbedire alle leggi di un gioco sconosciuto, l’Amore, che si diverte a condurli verso esiti inattesi.

Per scoprire dove, non ci resta che aspettare i prossimi capitoli.

Photocredits: www.imdb.com

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