The Killing of a Sacred Deer – Gruppo di famiglia in un inferno

lanthimos2«Iniziamo bene» commenta in sala uno spettatore. La prima scena cui si assiste, dopo il buio che accompagna lo Stabat Mater di Schubert, non è effettivamente tra le più piacevoli: una ripresa ravvicinata di un intervento a cuore aperto. Steven (Colin Farrell) è infatti un cardiochirurgo, e di operazioni del genere deve averne eseguite non poche. Scopriamo però che non tutte sono andate a buon fine, dato che Martin (Barry Keoghan), un adolescente problematico con cui Steven è in contatto, intende vendicare la morte del padre sacrificando un’altra vita. Le possibili vittime sono appunto i familiari del medico, da lui ritenuto responsabile dell’accaduto, su cui ora grava il peso della scelta: sarà infatti lui a dover decidere chi immolare, tra la moglie Anna (Nicole Kidman) e i figli Bob (Sunny Suljic) e Kim (Raffey Cassidy).

lanthimos6Questa, a grandi linee, è la trama di The Killing of a Sacred Deer. Il riferimento più immediato, come già si evince dal titolo, è nientemeno che l’Ifigenia in Aulide, nota per essere la più cruenta tra le tragedie di Eschilo. L’omonima protagonista, figlia del re Agamennone, viene da questi sacrificata ad Artemide per consentire lo sbarco dei Greci a Troia, ma la dea, un attimo prima che il rituale si compia, la sostituisce con una cerva, consentendo così alla fanciulla di ascendere direttamente in cielo. La soluzione del regista, come è facile immaginare, sarà invece ben diversa. Quella che Lanthimos ci offre è infatti una catarsi priva di redenzione, la sola possibile in un mondo senza scelta, dove, per vedere ripristinata la norma, si è sempre prima costretti a violarla. A differenza però di quanto accade nell’originale, nel quale è comunque richiesto un atto estremo, qui l’abnegazione non è in alcun modo premiata.

lanthimos3Chi compie il sacrificio, così come chi lo richiede, lo fa in realtà nel proprio interesse, ottenendo esattamente quel che aveva domandato: vendetta od espiazione. La profezia si avvera infatti perché è Steven a volerlo, convinto nel suo inconscio di dover scontare la propria colpa. Anche lui in fondo ritiene, come afferma Martin, che quel gesto sia l’unico che si avvicini alla giustizia, vedendo nella punizione l’unico mezzo per ripristinare l’equilibrio ormai perduto. Siamo dunque lontani dall’obbedienza di Agamennone, che agisce gratuitamente senza sperare in cambio nulla, e diverso, di conseguenza, sarà anche l’esito che ci attende: ciò cui si va incontro è infatti un gioco al massacro, mors tua vita mea, nel quale la propria salvezza dipende appunto dalla morte altrui.

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Anche qui, come già nelle sue opere precedenti, Lanthimos ritrae l’uomo alla stregua di un animale, riducendolo ai suoi stessi istinti e criticandone l’individualismo estremo. In questo il regista greco può dirsi affine a Michael Haneke, anch’egli fautore di una poetica dell’efferatezza, che, come ogni grande autore tragico, enfatizza la violenza nelle sue opere per evitare che si riproponga nel quotidiano. Per quanto impietosa, la visione di questi maestri non è però né cinica né estetizzante: entrambi mirano ad estirpare il male, più che a celebrarlo. Vi è poi una comunanza estetica, oltre che di intenti, riscontrabile, ad esempio, nella maniera di trattare la musica: la scena in cui Kim canta Burn di Ellie Goulding ricorda infatti il ballo in Happy End sulle note di Chandelier.

lanthimos5L’inserto di brani pop, d’altronde, non stride affatto con il resto della colonna sonora, dominata invece dalle arie di Bach e Schubert. È poi da notare la presenza, letteralmente ossessiva, delle ansiogene composizioni del polacco Ligeti, già collaboratore del melomane Stanley Kubrick. Col regista di 2001: A Space Odissey Lanthimos ha del resto un debito, tutt’altro che dissimulato, come dimostrano la conturbante presenza di Nicole Kidman, indimenticabile protagonista di Eyes Wide Shut, e le lunghe carrellate nei corridoi dell’ospedale, così simili ai piani sequenza di Shining.

lanthimos4Gli omaggi sono quindi molteplici, ma è alla propria opera che il regista si mantiene fedele. Il suo è un lavoro di precisione chirurgica, come quello dello stesso protagonista, e nessuno dei due può pertanto permettersi di distogliere lo sguardo dalla piaga su cui opera. È nella lucida crudeltà delle immagini che risiede, insomma, il successo di questa difficile operazione.

Photocredits: www.imdb.com

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