Disenchantment: il medioevo di Groening che non convince

Lo scorso 17 agosto è uscito su Netflix la prima parte di Disincanto (titolo originale: Disenchantment), l’ultima opera prodotta dal genio di Matt Groening (autore dei Simpson e di Futurama). Il pubblico è proiettato a Dreamland, un regno medievale popolato da creature fantasy, dove hanno luogo le avventure della principessa Bean (protagonista della serie) accompagnata da Elfo e Luci.
Di questo regno, Bean ne è la principessa, lavativa, che trascorre il suo tempo tra una rissa e una sbronza, dedita più che mai ad una vita goliardica e lontana dai doveri. Elfo, invece non sopporta di rimanere nel suo villaggio, dove tutto è troppo allegro e felice, e decide di allontanarsene. Infine Luci è un piccolo demone fatto di oscurità che è stato donato alla principessa il giorno del suo matrimonio.

Elfo e Dreamland

Dreamland è avvolta in un medioevo stereotipato, a volte anche troppo, rischiando di scivolare nella banalità in più occasioni. La serie arranca lentamente nelle prime puntate, e solo a metà riesce finalmente a prendere il volo, con puntate decisamente migliori delle precedenti, quasi come se a un certo punto fosse cambiata drasticamente la linea narrativa (e ne siamo ben lieti).
Eppure, nonostante questo, ci sono momenti della serie che meritano davvero moltissimo, come la scena iniziale della quinta puntata, o la gag dei cavalieri che partono in missione della settima. Ma è innegabile che qualcosa nella narrazione non ha funzionato, o meglio, non ha convinto.

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Parliamoci chiaro: Disincanto non è una brutta serie; i personaggi sono ben strutturati, la storia si sviluppa con perizia, e suscita ben più di un sorriso. Tuttavia si ha l’impressione che Groening si sia trattenuto, come se fosse incerto del pubblico al quale andava incontro. Disincanto infatti pecca di non aver avuto troppo coraggio nella creazione delle sue gag, di non essere né troppo cinico né troppo demenziale, in bilico e incerto fino all’ultimo, di non aver creduto nel suo stesso potenziale. E probabilmente questo giudizio vien fuori proprio per la presenza di concorrenti decisamente più sprezzanti e spietati (uno tra tutti, Rick & Morty) che fanno dell’umorismo più nero il loro cardine esistenziale. Disincanto rimane indietro, collocandosi nello stesso filone della concorrenza, ma senza il carisma necessario per sopravvivere.
Del resto, il format è del tutto differente dalle precedenti opere di Groening, e pecca forse l’errore di averlo troppo accostato ai Simpson o soprattutto a Futurama (a cominciare dalla pubblicità): chi ne cercherà lo stesso umorismo ne rimarrà inevitabilmente deluso. Il format infatti è più vicino a quello di una normale serie televisiva, con la storia che si sviluppa perfettamente intrecciata episodio dopo episodio. Per certi versi, il concorrente (anzi “collega”) più simile a Disincanto è Final Space, uscito lo scorso 20 luglio (qui ne abbiamo parlato).
È difficile dunque cercare di dare un giudizio il più possibile obiettivo su Disincanto, non pago di un’aspettativa forse un po’ troppo alta; quel che sembra certo è che questa prima serie non è all’altezza dei precedenti lavori di Groening, né delle altre serie che si ascrivono allo stesso genere, pur rimanendo lo stesso molto godibile. Ciò non toglie che ci siano molte speranze per il futuro: Disincanto ha infatti tutte le carte in regola per conquistare una buona fetta di pubblico, a patto che si comprendano gli errori di questa prima serie e si appronti uno stravolgimento della narrazione.


Le immagini sono tratte liberamente dalla prima stagione.

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