Saremo Fiori Nicolò Locatelli Tropismi

Saremo fiori

di Nicolò Locatelli

 

Madeleine, 

 

scrivendoti capisco di non rispettare più la promessa fatta a me stesso.

Ieri è stato l’anniversario dell’arrivo di Boris e Joséphine in questa casa. Con te ho sempre evitato l’argomento ma di loro se ne è quasi sempre occupata Ingrid, io mi sono limitato a osservarli crescere. È stato verso i nove anni che hanno sviluppato un carattere del tutto diverso rispetto quello dei loro primi giorni qui. All’epoca correvano dietro ogni cosa. Quanti bicchieri di cristallo hanno infranto urtando il tavolo, quel giorno. Un intero servizio. Ricordi? Ingrid aveva pensato solo a prenderli in braccio affinché non si ferissero. Te ne avevo parlato nella lettera spedita poco prima del mio ultimo viaggio a Vienna, dove mi hai svelato questa prima e minuscola parte del tuo inganno: «Separarmi da loro mi è costato più di quanto immagini, avrei tanto voluto tenerli con me. Spero stiano bene». Ecco, ripensare a queste frasi somiglia a respirare la stessa aria di quel pomeriggio, quando in risposta alle mie perplessità avevi ammesso «Sai, a casa mia non erano davvero in pericolo. Mio marito non li avrebbe davvero gettati nel fiume. Li ho lasciati a te affinché li custodissi come un mio ricordo». Come vedi, ricordo.

 

Ora che Ingrid è morta occuparmi di Boris e Joséphine è diventato più difficile. Superata una certa età rinnegare le proprie abitudini si fa complicato. A volte di mattina li faceva salire sul letto, sussurrandogli a bassa voce cose dolci. In questi giorni mi interrogo spesso su chi di noi due sia stato più egoista: vorrei poter rispondere «Io» per rifugiarmi nella certezza del torto maggiore ed espiare la mia colpa. Eppure non è andata così. Conosci la ragione della mia collera, hai pilotato gli ultimi anni con l’abilità di un prestigiatore che ti illude di essere più intelligente di ciò che sei, rendendomi l’ignaro spettatore delle tue menzogne. Rispetto a ciò che hai fatto tu, aver tradito mia moglie somiglia ad essersi macchiati la camicia.

 

È sempre stata lei ad occuparsi di Boris e Joséphine, e da quando è morta ogni aspetto della mia vita sembra essersi indebolito. Ammetto di aver pensato di abbandonarli da qualche parte, magari nella foresta vicina, ma la strada del ritorno sarebbe stata troppo facile da rintracciare, e lasciarli chiusi fuori dal cancello un gesto troppo crudele. Per anni Ingrid li ha accuditi come se fossero stati i figli che ci sono mancati, e in parte deve avermi trasmesso la stessa concezione. Al punto che provo affetto per loro nonostante me li abbia regalati tu. A proposito, tornando al discorso di prima: ricordo come se fosse ieri anche il giorno in cui ho scoperto di essere io quello sterile fra noi due. Considerandoti dovrei dire tre. È stato un vero peccato aver ricorso ad un’altra lettera persino all’epoca, quando insieme al mio deserto si è svelato il tuo inganno. Avrei accettato di pagare nuovamente la stessa cifra che mi hai sottratto negli anni in nome dei “nostri figli” pur di veder scomparire di persona quel sorrisetto che ho tanto conosciuto dal tuo viso. E poi Boris e Joséphine sono cresciuti come animali domestici, cosa potevano saperne della foresta. Sarebbero morti soffrendo il dolore di ogni cane abbandonato. Una scena del genere avrebbe spezzato persino un cuore inutile come il tuo. Immagina quello di Ingrid, che prima di andarsene anche solo per pochi minuti si piegava sulle ginocchia per farsi leccare le guance.

 

Ultimamente ti ho sognata spesso.

Il cielo è ghiacciato e la mia casa sembra scolpita nella pietra e nell’acciaio. Ci sono io e ci sei tu, con una candela in mano, e al buio il tuo viso è raddoppiato dalla fiamma. Mi cerchi ovunque. Come puoi pensare di riconoscermi? Il giardino è tempestato da foglie di tiglio trasportate dal vento, che vivide e veloci si ammucchiano ai miei piedi. La primavera è struggente e istantanea, nascono fiori, steli di seta, morbide antenne. Ogni fioritura non ammette il perdono, muore. E il suo ritorno, la rinascita, è un rischio. E se l’inverno con stilettate di ghiaccio infrangesse l’albero, sfrangiandone il tronco come la mano di un uomo fra i tuoi capelli? Ucciderei entrambi perché la sua carne nutra l’albero che produce una tale, fugace, ripetuta bellezza. Ma io sono immobile: un castagno non conosce le ragioni della crescita, e morirà senza lasciare un gemito. A volte dal tronco cola una pasta gialla, livida e odorosa, simile a un pianto. Oppure è la mia anima.

 

Per quanto riguarda Boris e Joséphine – il motivo per cui ti sto scrivendo – in realtà ci sarebbe poco altro da aggiungere. Venderli oppure regalarli sarebbero ipotesi sbagliate quanto la prima, li ho ricevuti in dono da te quando quel gesto aveva ancora un significato. Restituirteli? Non se ne parla, a loro ha sempre pensato Ingrid, e anche se sono simboli del mio tradimento ormai li riconduco al suo viso. Li guardava come un cucciolo beve il latte. Non conoscono la mia colpa. Mia moglie nemmeno. E finché era in vita penso di non essermene mai accorto, o meglio, ho realizzato cosa sto per dirti esclusivamente al suo capezzale, come un uomo ridicolo di tutto rispetto: Ingrid era in grado di farmi dimenticare ogni singola incoerenza e lotta della vita, qualsiasi cosa fosse anche lontanamente negativa. Accanto a lei non vedevo che la parte migliore del mondo. Quindi, voglio dirtelo ancora, Boris e Joséphine hanno vissuto fino ad oggi perché di loro si è occupata mia moglie. A volte semplicemente accarezzandoli. C’era qualcosa di solamente suo nel modo in cui lo faceva. Ho scritto a te quest’ultima lettera perché ti ho amata davvero un tempo, ma adesso comprendo che è stato possibile soltanto grazie a Ingrid. Senza lei al mio fianco avrei posato il mio sguardo su di te quella sera, come se avessi notato un particolare di pregio nell’arredamento. Nient’altro. E dato che Ingrid è morta ho pensato che sarebbe stato giusto uccidere i nostri cani e seppellirli accanto a lei. Avrei voluto farlo mentre dormivano in modo che non se ne accorgessero, ma non ci sono riuscito e devo dirtelo, si è rivelato davvero un brutto momento. Cercavano di salvarsi. E per averli colpiti come se ci fossi stata tu al loro posto mi sono sporcato la camicia di un sangue che non se andrà. Hanno pianto più di quando vedevano Ingrid indossare il cappotto per poi dirigersi verso la porta – ogni volta che un cane vede qualcuno andarsene crede sia per sempre. Ora riposano in giardino accanto alla sua tomba, e al termine di queste righe verrà il mio turno. Nutriremo il castagno, saremo fiori.

 

 

La foto di copertina è stata presa qui: bit.ly/2S5ZTn2

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