Il dolore, Platone e noi. Intervista ad Annalisa Ambrosio

In terza superiore, come tutti, ho avuto il mio primo approccio alla filosofia. Eraclito, per cui tutto scorre, un po’ come la canzone dei Negramaro. Parmenide e il suo essere che è e non può non essere. Epicuro che è lontanissimo a tutto quello che abbiamo associato noi profani ad epicureo. I primi filosofi, ovviamente greci, fino ad arrivare al più grande di tutti. Platone.

Partivo con molte aspettative, lo ammetto. Ma forse i libri di testo con il loro nozionismo, forse i rigidi programmi ministeriali, ma il mito della caverna, l’Iperuranio e tutto le altre parti fondamentali della sua filosofia non riuscivano ad appassionarmi. Non era sbocciato nulla, neanche un tentativo di amore platonico.

Poi, con l’università, si è sbloccato qualcosa. Un esame di filosofia del linguaggio, la lettura di uno dei dialoghi forse meno conosciuti, il Cratilo. Sì, perché Platone scrive sostanzialmente questo, dialoghi, un genere che non esisteva e che riporta sulla pagina i modi e lo stile del suo grande maestro, Socrate. Ero andato alla fonte, certo, ma allo stesso tempo capivo quanto c’era di incredibilmente umano attorno a quel mondo di idee e astrazioni perfette.

Platone – Storia di un dolore che cambia il mondo, edito da Bompiani, ha sconvolto di nuovo le carte in tavola. Almeno le mie. Annalisa Ambrosio ha preso tutti i punti, i cavalli di battaglia, le nozioni di base sul filosofo ateniese e ne ha riempito i vuoti, i silenzi, ciò che abbiamo perso di un’era lontana e che un manuale scolastico non può restituire. Lo fa rischiando, fin dalle prime pagine. Collegando presente e futuro, escogitando ipotesi narrative, individuando gli snodi e i cambiamenti di rotta. Senza la pretesa di un vero impossibile, ma con l’ostinata voglia di comprendere, noi e lei. Per saperne di più, di Platone e di questo suo esordio, l’abbiamo intervistata.

Platone - Storia di un dolore che cambia il mondo

Platone – Storia di un dolore che cambia il mondo

Nel tuo libro ci dici che Platone ha scritto di Socrate per “nostalgia feroce” e “nomadismo forzato”. Potresti riassumere questi concetti a chi ancora deve leggere il libro? E tu, invece, perché hai scritto di Platone?
Certo. Nostalgia feroce perché gli mancava il suo maestro: gli mancava davvero, nel senso che Socrate era morto ed era morto per mano dello stato, cioè per quella che – agli occhi di Platone – era una terribile ingiustizia. Nomadismo forzato perché per gli alunni di Socrate dopo la sua morte era meglio espatriare. Platone nello specifico si è allontanato da Atene per undici anni. Per me nostalgia feroce e nomadismo forzato sono un’ottima combinazione di sentimenti per iniziare a scrivere: quello che mettiamo sulla carta in un certo senso può diventare la nostra casa, un riparo, e anche un modo di sprofondare nel passato. Scrivere di Platone ha voluto dire questo, in effetti. Sentirmi a casa, una cura, e pure una strategia per correre indietro nel tempo.

Per scrivere questo testo ti sarai immersa nelle opere di Platone e su Platone. Cos’hai imparato di nuovo rispetto ai tuoi studi universitari?
In realtà questo non è un lavoro di scavo: ho letto, ma non sono una platonista, non studio Platone da tutta la vita. Ho riletto la sua opera, questo sì. In particolare le lettere che a scuola e all’università non avevo mai incrociato. E poi Diogene Laerzio, uno di quelli che raccontano la vita di Aristocle. Per esempio, ho imparato due cose che poi ho messo nel libro: che Platone aveva una voce particolare, “di cicala”, e che ha scritto un testamento.

Nel tuo libro hai fatto un’operazione molto interessante, riempiendo i vuoti della Storia con il ragionamento, la tua sensibilità di autrice, l’empatia. Un’operazione simile a quelle di Javier Cercas e di tanti altri autori contemporanei. Ma esiste ancora una distinzione tra non fiction e fiction?
Secondo me è bene tenere in piedi questa distinzione. Ci sono moltissime opere che la prendono in giro o la mettono in crisi, e va bene: è parte del gioco. Però, per la stragrande maggioranza dei libri penso che questa distinzione abbia ancora senso e sia preziosa, io per esempio ho provato a ordinare i libri della mia biblioteca così, dividendoli in fiction e non fiction. È una divisione piuttosto educativa anche: ti obbliga a decidere da che parte stare. Negli intenti, se non altro.

Annalisa Ambrosio

Annalisa Ambrosio

Un’altra operazione che mi ha molto colpito è l’utilizzo di esempi e paragoni con cose attualissime: nella stessa pagina paragoni oggetti, abitudini, mestieri della Grecia di un tempo e del mondo di oggi, passiamo senza soluzione di continuità dal conflitto tra Sparta e Atene a Candy Crush. Hai provato a riattualizzare Platone o semplicemente ad avvicinarlo? E noi come possiamo riavvicinarci alle sue intuizioni, mettendo da parte i libri della terza liceo?
Domanda difficile: non so se ho fatto bene a ospitare nella stessa pagina la Guerra del Peloponneso e un videogioco, o Bruce Springsteen, perché Platone è un nome sacro e quindi in un certo senso è giusto preservarlo. D’altronde, è proprio perché abbiamo deciso che Platone per noi è un nome sacro, attuale sempre, che lo sarà prima e dopo il mio piccolo libro, indipendentemente dagli altri interpreti con cui va in scena. Per avvicinarci a lui il modo più semplice che c’è è semplice: leggere i dialoghi. E penso che ne valga la pena.

Hai scritto un libro molto godibile su un filosofo, Platone, che è tra gli scogli più ostici per gli studenti liceali di tutta Italia. Che poi, la filosofia, viene ridotta alle superiori alla nozionistica, a qualcosa che sembra quasi una storia della filosofia. Come dovrebbe cambiare il sistema?
Hai detto bene, è proprio così: a scuola non si studia filosofia, ma storia della filosofia. Di fondo penso che sia una buona pratica, perché non sembra, ma l’ordine cronologico aiuta a mettere più genericamente in ordine, che poi è anche uno dei motivi per cui abbiamo inventato la filosofia, e un sacco di altre cose. Spesso, però, è vero: a scuola, molte volte, il bello della filosofia non emerge, e questo è un peccato. Il primo modo di evitarlo è formare degli insegnanti bravi e appassionati. Il secondo è scrivere dei libri di testo che non abbiano perso l’anima, che cioè continuino a domandarsi come mai stanno facendo quello che stanno facendo e se lo stanno facendo bene. E quando la risposta non c’è, bisogna fermarsi un attimo a riflettere. (Ma ecco che siamo tornati a Socrate).

Il dolore di Platone ha cambiato il mondo, il nostro mondo, dandogli un diverso design, una serie di concetti, idee e intuizioni tutt’ora in voga. Come ha cambiato il tuo?
Pensare che una grande opera sia frutto di grande dolore non è un pensiero particolarmente originale, ma a me in effetti cambia la vita ogni volta che ci rifletto. Significa che possiamo dare un senso alla nostra vita e alle nostre azioni sempre, pure quando le cose si mettono male. In pratica siamo sempre in grado di interpretare gli eventi in un modo più favorevole, di superarci, di diventare quello che vogliamo.

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