Analisi seria di Frozen 2

Un’analisi assolutamente non necessaria di Frozen 2 – Il Regno di Arendelle

Cavalli acquatici, madri terribili e pubblicità invadenti: cose che non vi servono per vedere il film in tranquillità.

Avevamo bisogno di prendere sul serio un cartone animato di 103 minuti, firmato Disney, rilasciato alla giusta distanza dal Natale per riversare nel mercato una quantità di merchandising oserei dire nauseante? Assolutamente no.
Ma poi ho visto un cavallo uscire dall’acqua, ed è andata in un altro modo.

Il film

Il film è già in sala già da qualche giorno, e io, impermeabile, vado tranquilla a fare la spesa. Negli scaffali del supermercato trovo la faccia di Elsa sugli yogurt. La faccia di Elsa sui cereali. La faccia di Elsa sulle uova. La faccia di Elsa sulle patate. Capisco immediatamente che Disney è furba come il gatto e annusa la mia paura per gli spoiler. Esco dal supermercato satura e stravolta, imbocco direttamente il botteghino, entro in sala, sorbisco trenta minuti di pubblicità che non istiga in me altre voglie di consumo. Quando sul grande schermo appare il noto castello taccio e guardo il film, contenta di aver evitato ogni singolo frame nelle trappole di trailer, pubblicità e packaging stralunati.

Il film, pensavo, è tutto lì: se vedo Elsa che canta su Instagram, se vedo i colori dell’ambientazione, se vedo i vestiti, allora tanto vale, ho già visto tutto.

Gran parte del film trascorre in una piacevole normalità: la protagonista rompe un po’ il ghiaccio giocando ai mimi, tutti cantano (“quando vado a casa me le cerco in inglese”), poi la voce, l’ignoto, il pericolo, i protagonisti partono finalmente con l’obiettivo di riportare il regno alla stabilità.

E fin qui, la faccio breve: viaggio dell’eroe.

I quattro elementi

Frozen 2 è un film che parla costantemente di natura, e del rapporto dell’umano con il selvatico.  La trama procede diritta su strutture note: gli elementi vanno affrontati e domati, per riuscire ad arrivare in fondo al percorso e scoprire le origini della magia. Nel grande bosco magico Elsa inizia a fare un po’ di tira e molla con gli spiriti della natura, prendendo a sberle il vento e giocando col fuoco. La terra per ora viene evitata perché è il gancio narrativo per il finale.

C’è poi l’acqua, che già da subito gioca fuori dalle regole. Dei quattro, è l’elemento protagonista per evidenti motivi e già la mamma cantava alle sorelline strani e inquietanti versi in merito:

Puoi sognarlo anche tu
Dove il vento incontra il mare blu
Ma in quel fiume affogherà
Chiunque vada troppo in là.

Acqua

Frozen 2  parla di natura in generale, ma si concentra sull’elemento per cui tutti, proprio in questo momento, siamo più preoccupati. C’è acqua ovunque, sia nel primo che nel secondo film, e non solo perché il regno sorge su un fiordo e la protagonista può creare ghiaccio dal nulla. Tutta la trama si innesta su un colossale errore d’ingegneria – una diga -, e fin dall’inizio l’avventura è chiamata a raggiungere un punto situato in acqua:

C’è un fiume, porta in sé
Quel che è stato, quel che più non c’è
La memoria del passato
Lì rifugio ha trovato.

La ninnananna cantata dalla madre di Elsa e Anna è didascalica. Il fiume del passato si rivela essere nient’altro che un ghiacciaio, luogo principe della conservazione, simbolo di presenze antiche congelate eternamente nel momento della loro morte. Per arrivare al ghiacciaio c’è bisogno di risalire un fiume e attraversare un mare, percorso ostile che ha già ucciso i genitori delle protagoniste. Nonostante tutto l’ambiente sia circondato e pervaso da acqua, lo spirito dedicato non si fa vedere granché, se non per qualche fugace apparizione nei pressi delle rive.

Finché Elsa non si tuffa in mare e scopre che qui c’è poco da scherzare. La ragazza rischia seriamente d’affogare, poiché viene fisicamente, brutalmente attaccata dallo spirito. Mentre il vento è rappresentato semplicemente da una folata, il fuoco da una piccola salamandra e la terra da grossi giganti di roccia, lo spirito dell’acqua appare in forma di cavallo.

Elsa e il cavallo acquatico

Il cavallo acquatico

Perché lo spirito dell’acqua è un cavallo, e non un pesce? Perché non un delfino, non un salmone o una balena, figure radicate nell’immaginario comune, come la salamandra per il fuoco? Il cavallo è un animale spesso presente nelle fiabe, come simbolo di nobiltà di chi vi è in groppa. È molto comune anche nei miti, dove più spesso traina un cocchio: molte volte quello del sole, oppure quello dell’anima stessa, quando i cavalli sono due e hanno colori opposti.

Sia nei miti che nella cultura popolare, il cavallo e l’acqua non vanno molto d’accordo, e uniti danno risultati mortali.

Cavalli e acqua nella mitologia greca

Quando i cavalli incontrano l’acqua, nelle vecchie storie non è buon segno.

Ippolito, nomen omen, figlio di Teseo re d’Atene (lo stesso simpatico Teseo che lasciò Arianna in Nasso, proprio lui), era un giovane vergine deciso a dedicare la propria vita alla venerazione di Artemide. Afrodite non era molto contenta di questa scelta, e per vendetta fece sì che la matrigna Fedra si innamorasse di lui. Il candido Ippolito rifiuta, la matrigna si uccide, Teseo s’arrabbia non poco e invoca

Lemoyn, La morte di Ippolito, 1715.

Lemoyn, La morte di Ippolito, 1715

Poseidone per punire il figlio. Ippolito scappa su un cocchio trainato da cavalli, ma appena si avvicina al mare, dalle onde esce fuori un terribile toro: i cavalli si imbizzarriscono e fanno cadere Ippolito, calpestandolo a morte.

Secondo alcune tradizioni, Ippolito viene salvato in calcio d’angolo da Artemide, che lo trae via da sotto gli zoccoli per portarlo altrove, in un tempio dedicato. Frazer, nel Ramo d’oro (1925), indica questo luogo come il tempio della Diana nemorense di Nemi, poco lontano da Roma. Qui, e nei pressi dell’omonimo lago, era per l’appunto vietato condurre cavalli.

Cavalli del Nord

Raffigurazione del Kelpie.

Raffigurazione del Kelpie

Che Frozen 2 non sia ambientato nell’antica Grecia è evidente: il regno di Arendelle sorge su un fiordo. Ma qui tra cavalli e acqua va anche peggio. Nel folklore dell’Europa del Nord il cavallo d’acqua esiste ed è noto come Kelpie, o come Bäckahästen.

Il Kelpie è uno spirito maligno che dimora solitamente nei fiumi, e che assume la forma di un cavallo per attrarre i passanti sulla riva. Quando questi provano a salirgli in groppa, lui li disarciona, li affoga e li divora. Vuole la leggenda che sia possibile domare il Kelpie, e nel caso di riuscita il cavaliere otterrà un destriero straordinario, molto più forte e veloce di un normale cavallo. Se avete visto il film, sapete infatti come va a finire.

Mater amabilis

La presenza di un Kelpie su Frozen 2 ha destabilizzato non poco le mie aspettative. Sin dall’inizio del film l’acqua è denotata fortemente come simbolo del materno. La madre di Elsa parla di acqua, canta di acqua, lei stessa si lega come entità all’acqua:

L’acqua è una madre che
Sa il passato, può rispondere
Perdi ciò che tu hai più amato
È allora che lo avrai trovato.

Elsa ha un enorme potere sull’acqua, ma i suoi genitori muoiono per morte d’acqua. Elsa stessa rischia la morte in acqua affrontando il Kelpie, che a differenza degli altri elementi non è né ingenuo né giocoso, ma puro elemento selvatico, altro e come tale pericoloso, imprevedibile. La protagonista si trova in netta difficoltà proprio con l’unico elemento che dall’inizio credeva di saper domare. Alla fine riesce ad averla vinta, ma tutto il segmento finale del film suggerisce il contrario. Dopo neanche cinque minuti, la regina riesce a trovare la fonte di magia che la chiamava, che si rivela essere proprio sua madre.

È un lungo viaggio uterino al contrario, ma l’ambiente non ha nulla di rassicurante, di protettivo: l’acqua è in tempesta, le colonne di ghiaccio che arredano il cunicolo sotterraneo sono affilate come lame. Alla fine di questo percorso, proprio al centro di un cupo grembo materno, Elsa viene inghiottita dal ghiacciaio e qui, davvero, muore – almeno nella sua forma umana.

Mater terribilis

Il film poi finisce bene. Elsa si rivela essere qualcosa in più, una sorta di spirito che fa da raccordo agli elementi naturali, e che decisamente non può stare nel mondo umano. La necessaria separazione degli umani dai non umani avviene in un clima sereno, quasi giocoso. Ma resta in sospeso la sensazione di dubbio che sin dal primo Frozen era latente: non tanto chi è Elsa, ma cosa è Elsa. Le origini del film vanno comunque cercate nella cupa fiaba La Regina delle nevi di Andersen: la storia cambia radicalmente, ma qualcosa della Regina permane in Elsa, forse l’impressione che sia insieme il buono e il cattivo del film, che sia l’altro. L’Elsa umana è una ragazza di circa vent’anni, timida, educata, molto seria, ma tutto in lei trova modo di raccontarci che la sua natura è ferina, imprevedibile, della stessa materia di cui è fatto il Kelpie.

Mentre sui titoli di coda partivano i vocalizzi di Giuliano Sangiorgi, ho tirato un filo nella mia immaginazione, iniziando dal suggerimento del cavallo (su cui molto altro si potrebbe dire, ma a questo punto una tesi di dottorato su Frozen 2 e la simbologia equina è davvero non necessaria). Tutta la storia ci suggerisce uno stretto legame tra la figura della madre delle due sorelle e l’elemento acquatico, ma i simboli usati per rappresentare questo rapporto sono tutti al negativo. Acqua e madre sono un’accoppiata simbolica robusta, un archetipo collaudato da migliaia di anni, che da sempre

Leighton, Il ritorno di Persefone, 1891.

Leighton, Il ritorno di Persefone, 1891

porta in sé due nature: abbondanza e devastazione.

È facile a questo punto pensare al mito della madre più noto in assoluto, quello delle stagioni che cambiano a seconda dell’umore di Demetra, nel caso le venga restituita o meno la figlia Persefone dal regno dell’Ade.

Appare allora la Grande Madre, i cui templi sorgono spesso davanti a laghi o mari, le cui ninfe si bagnano nel fiume, il cui viso può essere amorevole e l’attimo dopo diventare terrificante. È una storia vecchia come il mondo, e qualcosa di come Elsa finisce per cadere dentro un grembo oscuro in cui la madre la attira dal bosco – chiamandola come gli animali chiamano la prole, con lunghi vocalizzi sempre uguali e costanti – mi dice che, alle porte del 2020, questa storia ha ancora necessità di ripetersi.

E quando una cosa continua a ripetersi, suggeriva Freud, è perché non ha ancora trovato il finale.

Le nuove principesse Disney

Chi come me segue in modo pedissequo la produzione Disney, ha visto anche il disperato tentativo del marchio di salvarsi dalla nomea di maschilismo (di cui abbiamo parlato qui). La risposta della casa è stata immediata e sovrabbondante: in pochi anni ci siamo ritrovati con un esercito di disneyprincess-macho, portate o per la lotta corpo a corpo, o guardacaso per la scienza o l’ingegneria o il pallone, in modo intrusivo e scollato dal contesto.

In un catalogo di film che propongono stereotipi di femminilità competitiva, spesso aggressiva e quasi machista, dove la donna diventa un elemento agente del patriarcato senza fondamentalmente cambiarne gli schemi, Frozen 2 ne esce pulito come un cristallo.

Al centro del film non c’è tanto una donna potente che combatte, quanto una donna inserita in un contesto di problematicità nei confronti delle figure femminili che ha intorno: una madre quasi cannibale che sostiene ciecamente un padre castrante, e una sorella con un evidentissimo disturbo d’ansia d’abbandono.

A colpire non è una ragazzina che lancia ghiaccio e doma gli elementi, ma una ragazzina che si rimette continuamente in gioco abbandonando una stabilità occludente per risolvere un conflitto ereditato dalla madre – una madre che, ci rivela il film, abbandona un contesto matriarcale e nomade per seguire un uomo.

Una ragazzina che lotta per trovare la sua forma adulta e indipendente, a discapito dei legami di sangue, e la trova tornando al contatto equilibrato con la natura. Una storia vecchia come il mondo, insomma. Quelle di cui sai sempre già il finale, e di cui non sono gli spoiler che fanno paura.

 

(nota: tutto il tempo che ha separato Frozen da Frozen 2 è stato impiegato dal pubblico per domandare a Disney l’orientamento sessuale di Elsa, come se la risposta avesse potuto condannare o salvare il mondo definitivamente. Sembra ormai chiaro che Elsa non ha bisogno né del principe né della principessa azzurr*.

Benvenuti, finalmente, nell’epoca in cui la vita sentimentale della protagonista non vi riguarda).

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