Settembre

di Samuele Rossi

Sandra decide di troncare un martedì pomeriggio di settembre, in una di quelle giornate che alla mattina è novembre e a mezzogiorno è agosto.
«Non so proprio come dirtelo, è finita» dice.
«Beh, mi sembra che tu lo abbia già detto» davvero, una battuta? Ma per favore…
«Guarda se vuoi possiamo rimanere insieme, io a Milano e tu qui, ma non so veramente se funzionerà, anzi so già che non funzionerà!»
Non mi guarda nemmeno, fissa qualcosa dietro il mio orecchio destro, quasi distratta.
A quel punto il primo saltello del singhiozzo esce, infischiandosene dei tentativi salivari ormai disperati. Sono indeciso se andarmene così di colpo, o provare a parlare. Come si fa a parlare con la gola conficcata nelle orecchie e una situazione muco-lacrimale ormai imbarazzante? Cosa dovrei temere?
Mi sta lasciando, mi ha visto nudo, ha visto la mia faccia nei momenti più vulnerabili e apparentemente virili dell’orgasmo. Mi ha sentito ruttare, scoreggiare, pisciare, cagare. Perché dovrei imbarazzarmi proprio ora?
«Allora perché me lo proponi? Ma scusa non potevi dirmelo prima, almeno provavamo a trovare una soluzione?» dico io ormai in preda a un pianto osceno. Non so se Sandra abbia compreso una sola parola di quello che ho appena detto. Ma risponde subito. Forse dopotutto, visto da fuori, sono ancora in una condizione decente. Con una sola occhiata, la vicina di casa che sta passando dietro di lei mi dice “ti piacerebbe…”.
«Ecco vedi qual è il tuo problema…» abbassa la voce e scruta la vicina mentre cerca il nulla nella borsa «è che fai sempre di tutto per trovare una soluzione. C’è un problema, e per qualche motivo questo problema deve risolversi, in qualsiasi caso. È così difficile pensare a un problema irrisolvibile?»
Avrei molti ragionamenti più o meno razionali, costruzioni sintattiche complessissime per spiegare che io con lei sto bene, che penso pure di amarla. Che ci conosciamo fin troppo per dimenticarci l’uno dell’altra. E che proprio no, tutto questo non può finire a settembre. Avrei almeno lo stesso numero di improperi, di insulti, anche molto raffinati, per spiegare le stesse identiche cose. Ma sto zitto.
Dopo il decimo secondo di silenzio lei si gira e percorre il vialetto di casa sua, infila la chiave nel cancello e senza rallentare il passo entra. Io osservo ogni suo movimento convinto che si girerà, ripercorrerà il vialetto, si fermerà davanti a me e, guardandomi dritto negli occhi, mi spiegherà tutto quello che io non le ho detto, con la sua solita lucidità. Come sempre. Ma non lo fa.
Sandra, dopo anni, e tante fregature prese in quasi ogni mese dell’anno, rivedo ancora la stessa scena.
Ti meriti un posto privilegiato tra tutte le dolcezze di settembre, che non possono promettere altro se non di essere le ultime dell’anno.

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