Il manoscritto – Il libro nel libro nel libro di Franck Thilliez

«Un romanzo è un gioco di illusioni, tutto è vero quanto è falso, e la storia inizia già a esistere solo nel momento in cui voi la leggete.»
J-L. Traskman

Quando ho letto la quarta di copertina de Il manoscritto di Franck Thilliez, edito qui in Italia da Fazi Editore, mi ero incuriosita molto, ma non sapevo – a inizio lettura – che stavo per imbarcarmi in un viaggio bellissimo, enigmatico e da brividi. In Francia Thilliez è considerato «il maestro incontestato del thriller francese» e credo che questo sia vero perché a me è successo quello che succede quando si leggono dei bei libri: si arriva alla pagina finale senza volerlo, nei giorni successivi si continua a pensare  alla storia, ai personaggi, ai luoghi, si vorrebbero fare domande all’autore, ci si immagina cosa succederà ai protagonisti dopo la fine… Tra tutti i generi esistenti, credo che i thriller siano tra i più difficili da costruire, nulla può essere lasciato al caso, c’è una matassa che prima di essere sbrogliata va proprio incasinata in maniera sensata.

Un libro nel libro nel libro, una sorta di cubo di Rubik da risolvere, ecco cos’è Il manoscritto, che oltre ad avere a che fare con torture e sangue, pone al centro il processo della scrittura in sé, declinato come mezzo per raccontare storie di finzione. Mi torna in mente un paragrafo studiato all’università, scritto da Federico Bertoni in Il testo a quattro mani che riguarda il patto che si viene a creare tra lettore e opera letteraria: «Il lettore sottoscrive un contratto letterario che gli permette di introdursi nella realtà della finzione, al di là dell’esperienza quotidiana, con un atteggiamento che trasforma una serie di proposizioni irreali e arbitrarie in un mondo dall’apparenza sensibile, regolato da leggi e da clausole sue proprie».

Tutto parte con un manoscritto: il romanzo incompiuto appartiene a Caleb Traskman, scrittore di gialli che muore prima di concludere il libro. In accordo con gli editori, il figlio, J-L Traskaman, decide di armarsi di carta e penna e scriverne il finale. Tutto sembra così realistico che ci si fida anche di quest’operazione. Un manoscritto in cui J-L Traskman è sicuro di trovare, leggendolo, il finale grazie a parole palindrome e numeri sottolineati da suo padre. E poi la storia comincia.

Nel gennaio del 2014, tra le scogliere della Normandia, Sarah, un’adolescente, va a correre e non torna più. Vane saranno le ricerche dei suoi genitori: Léane, autrice di thriller, e Jullian. Tre anni dopo, vicino a Grénoble, un ladro d’auto cerca di schivare un posto di blocco, ma fa male i calcoli, la macchina sbanda e lui muore. I poliziotti, allora, perquisiscono il bagagliaio e lì trovano il corpo di una ragazza mutilato, le mani mozzate in un sacchetto. No, troppo facile, non si tratta di Sarah. Cominciano, così, le indagini tra interrogatori e riaperture di vecchi casi. Nella squadra brilla un poliziotto, Vic Altran, affetto da ipermnesia, una dote ma anche una croce dato che ricorda tutto, proprio tutto, e sebbene sia un bene per le indagini, è un male per la disposizione d’animo del personaggio che deve fare i conti, ogni giorno, con tutto quello che ha visto, letto, sentito.

© Melania Avanzato

Nel frattempo, Léane, dopo la morte della figlia e l’allontanamento dal marito, si è ritirata a scrivere a Parigi dove adotta lo pseudonimo di Enaël Miraure per firmare i suoi libri. Ma viene richiamata in Normandia perché Jullian è stato attaccato e si trova in uno stato di semi-incoscienza: sarà per via del suo investigare privato alla ricerca di Sarah? E perché proprio quando Léane torna in Normandia le sembra di vivere alcune scene del romanzo che ha appena terminato?

«Léane non credeva ai propri occhi. Nel campo dell’arte, così come nel cinema e nella letteratura, si poteva associare il fenomeno a una specie di plagio inconsapevole: ricordi perduti emergevano allo stato conscio spinti da una forza creativa. Chi ne era colpito si convinceva che fosse del tutto sua un’idea che aveva letto, visto, incrociato nel corso della propria vita.»

Le due inchieste si intrecciano e tra perlustrazioni in un vecchio collegio e ricerche su siti di case in affitto ci si avvicinerà a poco a poco alla verità finale che riserva (ça va sans dire) dei colpi di scena niente male.
Thilliez è un maestro dell’arte del narrare, omaggia i grandi del genere giallo (tra tutti Conan Doyle da cui prende in prestito, per un suo personaggio, il nome del Professor Moriarty), dà vita a scene macabre (per stomaci forti) e cruente, e non perde mai il ritmo, incalzante e turbolento, in un climax ascendente che fa sussultare non appena ci si addentra, con il personaggio di turno, in posti bui e silenziosi. Un romanzo in cui il thriller, il giallo e il noir si contaminano a vicenda, un romanzo criptico che manipola il lettore come se fosse una marionetta, dandogli indizi che lo confondono e che lo spingono a continuare la lettura fino all’ultima pagina. In una parola: magistrale.

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