Veniamo dal basso come un pugno sotto il mento – L’apocalisse raccontata tra prosa e poesia

La poesia, purtroppo, non mi è mai piaciuta. O meglio, non è che non mi piaccia, è che ogni volta che provo a leggere delle poesie mi ritrovo lì ad osservare i versi, a cercare di coglierne la musicalità – tutti mi dicono che è questo ciò che si fa quando si legge poesia – e il senso profondo, ma alla fine non colgo mai nulla, chiudo il libro e torno ad aprirne uno di prosa. Eppure, oggi vi parlo proprio di un libro di poesie, o quasi, cosa di cui mi stupisco anche io.

Veniamo dal basso come un pugno sotto il mento, edito da Battaglia edizioni, è il primo libro di Alice Diacono, con introduzione a cura di Franco “Bifo” Berardi e le illustrazioni di Agnese Ugolini.

Innanzitutto, non si tratta propriamente di una raccolta di poesie, ma di un libricino che mette insieme prosa e poesia, il tutto arricchito da semplici ma efficaci illustrazioni, e un’impaginazione perfettamente in linea con il linguaggio schietto e diretto dell’autrice.

 © Battaglia edizioni

Quella di Alice Diacono è la biografia di tanti giovani che, nati in provincia, scappano a Bologna in cerca di indipendenza e con la voglia di realizzare i propri sogni. Nei versi delle poesie e tra le righe dei racconti emerge la figura dello studente fuori sede, dell’adolescente bohémien in cerca di avventure e pieno di nobili idee rivoluzionarie. Insomma, il ritratto di quello che siamo stati un po’ tutti noi bolognesi di adozione.

Il libro si divide in dieci capitoli, o più esattamente in nove capitoli e una bonus track di Francesca Corpaci. Ogni capitolo mette insieme prosa e poesia e segue una sorta di ordine tematico che tocca tutti i campi della quotidianità, senza mezzi termini e senza censure. È difficile fare un elenco preciso dei temi trattati perché Veniamo dal basso parla un po’ di tutto, dall’amore al precariato, dalle file alle poste al disagio emotivo, dalla scoperta della propria femminilità all’esperienza dell’Erasmus.

Torno un attimo alla questione della poesia e per farlo cito proprio le parole dell’autrice, che in Tutti dovrebbero fare poesia tranne che i poeti, scrive dei poeti che

Cercano di essere originali, si dimenticano che scrivere è

un atto comunitario,

una testimonianza,

dire dove non si può dire, dov’è proibito, interdetto,

non entrano nella pelle degli altri,

cercano di pubblicare su tale rivista o con tale casa editrice,

cercano di affermare la loro personalità, di rimanere immortali,

si dimenticano che al mondo serve chiarezza

che è già abbastanza confuso così com’è.

Alice Diacono fa esattamente l’opposto. Non usa un linguaggio elevato, non ricorre a metafore, perifrasi, figure retoriche di alcun tipo che abbelliscano la realtà. Il suo è un linguaggio diretto e schietto, quello di una generazione di trentenni seduti al bar della libreria Modo Infoshop con gli spritz e le birre a metà, o all’uscita del Freakout dopo un concerto.

L’autrice semplicemente usa la sua scrittura per dire una verità. Poesie, riflessioni, racconti scritti su fogli voltanti durante la pausa pranzo. Non ci sono fronzoli, non ci sono ricami, solo la descrizione della realtà che la circonda per come è. Ed è proprio questo che la rende tanto vicina ad ognuno di noi. Vi sfido ad aprire Veniamo dal basso come un pugno sotto il mento ad una pagina qualunque e a non ritrovarvi in almeno uno degli aneddoti descritti da Alice.

Dentro il suo lavoro ci siamo tutti, in un modo o nell’altro. C’è la voglia di avventura dei nostri venti anni, il senso di oppressione nel non sentirsi abbastanza o all’altezza delle aspettative, la paura di fallire e di deludere noi stessi e gli altri.  C’è la presa di coscienza di cosa significhi diventare adulti, o di cosa voglia dire essere donna oggi. Ci sono il precariato, le rivoluzioni, la consapevolezza di vivere

nel periodo di passaggio in cui è meglio essere sfruttati che non essere sfruttati per niente. Il lavoro non c’è già più, ma abbiamo ancora bisogno di lavorare. Che culo.

Il cuore del libro sono gli impulsi, le necessità. Non a caso tra i capitoli troviamo Amare/ Non amare, Viaggiare, Respirare, Scrivere, Morire/Risorgere, quasi una sorta di percorso inframezzato da tutta una serie di riflessioni sull’ Hardcore Zen, Lavoro/ Non lavoro/ Lavoretti e Antropocena. Tutti gli impulsi si risolvono in un’unica, forte necessità: la scrittura.

Spesso mi dico

Scrivere è inutile.

Scrivere è inutile.

Scrivere è inutile,

non serve a nulla,

è una perdita di tempo.

È inutile che scrivi,

non porta un quattrino.

Quello che scrivi non interessa a nessuno…

È invece a qualcuno interessa. Interessa a tutta una generazione che come Alice ha speso gli anni migliori nei locali e nelle piazze bolognesi, alle macchinette del 36, o sotto il ponte di Stalingrado. Serve alla memoria di Michele, di Mark Fisher, di Massi, di tutti quelli che hanno perso la speranza.

Veniamo dal basso è una raccolta per tutti, soprattutto per chi di poesia non capisce nulla, come me. Veniamo dal basso è

Dedicato ai miei amici

che stanno a Londra o a Berlino a coltivare i loro talenti e a

lavorare nelle cucine.

Dedicato a me,

che sono stata licenziata un mese fa dall’Università con un messaggio di Whatsapp

ma ora ho tutto, tranne che la voglia di morire.

La realtà descritta in questo libro sembra quasi apocalittica, tra precariato, depressione, emarginazione. Eppure l’autrice non ci lascia senza soluzione. Perché se sto scrivendo questo articolo significa che lei alla fine ce l’ha fatta, così come possiamo farcela tutti. Ed è proprio questa epifania finale che rende la raccolta ancora più interessante. Dimenticate i soliti cliché e le frasi fatte, perché non è resistere il segreto.

Ce l’ho fatta,

non perché sono forte, ma perché sono debole,

non perché ho resistito e non mi sono spezzata,

ma perché mi sono spezzata in tanti punti e in tante piccole parti,

decine, centinaia di volte,

e adesso sono flessibile,

adesso mi posso piegare e accogliere il nutrimento della pioggia

nella mia anima che è di terra.

Alla fine

le mie parole mi hanno salvata.

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