Che cos’è normale lo decidiamo da piccoli e, da grandi, lo spieghiamo ai piccoli

«Se un problema ci sembra un’esagerazione, spesso è perché non ci riguarda. Però riguarda un altro essere umano, e questo dovrebbe bastare.» (Irene Facheris, Parità in pillole, Rizzoli)

Un altro otto marzo è passato. Data in cui ricorre la giornata internazionale della donna, spesso chiamata erroneamente festa ma festa non è perché la festa dovrebbe essere tutti i giorni per tutti gli esseri del pianeta, e invece ci sono ancora tante cose da fare per quanto riguarda la parità di genere. Ne parla molto bene Irene Facheris, attivista e fondatrice di Bossy, sui suoi social, ma anche in Parità in pillole (Rizzoli), un saggio in cui tutte le discriminazioni vengono spiegate con parole semplici ed efficaci. Non è una novità che le donne vengano pagate meno degli uomini in ambito lavorativo, non è una novità che gli assorbenti siano tassati con l’iva al 22%, non è una novità che i programmi ministeriali di letteratura italiana siano composti maggiormente da autori (molti dei quali amo in maniera smisurata), come se le autrici non avessero contribuito al patrimonio culturale di cui ci vantiamo tanto (e potrei fare un elenco infinito, ma a questo proposito consiglio la pagina L’ha scritto una femmina della bravissima Carolina Capria).
Praticamente non è una novità che la nostra società abbia origini patriarcali e ogni giorno che passa, arrancando e provando a cambiare le cose, ne subiamo il peso.

Cos’è normale lo ha stabilito la società (patriarcale), ma non dobbiamo dimenticare che ciò che è normale lo decidiamo da piccoli e, quando siamo grandi, lo spieghiamo ai piccoli, grazie alle storie. In L’importante è che siamo amici di Dougal MacPherson e Jessica Walton (Rizzoli), un orsetto racconta al suo amichetto umano che in realtà si sente un’orsetta. È un albo semplice e profondo che ha come scopo quello di aiutare i bambini e le bambine ad accogliere le differenze di genere. Errol, il bambino, invece di ripudiare il suo peluche, gli dice: «L’importante è che siamo amici». Bellissimo, no? E invece quest’albo non ha avuto il riconoscimento che merita, anzi, nella biblioteca comunale di Spinea (VE) è stato spostato dalla sezione per bambini all’area dedicata agli adulti.

Lettera a una bambina di Amy Krouse Rosenthal e Paris Rosenthal (Editrice Il Castoro) dà un messaggio diverso – rispetto al libro precedente – ma ugualmente importante. Una lettera, scritta da una madre a una figlia, per dirle e ricordarle quanto sia bello essere se stesse e avere una propria voce.

Un altro albo che dovrebbe stare nella vostra libreria è sicuramente: Anche le ragazze… lo possono fare! Anche i ragazzi… lo possono fare! di Sophie Gourion e illustrato da Isabelle Maroger, edito da Valentina Edizioni. Un albo particolare già per la duplice copertina, il doppio racconto e di conseguenza il doppio punto di vista: si può leggere due volte, basta capovolgerlo!

All’inizio, da entrambi i lati, ci sono quei luoghi comuni che tanto detestiamo. Nella parte delle ragazze, per esempio, compaiono frasi come «Il calcio non è un gioco da femmine» oppure «Le ragazze hanno paura di tutto», e per quanto riguarda i ragazzi, invece, «I maschi non piangono mai» e «Il rosa è solo per le femmine». Ma è davvero così? Ovviamente no.

Quest’albo insegna che l’amicizia tra uomo e donna ha diritto d’esistere e che nessuno può decidere cosa sia per maschi e cosa sia per femmine. Pensiamoci un attimo: se una bambina preferisce indossare i pantaloni piuttosto che la gonna, vuole giocare a calcio e avere i capelli corti, allora la si definisce “maschiaccio”; al contrario, se un bambino desidera giocare con le Barbie, ballare à la Billy Elliot o piangere per un torto subìto è presto detto che verrà bollato come “femminuccia”, puntando sull’accezione dispregiativa del termine. E queste malefiche etichette, dall’infanzia, ce le si porta dietro crescendo perché nonostante ci distinguiamo dal resto degli esseri viventi per la facoltà di parola, non sappiamo valorizzare il linguaggio e dargli il giusto peso. E questo accade da sempre e la colpa è, spesso, di chi è più grande, anagraficamente, di noi.

Se a una festa di carnevale una bambina si traveste da Superman e un bambino da unicorno, i primi a non vederla come una cosa “normale” saranno gli adulti (non tutti, ovviamente) che, alla festa, sorseggiando aranciata, sussurreranno tra loro e poi lo diranno a gran voce a casa. Così, i loro figli e le loro figlie – che magari hanno giocato tutto il pomeriggio con Superman o con l’unicorno senza scandalizzarsi più di tanto – inizieranno a pensare che quei due, alla festa del pomeriggio, in realtà non sono poi così normali perché in loro si insidia l’idea propria dei genitori. Allo stesso tempo, nel bambino unicorno e nella bambina Superman – che magari a poco a poco verranno emarginati – si farà velocemente spazio l’idea che qualcosa non va, che sono loro a essere sbagliati e non la società. È innanzitutto privazione della libertà di espressione perché solo chi ha un carattere forte riesce ad andare dritto per la sua strada, con orgoglio. Ma l’infanzia è un terreno fragile ed è per questo che – come adulti – dobbiamo assumerci le nostre responsabilità e insegnare a chi è più piccolo di noi in primis il rispetto per se stessi e per l’altro. Solo così le cose potranno cambiare. E allora sì che sarà festa tutti i giorni, sì che ognuno avrà riconosciuti i propri diritti e potrà vivere senza quel senso di oppressione che la notte non ci fa dormire e che ci fa detestare la società in cui viviamo.

La letteratura per bambini ha il magico potere di spiegare e sensibilizzare chiunque (ma soprattutto i grandi) su tematiche come queste. Anche le ragazze… lo possono fare! Anche i ragazzi… lo possono fare! lo fa attraverso disegni coloratissimi in cui le bambine e i bambini scorrazzano sui prati, saltano sul letto della propria cameretta, si ritrovano al centro con le braccia in alto con intorno tutti i tipi di vestiario possibili e immaginabili. L’autrice si rivolge alle piccole lettrici e ai piccoli lettori chiamandoli “Ragazza” e “Ragazzo”, elevandoli dunque a un’età più adulta, usando comunque un tono colloquiale, dando del tu… Lo fa con parole decise, sfruttando il verbo “potere” («puoi giocare» ma soprattutto «puoi essere»), e dà una lezione importante: «Alle ragazze e ai ragazzi NULLA È PROIBITO. Sta te decidere chi vuoi essere!».

Link utili:

L’ha scritto una femmina
Bossy
Il blog di Giulia Blasi
Dear daddy, la rubrica settimanale di Claudio Rossi Marcelli su Internazionale

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