Capitano Findvs

di Delio Heimlich

Introduzione

Le uniche notizie su Publio Anneo Findvs ci sono state tramandate da Aulo Gellio, il solo che lo conobbe direttamente, che nel Libro IX delle Notti Attiche vi dedica diverse pagine, riportandone gesta, aneddoti e imprese, ma poche notizie strettamente biografiche.

Personaggio molto amato e popolare, egli nacque probabilmente intorno al 100 d.C., vivendo da protagonista, seppur sempre defilato, gli albori e lo sviluppo dell’Età Antonina, gli anni dei governi di Adriano, Antonio Pio e Marco Aurelio, ma anche il difficile avvicendamento con Commodo.

Figlio di una famiglia di commercianti romani, visse probabilmente i primi anni nel versante meridionale delle terre Bruzie – ciò si evince da alcuni ricordi infantili di quella terra – forse a seguito delle attività di famiglia. In uno di questi viaggi fu probabilmente fatto prigioniero dai bretti, popolo apertamente ostile nei confronti dei dominatori romani.

Le prime notizie sulla sua nascita sono riportate dallo stesso Aulo Gellio quando osserva che:

“La nascita di Capitano Findvs fu assai fausta, essendo egli nato al Principio del regno del più Ottimo tra i Principi” (Lib. IX – Notti Attiche)

Cogliendosi dunque un evidente riferimento all’Optimus Princeps Traiano, salito al vertice dell’Impero nel 98. d.C.
Si sa che visse però l’adolescenza e gran parte della sua vita a Roma, dove entrò in contatto con commercianti provenienti da tutte le coste del Mediterraneo, probabilmente incoraggiato dal padre, Publio Servilio Findvs, che ne stimolò sempre l’intraprendenza e la vivacità intellettuale. A tal punto, molto su questo aspetto ci dice Aulo Gellio quando ci riferisce di un divertente incontro tra Plinio il Giovane, ormai incanutitosi, e un adolescente Capitano Findvs, in cui quest’ultimo chiedeva lumi sulle ovulazioni di una varietà di pesce che egli aveva visto in un mercato, dalla lama lunghissima al posto del naso e dalla carne particolarmente fresca, chiedendogli se fosse possibile secondo lui immaginare degli allevamenti in grandi vasche all’interno dell’Urbe romana, in modo da assicurarsi un approvvigionamento continuo, e ottenendo come risposta da Plinio:

“Mi sembrò giusto onorare con una degna indagine sia la memoria del mio amato Zio e sia la vivace impertinenza del ragazzino. Trascorsi dunque giorni e giorni in biblioteca, senza riuscire a dare soddisfazione a quel giovane così curioso ma felicemente disattendendo l’infausto presagio che col trascorrere degli anni, la curiosità perisce anziché aumentare” (Lib. IX – Notti Attiche)

Probabilmente educato presso le Accademie Stoiche allora molto diffuse e apprezzate a Roma, fu un uomo assai dedito a due aspetti per loro natura apparentemente controversi e difficilmente conciliabili: un grande fiuto economico, che lo rese uno dei primi “imprenditori illuminati” ante litteram (e ciò si evince dalla qualità quanto mai attuale di molti suoi interventi nella vita pubblica romana, dalle riflessioni sul sistema sanitario dell’Urbe, dal rapporto con gli schiavi e con i salariati che si potranno leggere in questa antologia) e nel contempo una stoica condotta morale, che lo portò a essere ispiratore e sicuro mentore di gran parte dei grandi Imperatori illuminati della gloriosa dinastia degli Antonini. Si sa infatti, perché lo riportano diverse cronache, che Adriano chiese a lui molti consigli su come rispettare l’orgoglio dei greci durante la campagna di sottomissione di quella coltissima e raffinatissima civiltà, sia incrementandone i commerci e sia incentivandone la diffusione della cultura e del pensiero dentro i confini dell’Impero. Nel contempo però, subì più volte l’esilio, nonostante le Cronache facciano intendere che i periodi di allontanamento da Roma siano stati temporanei castighi anziché vere e proprie espulsioni.

Amico dei potenti, ma anche servitore degli umili: molto vicino agli Zeloti del Regno di Giudea, proprio nel delicato periodo in cui Adriano operava la trasformazione della gloriosa Terra di Israele in Palestina, aiutò molti di essi a sfuggire alle persecuzioni che un Impero solido e brutale come quello romano sapeva imporre. Ciò fu possibile grazie alle sue attività: molti suoi salariati erano infatti galeotti, sicari pentiti, schiavi liberati, sbandati, insomma gli ultimi ai quali egli offriva protezione, sotto la garbata benevolenza degli Imperatori che di anno in anno ne chiedevano i consigli e ne tolleravano la condotta, spesso assai critica ma mai irrispettosa.

Condusse per il resto una vita assai modesta rispetto alle grandi quantità di denaro che i suoi commerci muovevano. Pare che una volta, come ci riferisce più tardi Plutarco, Antonino Pio lo convocò affinché gli mostrasse alcune rotte commerciali necessarie allo sviluppo dell’Urbe e pare che più volte gli fu proposto di nominare degli importanti assi viari con il suo nome, cosa che egli declinò sempre, fedele più che mai al motto stoico del λάθε βιώσας.

E infatti egli visse in punta di piedi, non senza avere attraversato violente crisi esistenziali che lo spinsero quasi verso il suicidio ma rialzandosi ogni volta, forte della sua robustezza d’animo e serenità di intenti. Morì in pace e senza clamori, proprio durante il governo di Commodo, assente dalle grandi cronache ma tuttavia presente nella mente dei Grandi Uomini: ancora nel Museo della Villa di Adriano a Tivoli è possibile osservare un’iscrizione contenuta in un piccolo piatto da portata in cui si si recitano i seguenti versi:

Di tre cose godi fanciulla:
Del sorriso degli Dei
Del sorriso di Adriano
Del sorriso dei sofficini

E noi godiamo pertanto anche della lettura di questa antologia, affinché si possa tenere viva la memoria di un grande esempio di umiltà, rettitudine, curiosità e amore per la vita.

Delio Heimlich

Nota del Traduttore
I testi pubblicati in questa raccolta sono estratti dal Libro IX delle Notti Attiche di Aulo Gellio. La storia di questo libro è nota: scoperto casualmente da pochi anni da un giovane viandante nelle terre d’Aspromonte, puntato e sollevato da un corno di bovino e quindi riportato definitivamente alla luce, è attualmente in fase di pulitura e decifrazione da parte dell’Istituto di Restauro del Libro dell’Università di Firenze in collaborazione con il Dipartimento di Ingegneria Chimica dell’Università della Calabria e l’Istituto per la Conservazione del Libro antico dell’Università di Magonza. Parzialmente riportato alla luce (per la restante parte ci vorrà ancora qualche anno), questo documento costituisce un elemento di grande valore nell’archeologia del sapere che riguarda l’Impero Romano, e la storia e l’evoluzione delle idee che lo hanno robustamente sorretto per diversi secoli.
Ne offriamo pertanto una prima e, ripetiamo, parziale traduzione, nell’attesa che i lavori di restauro sulla parte restante dell’Opera possano consentire una puntuale e definitiva pubblicazione.

Capitano Findvs, di Publio Servilio Findvs. Fu uomo amante della vita, alieno dall’ambizione, distaccato dagli ozi

La nascita di Capitano Findvs fu assai fausta, essendo egli nato al principio del regno del più Ottimo tra i Principi.

[…] Assai versato nelle arti della pesca e della caccia, uomo curiosissimo, fu conoscitore di varie e incredibili specie di pesci che egli osservò con grande acume, non temendo mai l’aspetto spesso raccapricciante di taluni mostri marini.

Racconta per esempio Accio Claudio che una volta il giovane Capitano, incontrando casualmente in un mercato dell’Urbe Capitolina Plinio il Giovane e riconoscendo subito in lui il nipote del grande e raffinato indagatore della Natura che tante lezioni dispensava nei più diversi campi del sapere, volle approfittare dell’occasione chiedendogli di soddisfare la sua curiosità riguardo una varietà di pesce presente nel mercato che egli aveva visto nei mari che si affacciavano alle coste Bruzie, un pesce dalla lama lunghissima al posto del naso e dalla carne particolarmente fresca.

Il giovane Capitano chiese pertanto a Plinio se fosse possibile secondo lui conoscere il funzionamento dell’ovulazione della bestia marina, in modo da riprodurla in grandi vasche all’interno dell’Urbe e assicurarsi così un approvvigionamento continuo e ottenendo come risposta da Plinio, per come è riferita da Accio Claudio:

“Mi sembrò giusto onorare con una degna indagine sia la memoria di colui che mi ha amorevolmente educato sia la vivace impertinenza del ragazzino. Trascorsi dunque giorni e giorni in biblioteca, senza però riuscire a dare soddisfazione a quel giovane così curioso ma avverandosi tuttavia in me il fausto presagio che col trascorrere degli anni, la curiosità aumentava anziché perire”.

Le sue attività portarono grande gloria all’Impero, e per tale motivo fu molto amato sia dalla plebe, alla quale la sua attività portò beneficio, sia dalle famiglie patrizie, che gareggiavano affinché egli presenziasse durante i loro banchetti e raccontasse le sue avventure per i mari del mondo.

[…] La sua fama arrivò alle orecchie dei Massimi tra gli uomini Romani. Adriano, Antonino, Marco Aurelio e anche il furioso Commodo gli riservarono grande attenzione, benché egli subì più volte l’esilio lontano dallo sguardo benevolo ma implacabile della Lupa Capitolina.

Per esempio molte cronache riportano che quando il venerabile Adriano, sentendo la necessità che l’Impero allargasse i confini della propria conoscenza e non solo dei propri territori, decise di sottomettere la Grecia, chiese subito consiglio all’esperto Capitano sia su come organizzare la campagna e sia sulla strategia da tenere con quel popolo giustamente così superbo e orgoglioso.

E ancora, al Capitano si rivolse il glorioso Antonino eleggendolo suo consigliere personale, allorché decise che era giunto il momento di trovare nuove rotte commerciali necessarie allo sviluppo dell’Urbe. Il Capitano non si rifiutò mai di essere utile all’Impero, essendone anzi onorato, ma quando Antonino, per omaggiarlo del suo contributo, gli propose di nominare delle importanti vie con il suo nome, vie che collegavano Roma con il resto dei suoi territori, come le arterie con il cuore, egli rifiutò, poiché la sua educazione obbediente ai precetti dei più saggi tra i pensatori greci aveva come fondamento il celebre motto λάθε βιώσας.

Non si risparmiò di pronunciare pubblici discorsi in difesa dei più deboli, discorsi che turbarono assai i Potenti a tal punto che non se ne conserva memoria, ma mai nessuno volle mettere a tacere la sua voce, e persino il feroce Commodo riconosceva in lui un saggio consigliere, come l’unico lume acceso in una notte di tempesta.

Marco Aurelio discuteva con lui i suoi Pensieri, ed era diffuso tra i cittadini romani il sentire che le maggiori tra le opere pubbliche utili per migliorare la loro vita fossero frutto del Genio del Capitano.

Questo è quanto riporto da ciò che ho letto nelle cronache scritte e ascoltato dalle parole riferitemi, affinché possiamo godere dell’esempio di un uomo virtuoso e saggio che con grazia e coraggio ha navigato libero tra gli accadimenti del mondo.

Di come Capitano Findvs entrò in contatto con la furia brètica. Di come, nelle avversità, imparò a cucinare. Di come Roma condannò tale popolo alla damnatio memoriae. Del fatto che la verità appartiene al più forte, mai al più giusto

Durante la sua infanzia, Capitano Findvs trascorse lunghi periodi presso alcuni campi dell’esercito romano situati ora nelle coste, ora nell’entroterra brètico. Egli seguiva il padre, Publio Servilio Findvs, nei suoi viaggi nelle terre ancora non completamente sottomesse all’Impero di Roma. Durante uno di questi soggiorni, essendo stato l’accampamento romano furiosamente attaccato dalla furia brètica ed essendo stato quasi interamente distrutto, Capitano Findvs fu fatto prigioniero e, data la sua giovane età, fu accolto per qualche tempo in una abitazione da quelli che egli aveva sempre considerato come nemici. Egli aveva gran timore e temeva per la sua sorte, avendogli il padre insegnato che i bretti erano gente perfida, violenta, indolente e selvaggia. Tuttavia, in questa abitazione egli fu accolto come un figlio e fu qui che vide per la prima volta le donne di quel luogo preparare del pesce fresco, assai abbondante in quelle coste, combinandolo col grano proveniente dalle terre lucane. Inoltre, essendo tali terre ricche di olio di oliva, si usava friggere il pesce in abbondante olio e da ciò ne derivava un cibo croccante, delicato e prelibato, tanto gusto e tutta forza. Egli soggiornò in tale famiglia per diversi mesi, molto amato dalle donne e rispettato dagli uomini, finché non fu scambiato con altri prigionieri. Tornato libero tra i liberi, e conservando il ricordo di tali esperienze, decise in seguito di aprire una locanda riproponendo il piatto che era stato la sua maggiore fonte di nutrimento durante la sua prigionia. Essendo Roma piena di schiavi bretti sottomessi all’Impero, si sparse subito la voce che in quella locanda veniva preparato un cibo tanto caro ai poveri schiavi, e così col tempo crebbe la fama e la popolarità di quel posto, allargandosi anche oltre i confini di Roma. Divenuto ricco e potente, Capitano Findvs lottò con tutte le sue forze per impedire a Roma di sottomettere quella gente così chiusa ma allo stesso tempo così ricca di forza e di umanità, ma il Senato aveva preso la decisione di invadere definitivamente quelle terre. Non solo ma, ultimata la conquista, tale popolo fu sottomesso alla più detestabile tra le condanne, ovvero quella della damnatio memoriae, storpiando il nome di bretti in bruti, ovvero vili. Da allora, tale popolo porta con sé questa condanna, di essere visto come popolo selvaggio ed empio e, di conseguenza, meritevole di essere orridamente sottomesso alla furia romana, e vano fu ogni tentativo da parte del giusto Capitano di ristabilire la verità.

Questo mi raccontò Capitano Findvs una sera mentre sorseggiavamo liquore di mirto, presente Filotteto, filosofo delfico, e Aurelio Flacco, agricoltore, spiegandomi, non senza manifestare un antico dispiacere, che la verità appartiene sempre al più forte, e mai al più giusto.

Altra storia su come Capitano Findvs inventò i bastoncini, traendo vantaggio dalle avversità

Un giorno Tusculo si avvicino al Capitano, e gli chiese la ragione di un’invenzione tanto semplice e bella come i bastoncini che portano il suo nome, e dei sofficini, e dei filetti di platessa morbidamente impanati. Egli, dopo aver mandato via la servitù, prese a raccontare questa storia, che io riporto per come mi è stata raccontata da Tusculo, avvezzo al vino e alle smemorate svogliatezze della sua giovane età, ma persona di solida memoria quando si trattava di questioni importanti: Capitano Findvs conobbe in giovane età una ragazza di nome Claudia Sulpicia, dai costumi assai vivaci e incline per sua natura all’infedeltà. La conobbe una sera in una locanda lungo il Tevere durante i festeggiamenti in onore di Adriano. Innamoratosi di essa, prese a corteggiarla ma Claudia, così come insegnava il nostro amato Ovidio, mal si concedeva all’uomo innamorato, vedendo in lui una preda già assoggettata al suo fascino. A causa dei continui dinieghi che il giovane Capitano dovette subire a opera della donna, si ammalò di ulcera e soffrì per settimane non potendo mangiare altro che pesce ammorbidito nell’acqua calda. Un giorno però, stanco di quel cibo, decise di cospargere il pesce con del frumento lucano, assai resistente al freddo e saporito, così come aveva visto fare anni prima durante la sua prigionìa. Poi, avendone preparato in gran copia, decise di lasciarne una parte per l’indomani, dimenticandola poi al freddo. Il giorno dopo, notando che il filetto impanato era ancora solido e di bell’aspetto, decise di ritemprarlo con dell’olio bollente, e lo trovò assai gustoso. Invitò poi Lucio Metello, noto anfitrione e gran mangiatore, ad assaggiare la sua nuova creazione e fu tanto l’entusiasmo, che il poeta gli volle dedicare un carme in esametri giambici. Da allora è storia nota, il Capitano decise di aprire una locanda e il suo merluzzo è in seguito diventato famoso in tutta Roma e nell’Impero. Riguardo Claudia Sulpicia, Capitano Findvs non disse altro, se non che è andata in sposa a un console romano, militare in Gallia, con somma gioia di Claudia. L’insegnamento che io e Tusculo abbiamo tratto da questa storia è che anche dalle più infauste avversità possono nascere inaspettate fortune. Dopo di ciò, bevemmo del vino sannita, nero e fermo, e ci dedicammo a comporre enigmi fino a tarda notte.

Della passione di Capitano per la musica popolare. Di quando Lucio Sesto portò Capitano Findvs a un’esibizione di quattro giovani provenienti dalla Britannia. Dell’entusiasmo di Capitano Findvs

In quegli anni, le invasioni dei romani fino al vallo di Adriano avevano attirato nell’Impero orde di barbari dai molteplici talenti. Roma accoglieva con superiorità e interesse tali talenti, e permetteva loro che si esibissero nei teatri, essendo il pubblico oramai stanco delle trame di Plauto o di Terenzio, e nei numerosi spazi pubblici presenti in città.

Il pubblico gradiva molto queste esibizioni: si trattava di spettacoli musicali con giochi pirotecnici, suoni provenienti da strumenti fino ad allora sconosciuti, versi poco legati tra di loro che evocavano visioni bizzarre e spaventose.

Questi cantori portavano capelli lunghi, tonache senza cordoni e sandali slacciati, in segno di protesta contro le convenzioni del popolo dominante. Tuttavia, il suono aspro della loro lingua richiamava sonorità titaniche e il pubblico era sempre molto affascinato da queste esibizioni, spesso accompagnate anche da fumi sconosciuti che, spargendosi nell’aria, rapivano l’anima. Pertanto, il Senato fu sempre tollerante nei loro confronti, come era nei principi del Venerabile Adriano.

Un giorno Capitano Findvs, che si trovava ospite dal suo amico Lucio Sesto nella sua villa alle porte di Roma, si fece convincere da quest’ultimo ad assistere a un’esibizione di uno di questi gruppi, proveniente dalla Brittània. Sebbene lerci, sudati e malvestiti, i quattro giovani ottennero un forte gradimento da parte del pubblico e alla fine dell’esibizione gli stessi Sesto e Capitano Findvs, non senza avvertire una leggera vaghezza nella loro mente, desiderarono andare dai quattro ragazzi a porgere i loro complimenti a nome del Senato di Roma. I quattro ragazzi furono molto lusingati dai complimenti ricevuti, e risposero che avrebbero fatto qualsiasi cosa pur di avere la protezione del grande Imperatore. Essi infatti, sebbene rifiutassero apparentemente la politica dell’Impero, erano al contempo parecchio affascinati da tanta civiltà e splendore.

Fiutata l’accondiscendenza dei quattro e incoraggiato dall’euforia che si respirava nell’aria, Capitano Findvs propose loro un affare: egli li avrebbe fatti esibire nei più importanti teatri di Roma a condizione che i quattro si facessero vedere nelle osterie e nei ristoranti dell’Impero mentre mangiavano i prelibati prodotti del Capitano. In più, durante i concerti, ai lati degli artisti, ci sarebbero state grandi lastre di pietra con disegni di mostri acquatici che promuovevano i prodotti del Capitano Findvs. Entusiasti, i quattro accettarono e nelle successive esibizioni, avendo ottenuta grande popolarità, riuscirono a fare salire anche i consumi di merluzzo fresco impanato presso i loro sostenitori.

Da allora, il gruppo ottenne grande popolarità fino a concepire una grande opera che chiamarono “Murum” e ancora oggi ogni precettore che si rispetti impartisce ai propri allievi alcuni brani di quella monumentale opera. In seguito, numerosi altri commercianti seguirono l’esempio del Capitano e ancora una volta egli dimostrò come, nella vita, è bene trarre profitto e vantaggio da qualunque occasione, anche da quelle apparentemente più curiose e bizzarre.

Questo mi riferì Lucio Sesto in persona, durante un convivio a casa sua, in una limpida notte rischiarata dal vino fermo e dalla luce gentile della luna.

Del tempo che Capitano Findvs riservava agli esercizi spirituali. Di come un giorno s’illuminò. Di come nacque il celebre sorriso sui sofficini

Capitano Findvs era solito trascorrere lunghe ore compiendo esercizi spirituali, impartitagli talora dal liberto Epitteto, talora da giovani filosofi dell’Accademia Stoica, talora da mercanti provenienti da mondi remoti dove tali pratiche erano molto più diffuse. Egli pertanto apprese a dominare il respiro nei momenti in cui sentiva pervadersi dalle turbolenze dell’animo, o contare il numero delle colonne del tempio di Venere Genitrice in ordine progressivo e nel suo contrario, o concentrare il suo sguardo su un pino qualunque della sua villa in modo da portare tutta la sua attenzione su quel vegetale tanto comune tra i cittadini di Roma quanto da essi stessi trascurato. Talvolta invece, amava compiere lunghe passeggiate lungo la via Appia, e celebre è l’aneddoto di un mercante che una sera lo vide vagare per quella via, poco fuori l’Urbe e, offrendosi di riaccompagnarlo, ottenne per tutta risposta dal Capitano le seguenti parole: “Caro viandante, lascia solo colui che vaga, perché è nella migliore compagnia: quella di se stesso”.

Tuttavia, da un po’ di tempo il Saggio Uomo, così devoto agli Dèi (innumerevoli le volte che bruciò dell’incenso in onore di Venere, dopo la conta delle colonne) non trovava pace nemmeno durante questi momenti. Né amava più le sue attività, vedendo oramai i bastoncini e i sofficini solo come del semplice merluzzo ricoperto di rozza panatura.

Fu durante quei giorni che egli ebbe la fortuna di incontrare per caso in una via dell’Urbe un vecchio mercante greco dedito al commercio di olio dal Peloponneso. Egli lo osservò gustare del pane condito con un filo d’olio, un poco di erbette dal buon odore fresco e pochissimo sale proveniente dalle rotte della Numidia. Lo vide mangiare con grande gusto, dopo essersi apparecchiato un’umile tavola adagiando un lembo di stoffa della sua lunga veste su due piccoli massi. Lo vide inoltre ricavarsi una capiente tazza dal suo copricapo e abbeverarsi di acqua fresca proveniente dalle sorgenti della Tuscia. Il Capitano gli si volle avvicinare solo dopo averlo fatto terminare il pasto e, salutatolo e chiestogli il permesso di sedersi accanto a lui, gli disse: “La tua saggezza sta nel trovare tanto giovamento e felicità da gesti così umili. Ma come fai?” Il commerciante greco gli sorrise, lo invitò a gustare dell’altro pane con lui, e gli disse: “Mi riposo adesso da un viaggio lungo la Tracia, ho attraversato poi la collana di monti all’opposto della rotta del maledetto Annibale e ho attraversato i decumani di un’infinità di campi lungo la Padania. Ho fatto delle soste, ma è da giorni che viaggio. Ecco perché questa fetta di pane con l’olio e quest’acqua sono per me così importanti. Perché significa che il mio viaggio è terminato”.

Fu a quel punto che Capitano Findvs si illuminò. Così salutò subito il saggio mercante e, preso da grande frenesìa, si recò nel più vicino tra i suoi tanti stabilimenti di merluzzo sparsi nell’Urbe. Qui si fece preparare una abbondante quantità di croccanti sofficini e, rapito da un improvviso moto di letizia, decise di incidere uno di essi, in modo che il latte caprino contenuto al suo interno fosse del tutto identico a un invitante sorriso. Egli gioì di quell’immagine tanto che, nel silenzioso stupore dei presenti, prese il sofficino e lo sollevò inneggiante in aria. Poi trascinò i suoi salariati a banchettare con lui e insieme mangiarono con grande impeto e bevvero del vino lucano in gran copia e si concessero anche una piccola e inconsueta danza di gioia culminata con abbracci e vigorose strette di mano.

Di ritorno a casa, il Capitano mi confidò di non avere più bisogno dei suoi esercizi: egli era felice, perché aveva capito che la vita svanisce se non siamo noi a dare significato alle cose, che è questo il nostro unico dovere nel mondo, e che non sono le parole a fare felici gli uomini, ma la loro condotta.

Questo scrivo, ripensando al mio amato Capitano, affinché nella notte inquieta del nostro Tempo ci sia umilmente di insegnamento che la vita mentale deve essere sempre di governo e indirizzo alla vita pratica, ma guai se la soverchia.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.