La parte del fuoco di Marco Rovelli

Dalla parte del fuoco, del dolore e dei margini – Il romanzo di Marco Rovelli

C’è una cosa molto bella e potente che TerraRossa Edizioni – piccola casa editrice indipendente pugliese – ha fatto (e sta facendo), ed è quella di aver creato una collana, chiamata Fondanti, che (ri)pubblica quei libri “clandestini”. Sono tutte quelle storie introvabili, dimenticate, che sono state messe da parte, perché magari non hanno trovato il pubblico giusto al momento giusto, o perché schiacciate dal flusso costante di nuove proposte editoriali, ma che qui possono trovare nuova vita. Ed è proprio di uno di questi libri redivivi che vi parlo oggi, La parte del fuoco di Marco Rovelli.

Ogni libro, oltre la storia che contiene, ne ha dietro un’altra, tutta sua. Quella della Parte del fuoco è iniziata nel 2012, quando esce per la prima volta grazie a una piccola casa editrice, Barbès, che dopo due mesi dalla pubblicazione chiude i battenti, rendendo questo romanzo ufficialmente clandestino. Clandestino come lo è d’altronde il protagonista, Karim, tunisino, immigrato e irregolare in Italia, che si trova tutte queste parole cucite addosso, come un vestito troppo stretto che lo rendono visibile a tutti e lo costringono a muoversi al margine. Della vita, delle cose. Nascoste e non viste, sono invece le ferite sotto (e sopra) pelle, quelle che raccontano di una casa lasciata, di un viaggio per mare, dell’arrivo in un paese che non ti vuole e non fa nulla per negarlo.

Eravate fermi in mezzo al mare, e i morti vi hanno aperto la strada. I morti chiamano i morti.
Avete cominciato a morire tre al giorno.
Avevate sbagliato rotta, la benzina era finita, non c’era più da mangiare né da bere. All’inizio eravate in forze, e spingevate i morti giù dalla barca. Poi non ce l’avete più fatta, le forze vi abbandonavano e quelle poche rimaste dovevate preservarle. I morti restavano con voi.

Cosa succede quando, per caso o per destino, la vita di Karim incontra quella di Elsa, donna di buona famiglia, anoressica e autolesionista, per cui è sempre stato tutto troppo? Come lui, Elsa è prigioniera di etichette che non sente sue, eppure le appartengono e la condizionano, che la fanno entrare e uscire da una clinica dalle pareti bianche, o rifugiare in una casa in un bosco.

Caro Karim,
eccomi. Ho deciso di scriverti. Ma prima di leggere la mia lettera vorrei le leggessi le pagine del diario che ho scritto nei giorni in cui mi sei apparso. Voglio che tu capisca bene tutto di me. Tutto, che parola grossa. Qualcosa. Almeno l’essenziale.

Due vite che non potrebbero essere più diverse e lontane l’una dall’altra, che però si trovano comunque quando Karim comincia a lavorare per il padre di Elsa. Come scrive Rovelli nella prefazione, si incontrano perché “la letteratura ha il potere di intrecciare mondi germinandone di nuovi (questo è il suo potere di miracolo)”. Così, quindi, in questa vividissima realtà di romanzo, Karim ed Elsa non sono altro che corpi che si riconoscono nelle reciproche ferite, perché il dolore ci rende uguali, dei sopravvissuti, e dà il diritto di parlare e di ascoltare.

Entrambi hanno la loro storia. Lui cerca di fuggire dall’acqua che invade il sonno e riempie il torace, e finisce a Torino, dove poi verrà rinchiuso in un Centro di Identificazione ed Espulsione (i famosi CIE). Quando uscirà, nemmeno l’incontro con una ragazza, Nevia, disposta a sposarlo, riuscirà a cambiare le cose. Lei, invece, fugge da sé stessa, dalle luci asettiche di una clinica e da una famiglia-fortezza che non la vede e da cui vorrebbe essere vista. Ci provano, ciascuno alla sua maniera, di sbarazzarsi di queste etichette-prigioni, alla ricerca, se non di una forma di salvezza, quanto meno di una pacificazione. Di una parvenza di libertà.

«Quando ti beccano che sei clandestino ti possono portare al centro di detenzione, da dove ti rimandano al paese. A me mi ci hanno portato. Ma sono riuscito a non farmi espellere.» «Bravo», gli dico, «e come hai fatto?».
Lui mi guarda con leggerezza e come di sfuggita dice: «Esattamente come provi tu a sfuggire dalla tua galera». Si alza la camicia, mi espone i suoi tagli.

“Tu non ami la libertà? Io sì. E la scelgo anche se si tratta di provare un po’ di dolore sulla pelle”, dirà Chokri a Karim, quando gli racconterà come non farsi espellere dall’Italia. Eccolo, il punto. Sia Karim che Elsa s’incidono la pelle, perché è solo nel dolore che possono trovare la libertà dal proprio corpo, ed è quella la parte del fuoco di cui si parla nel titolo, che va a riprendere un passo dell’antropologo David Le Breton. I due s’incontrano proprio lì, in quel luogo ardente che altro non è che sacrificare un po’ di sé, nel sangue e nel dolore, per salvare qualcosa. Almeno l’essenziale, come dice Elsa nella lettera a Karim. Sono estremi tentativi di vivere.

Sono stati i morti a guidarci, ti ripeti, e affondi la lama sulle cosce, sul torace, sulle braccia, in verticale. Il tuo corpo è segnato come una prigione adesso, ti sei tatuato le sbarre sulla carne ed è come se fossi fuori finalmente, fuori dalle sbarre, da questo corpo che ti tiene prigioniero.

Doveva uscire il 19 marzo, La parte del fuoco, e invece, a causa dei motivi che conosciamo bene, è stato posticipato al 19 maggio, esattamente due mesi dopo. In questi due mesi in cui il nostro mondo è stato stravolto, si è parlato molto di crisi, sanitaria, economica, e, ovviamente, dell’editoria (che di fatto, però, è in una condizione di crisi perenne). Sono otto i milioni di copie vendute in meno, con circa 134 milioni di euro di fatturato già persi nei primi quattro mesi dell’anno, come recita la ricerca dell’Associazione Italiana Editori (AIE), in collaborazione con Nielsen e IE-Informazioni Editoriali.

Di fronte a questo stato delle cose, in cui è difficile immaginare un futuro certo, in cui finalmente i libri hanno ripreso a uscire, saturando nuovamente il mercato e rischiando quindi di far perdere molte voci nel marasma dei numeri e dei titoli, assume un ruolo ancora più importante un’operazione come quella di TerraRossa Edizioni. Come Rovelli cerca di dare una seconda possibilità ai suoi personaggi, raccontandoci, con una scrittura musicale e tagliente come una lama, di corpi che si muovono ai margini (perché “è dal margine che si comprende la forma delle cose”), così è stato fatto con questo romanzo.

E penso che la valga davvero, un’altra possibilità.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.