Raccontare il dolore: Renzo Paris e Fuani Marino

Ci sono due libri che recentemente sono entrati per caso e di prepotenza nella mia vita. Sono due libri che non potrebbero essere più diversi per forma, per tono e anche per il tipo di voce che li anima. Eppure hanno un tema in comune: la malattia mentale e il suicidio. E la forma, ovviamente, se no non si troverebbero nell‘Osservatorio di narrative non-fiction italiana.

Dettaglio della fotografia di copertina di Miss Rosselli di Renzo Paris, da una foto di Dino Ignani.

Il primo è Miss Rosselli di Renzo Paris, edito da Neri Pozza, il secondo è Svegliami a mezzanotte di Fuani Marino, uscito nel 2019 per Einaudi. Miss Rosselli è una biografia postuma, scritta di Renzo Paris, intellettuale, giornalista, poeta del ‘900, amico e studioso di Amelia Rosselli, di cui racconta la vita, a sua volta grande poeta, musicista e interprete di un secolo breve e lungo, sicuramente complesso. Come il libro racconta la storia di Amelia, così non può che raccontare la sua schizofrenia, la sua ricerca poetica e la paranoia che l’ha convinta a lanciarsi dal balcone della sua casa a Roma, in via del Corallo 25, l’11 febbraio 1996.

È minuziosa questa biografia ed è, come tutte le ricerche della memoria, parziale. È la versione di Renzo Paris di Amelia Rosselli. Paris, dalla morte della poeta, è perseguitato dal suo nome, della sua immagine, è quasi abitato dalla sua vecchia amica, fino a che non decide di raccontare la sua storia. Prova a raccontarla in maniera lineare ma non ci riesce, la memoria è fatta così, e allora salta e ricostruisce la storia dei parenti e dei genitori di Amelia, Carlo e Marion Rosselli, ebrei, comunisti, fuggiaschi e avventurieri. Cerca le prime impronte della malattia mentale che traccerà la vita di Amelia, nell’assenza di entrambi i genitori, nella morte del padre, nell’infanzia raminga, in giro per il mondo, nell’adolescenza a New York, e poi a Firenze, e poi a Roma. Nel successo conclamato degli anni ’80. E racconta gli amori di Amelia, gli amorastri, come li chiama lei, a volte forti infatuazioni, a volte intense amicizie amorose. Come la memoria, dicevo, è una biografia parziale, e talvolta confusa, che dà per scontate informazioni che non sono scontate per chi non ha vissuto la Roma de La dolce vita, gli anni ’60 e ’70, i caffè, i bar aperti fino a tarda notte, il popolino di Trastevere, Pasolini. Sono ricordi, e si accatastano, uno sull’altro, nella memoria di Paris, creando l’affresco di un mondo scomparso e affascinante di una Roma che ci piace immaginare turbolenta, dove possiamo trovare ovunque salotti pieni di artisti dalle opinioni sferzanti.
È interessante che, per mettere insieme i pezzi, Paris giochi con i ricordi. Accatasta poesie, stralci di lettere, pezzi di diario, conversazioni proprie, conversazioni altrui, pensieri propri, pensieri altrui. Parole di Amelia, parole dette ad Amelia. Ricordi di conoscenti via Facebook. È un’ossessione quella di Paris, di ispezionare la vita di Amelia per vederci qualcosa, un senso, una spiegazione, un tentativo di mediazione tra l’immagine che ha di lei, e la fine tremenda che si è imposta, per cercare di non ricordarsela più su quel balcone nel tentativo di buttarsi di sotto, certa di essere braccata dalla CIA. «E ci siamo chiesti io e Carlo perché una poetessa così acclamata si uccise a sessantasei anni, quando gran parte della vita era trascorsa e si trattava soltanto di attendere qualche decennio per spirare nel proprio letto», è il ricordo malinconico di Paris.

E rimettere insieme i pezzi è in realtà anche l’intento del memoir Svegliami a mezzanotte di Fuani Marino. L’autrice indaga, ispeziona la sua mente, alla ricerca di quell’istante che l’ha convinta a buttarsi dal quarto piano di un palazzo, tentando il suicidio. Il libro inizia, accattivante come un romanzo noir: una signora al secondo piano sta preparando da mangiare, quando vede un sacco nero cadere dall’alto e pensa chi è che butta l’immondizia dalla finestra? E invece quello non è un sacco nero dell’immondizia, ma il corpo dell’autrice. Il primo schiaffo che Marino dà al lettore è infatti all’inizio della seconda pagina, e non smetterà di darne, perché questo non è un libro che fa sconti di qualche tipo. Nella sua ricerca Marino scandaglia senza pietà la sua vita, la sua infanzia, i rapporti con la sua famiglia, le malattie mentali pregresse dei propri parenti, ma si sofferma soprattutto sulle cause ambientali. È una detective, freddamente ricostruisce le sue azioni e quelle di chi le sta intorno, il marito, la madre, le amiche. A volte, anche qui, la memoria salta, si confonde. L’analisi dell’autrice è però limpida e sferzante, e la sua ricerca non si ferma alla propria vita, ma si appoggia anche agli autori che parlano di malattia, di suicidio. Legge e studia tutto il dolore di cui può farsi carico.

Dettaglio della copertina di Svegliami a mezzanotte di Fuani Marino.

Appaiono riflessioni su testi come Malattia come metafora di Susan Sontag, o L’anno del pensiero magico e Blue Nights di Joan Didion, parla di Jonathan Franzen nell’elegia dedicata a David Foster Wallace. Ma poi cita Sylvia Plath, Virginia Woolf, Primo Levi, Cesare Pavese, per non parlare dei volumi di studi psichiatrici. «Dico a me stessa che dovrò smetterla, prima o poi, di circondarmi di storie di suicidi o aspiranti tali, ma è come se siano queste a venirmi a cercare». Fuani Marino è ironica e pesa attentamente le parole per descrivere quello che le è successo, studia il caso e cerca di non cadere mai nel pietismo. Quasi ribalta il tavolo e diventa lei stessa uno dei tanti medici che l’hanno visitata. Lei stessa è il suo caso di studio. La narrative non-fiction ha un potere enorme e una grande capacità di interagire con la realtà, molti autori hanno tentato di raccontare l’attualità e provato a modificarla con le loro parole. Penso a grandi esempi come Sia lode ora a uomini di fama, di James Agee e Walker Evans, dove gli autori denunciavano la povertà degli stati del sud degli Stati Uniti durante la Grande Depressione, o lo stesso Gomorra di Roberto Saviano. Certo, di solito viene lasciato questo lavoro al giornalismo d’inchiesta, ma non solo.

Svegliami a mezzanotte è così potente da lasciare senza fiato e l’autrice, nel finale, si rende conto della grande porta che ha spalancato sui disturbi psichici e diventa a suo modo un’attivista, in una delle ultime pagine dice: «Se, come afferma il mio medico, rispetto ad allora la psichiatria e le cure hanno fatto immensi passi in avanti, spero che altri passi in avanti ci saranno in futuro, e che a una donna non vengano più negate delle medicine che possano interferire con il suo allattamento, ad esempio. Che la priorità sia la salute mentale della madre, e non l’allattamento al seno.»

La lotta per capire le cause scatenanti del proprio tentativo di suicidio diventa anche una lotta per la propria credibilità e per la difesa della dignità di tutti i pazienti psichiatrici trattati dalla società come falle del sistema.

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