“La vita involontaria” di Brianna Carafa

La storia di Brianna Carafa (Roma, 1924-1978), la terapeuta-scrittrice, finalista Premio Strega nel 1975 per la “La vita involontaria” (Einaudi, 1975) stava per essere dimenticata del tutto. A luglio la casa editrice Cliquot edizioni, che si occupa proprio del grande lavoro di recupero di scrittori dimenticati, ha pubblicato nuovamente il romanzo con una prefazione di Ilaria Gaspari, che scrive per l’occasione:

«La sorpresa di leggere La vita involontaria è stata grande: la scrittrice di cui non c’era modo di sapere quasi nulla, dalla prosa ipnotica, limpida e così classica, ci viene incontro come una vecchia, nuovissima amica; come quelle amiche che incontri per caso e ti sembra di conoscere da molto tempo, anche se non è vero. Ma gli echi delle voci delle sirene, qualche volta, riescono a farci incontrare anche attraverso insondabili distanze, a farci riconoscere nella nebbia.»

Brianna Carafa

Brianna Carafa discende da una nobile famiglia napoletana. Il padre era il duca Antonio Carafa d’Andria, traduttore di Goethe dal tedesco. La madre Marianne Frankenstein Soderini, di origine polacca, fu una battagliera propugnatrice del suffragio femminile. Purtroppo muore schiantandosi con il suo aereo privato mentre volteggia davanti agli occhi dei familiari. Carafa cresce in un ambiente raffinato aperto ai più importanti influssi culturali europei e popolato da figure femminili forti ed emancipate. A Roma studia architettura e psicologia, divenendo infine psicanalista, oltre che poetessa e scrittrice. Una donna fuori dagli schemi, attiva nei più importanti circoli letterari romani del suo tempo.

Entrata a far parte del gruppo di poeti e intellettuali che si riuniscono intorno alla figura di Angelo Maria Ripellino, nel 1957 pubblica il volume Poesie (Carucci) e nello stesso anno escono sulla rivista Botteghe Oscure i racconti “La porta di carta” e “Il sordo”. Con la casa editrice Einaudi pubblica i suoi unici due romanzi: “La vita involontaria” e “Il ponte nel deserto”, uscito nel 1978 postumo, poco dopo la sua prematura morte.

La prima edizione Einaudi (1975)

“La vita involontaria” era stato il romanzo d’esordio per Carafa. Lei una scrittrice italiana che stava per cadere nell’oblio. Quando il romanzo venne pubblicato per Einaudi aveva uno strillo di Calvino, che al tempo era editor e curatore di collana per la casa editrice, in quarta di copertina: “È un libro di qualità: qualità narrative perché certo ‘succede qualcosa’ e qualità di scrittura, così chiara e ferma”.

Il romanzo è un Bildungsroman, la storia di una giovane vita borghese che sembra seguire le ossessioni e i giudizi degli altri diventando così una vita involontaria. La vita è di un ragazzo, Paolo Pintus, giovane orfano, allevato dalla zia Beatrice nella cittadina di Oblenz, dominata anche nell’immaginario da un manicomio detto dei “Tetti Rossi”. Alla morte della zia verrà poi mantenuto dallo zio Ulderico, che somigliava al padre «nel culto di una concretezza che frazionava la sua vita in tanti doveri spiccioli e in una pedante scrupolosità» (1).

Paolo cerca di costruire la sua identità, districandosi tra rapporti e storie familiari, tra aspettative e disillusioni. La sua vita, che sembra un susseguirsi involontario di eventi, che arrivano piombando per caso, diventa irreversibile e involontaria:

«Niente, mi dicevo, la vita non era niente di singolare o prezioso, bensì un accidente del caso, per me come per un topo, una provvisoria animazione della materia su un pianeta lanciato negli spazi. Non avrei mai lasciato traccia di me. E se anche qualcuno l’avesse lasciata, tra milioni di anni essa sarebbe stata ugualmente distrutta. Eppure non riuscivo a trovare il minimo conforto in tutto ciò» (2).

L’esito del suo percorso personale ha un duro prezzo da pagare: la distruzione di tutto. La necessità di autodeterminarsi diventa assoluta: è una lotta faustiana dell’individuo per essere autentico al di sopra di ogni legame, debolezza e convenzione sociale. Ma forse per trovarsi bisogna prima perdersi.

Paolo scopre che quando fallisci resta soltanto il senso di infinita miseria, dell’essersi perduto chissà quando e dove nell’impresa della vita. Scopre che si può morire più di una volta quando l’amore illusorio con la sua amata Wanda gli spezza il cuore o quando scopre il suicidio di un compagno di università. Allora Paolo si tribola nell’ineluttabile gratuità dei rivolgimenti naturali.

Nella disillusione di controllare il mondo, Paolo fa fatica ad abbandonare i fantasmi della sua infanzia, anche quando parte per Vallona per gli studi universitari in filosofia. L’iniziale ebrezza della libertà e dell’anonimato viene sostituita da un profondo smarrimento di sé e dei propri obiettivi. Una sera per caso, grazie a un incontro, viene indirizzato verso la facoltà di psicologia. incontrerà anche nel suo percorso di vita il “Guaritore di anime”, il dottor Schleibacher che diventerà il suo psicoanalista e mentore fino a sostituirsi a Dio e dunque, come Dio, non doveva avere storia per sopravvivere. Anche lui però si rivelerà fallibile e illusorio, come l’amore, le amicizie, gli affetti e la stessa Vallona, la casa degli specchi dove ogni cosa è il riflesso di altro.

Questo romanzo è la storia di molti. Dovrebbe leggerlo chi vuole ritrovare la malinconia della vita in cui tutti ci somigliamo, chi sta cercando una strada, chi si è perso per la prima volta, chi si è perso già da molte o per svariate volte,  chi ama le verità senza confini netti, chi non vuole perdere la propria autenticità, chi conosce gli animi e chi ha voglia di lasciarsi trasportare in un mondo onirico ma molto molto reale, proprio come nel dormiveglia. D’altronde l’uomo costruisce il suo avvenire con il proprio pensare e agire e un bravo psicanalista, come il protagonista e la stessa autrice, sa che è preferibile uccidere il passato perché non rovini il presente.

La scrittura di Carafa è precisa e chiara, rende vivi i pensieri del suo protagonista dentro la mente del lettore. Un’anima lanciata nel mondo, in frattura con il suo passato e le aspettative del suo piccolo mondo, cerca di modellare la propria vita con dolore, con i dubbi tormentati, fino a diventare l’uomo che avrebbe voluto dal cuore di ghiaccio appellandosi alle forze della ragione per rimettere piede sulla terra.

Note

(1) Brianna Carafa | La vita involontaria | Cliquot Edizioni, 2020, pag. 27

(2) Ivi, pagg. 57-58

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