Alessio Torino

Natura benigna, malvagia, contronatura: Al centro del mondo di Alessio Torino

Non è un caso pubblicare oggi, a ridosso della festa dei morti, questa recensione di Al centro del mondo, ultimo romanzo di Alessio Torino edito da Mondadori. Perché i morti, il sovrannaturale e il mistero sono un elemento imprescindibile per il mondo narrativo delineato da Torino, ancestrale e umanissimo, ricco di vita e di morte, rigoglioso e insieme malato, dannato.

C’è una famiglia, i Bacciardi, o quel che le rimane, che vive a Villa La Croce. Damiano, ragazzo inquieto, lievemente psicotico, ipersensibili agli impulsi esterni come a quelli della sua anima, è la nostra telecamera e bussola emotiva per Villa La Croce. Suo padre, Pietro, si è tolto la vita dieci anni prima, impiccandosi alla vecchia quercia. Sua madre è fuggita, per sempre. Rimangono con lui lo zio Vince, con il cappellino di Trump, una grettezza irresistibile e la voglia di vendere e andarsene a ogni costo. La nonna Adele, unica figura materna e punto di riferimento per Damiano. Il nonno, che ha fatto la guerra ed è l’unico a condividere in silenzio le inquietudini di Damiano.

E rimane soprattutto Villa La Croce, rinominata Villa dei Matti a Fematre, il paesino più vicino. Rimane la manna, quel miele afrodisiaco e benedetto dalla Madonna che viene prodotto da generazioni in Villa La Croce, e che attira tante presenze esterne che vorrebbero accaparrarsi la Villa. Rimane una natura insieme benigna e maligna, che assorbe e riscrive la storia della Villa e dei suoi abitanti, insieme centro del mondo e casa del Demonio.

Dimenticatevi le storie ombelicali a cui ci ha abituato tanta narrativa italiana contemporanea: Alessio Torino ci porta in uno spazio che è allo stesso tempo inferno e paradiso in terra, a metà tra mito e favola nera.

Strano oggetto narrativo, Al centro del mondo. I tanti accenni al demonio, alle potenze sovrannaturali che scaricano a terra tramite la natura e la sua forza, ci potrebbero rimandare alle pagine migliori di Stephen King, quelle che sfruttano il mistero per tradurre le nostre pulsioni. Il Demonio, evocato ossessivamente da Damiano, aleggia così tanto nel romanzo da costringerci a farci i conti, a non riuscire a considerare un’arnia come una semplice arnia, le bestie come bestie, Villa La Croce come un semplice luogo geografico.

Damiano sembra presentarsi come il Pietro Rosi di Con gli occhi chiusi di Federigo Tozzi, l’inetto che subisce una vita e un posto in un mondo che non capisce e da cui sarà sempre un escluso. Ma nello spazio creato da Torino, fuori dal tempo e dalle convenzioni, Damiano è agito e insieme agisce sul mondo di Villa La Croce. Le buone intenzioni e la convinzione di essere guidato dalla Madonna a difesa della Villa lo trasformano nel Damiano/Demonio che provocherà gli avvenimenti più cruenti della storia.

Sarebbe bello riprendere i vecchi discorsi del XIX secolo, quando Leopardi si interrogava se la natura che ci circonda è benigna o maligna, e chiedere a Torino cosa ne pensa. Ma il suo romanzo non vuole darci una risposta, ma provare a porre una domanda diversa. Diversa dell’ecologismo di oggi, molto politico e totalmente estraneo a ciò che sentiamo. Inattuale, se vogliamo, persino pruriginosa. Ma quanto mai necessaria.

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