Angela Saini e il mito della razza superiore

Uno dei libri da leggere in questo 2020 è sicuramente l’ultimo libro di Angela Saini: Superiori. Il ritorno del mito della razza (pubblicato per Harper Collins Italia il 29 ottobre).

Angela Saini

Angela Saini

Angela Saini è una giornalista scientifica britannica di origini indiane, nata a Londra nel 1980, laureata all’Università di Oxford, candidata al prestigioso premio Goodreads Choice Awards Best Science & Technology. Oltre Superiori, ha scritto altri due libri importanti per le sue ricerche: Geek Nation su come la scienza indiana stia conquistando il mondo e Inferior su come la nuova ricerca scientifica stia riscrivendo la storia di discriminazione delle donne nella scienza. Il suo lavoro è apparso su riviste come Science, The Guardian e The New Humanist. È anche una presentatrice alla radio della BBC.

Superiori (pubblicato nel 2019 in UK Superiore: The Return of Race Science) è un libro di saggistica costruito intorno a interviste con esperti, al consenso scientifico e all’analisi dell’autrice, che sostiene convinta che alcuni campi della biologia siano ancora influenzati dalle screditate teorie scientifiche sul razzismo del XIX secolo. Saini delinea le dinamiche di potere che stanno alla base della scienza razziale, attraverso la storia dal British Museum (subito dopo la sua fondazione nel 1753 gli scienziati europei cominciarono a definire il concetto di razza), della Seconda Guerra Mondiale e dell’eugenetica. Il libro cita moltissime ricerche e sfida il razzismo sistemico nella scienza e nella società.

Con gli orrori perpetrati dal Nazismo durante la Seconda guerra mondiale, il mondo della scienza ha voltato le spalle all’eugenetica e agli studi sulle differenze razziali. Però da lì una rete globale di intellettuali razzisti e segregazionisti ha lavorato nell’ombra per finanziare ricerche e fondare riviste specializzate che si propongono di diffondere e sostenere con dati scientifici una presunta diversità nelle capacità cognitive delle diverse razze. Queste idee in qualche modo sono sopravvissute nel modo in cui gli scienziati concepiscono la genetica e le varianti tra i diversi gruppi umani.
Superiori dimostra come persino nella comunità scientifica mainstream sia tuttora radicata l’idea che il concetto di razza abbia un fondamento biologico.

La nostra comprensione di caratteristiche complesse quali l’intelligenza, insieme agli effetti delle influenze ambientali e culturali sull’uomo dal livello molecolare in su, è in costante crescita, eppure resiste con ostinazione la speranza di trovare delle semplici differenze genetiche tra le razze per spiegare una presupposta e diversa distribuzione di povertà o QI o semplicemente per giustificarne i presupposti culturali.

Saini racconta per la prima volta la storia del razzismo scientifico, dalle origini della classificazione sistematica degli esseri umani in base all’aspetto fisico e ai presunti tratti di personalità basati sulla razza, un approccio adottato da una lista di scienziati che comprende Linneo, Darwin e Huxley. Passa poi all’accettazione di queste teorie da parte dell’antropologia e della biologia del XX secolo, insieme alla loro integrazione nelle dottrine politiche sotto il regime nazista. Nonostante gli sforzi deliberati per screditare questo approccio nel dopoguerra, la pretesa pseudo-scientifica che alcune varietà di homo sapiens siano intrinsecamente superiori (o più evolute) di altre non solo è sopravvissuta, ma sta facendo un ritorno. Avendo servito le ideologie della tratta degli schiavi, dell’immigrazione basata sulla razza e dell’Olocausto in passato, il razzismo scientifico è oggi arruolato nella causa della supremazia bianca alimentando anche il riemergere del movimento nazionalista bianco.

Il libro è anche personale, infatti Saini non solo dedica il libro ai suoi genitori, gli unici antenati che conosce, ma attinge alla sua stessa infanzia e al quartiere bianco di estrazione operaia nella parte sudest di Londra dove abitava. La discriminazione razziale che ha affrontato all’epoca la spinge ancora oggi verso uno stile di giornalismo scientifico che cerca di mettere in luce l’ingiustizia. Il suo rinnovato interesse per la genetica e la genomica vuole indebolire le nozioni obsolete e non supportate scientificamente di razza, origini, etnia e identità. Nozioni nate come stimolo per lo sfruttamento di uomini su altri uomini e per la supremazia bianca di gruppi razziali geneticamente distinti. Il concetto di razza non ha nulla a che vedere con la scienza, ma solo con il potere. E il potere della razza è questo: la forza di piegare la scienza ai propri fini.

«La chiave per capire il significato della razza è comprendere il potere. Quando si vede come questo ha plasmato – e continua a plasmare – il concetto di razza, come influenza anche i fatti scientifici, tutto comincia finalmente ad avere senso»

La razza è un costrutto sociale da centinaia di anni. Le idee scientifiche si collocano in contesti politici e culturali ben precisi,  il primo movimento eugenetico britannico eseguendo i test del QI riteneva che tutti nascono con un livello di intelligenza ereditato e immutabile. Questi test decidevano su quali bambini valesse la pena investire e quali no – generalmente i più poveri. Era un divario razziale. Il QI è il risultato anche dell’istruzione, alimentazione, educazione e discriminazione. Però le teorie sull’intelligenza ancora oggi tendono ad avere un carico culturale e non sono da ritenere affidabili.

«La conseguenza logica dell’insistere sul fatto che i divari di QI tra le razze siano determinati biologicamente è che nella società umana nulla si possa davvero cambiare. In un’epoca in cui ad alcuni piace credere che le vecchie regole della diseguaglianza sociale siano state trascese, che il campo da gioco sia livellato per tutti ora che le donne hanno il voto, che i neri americani hanno i diritti civili  e che il colonialismo è finito, ebbene, costoro credono che la biologia sia tutto ciò che resta per spiegare la disparità residua. La disuguaglianza, quindi, deve essere naturale, il frutto della sopravvivenza del più adatto»

Nel XIX secolo, le credenze sulla diversità biologica delle persone non bianche hanno spinto a indagare seriamente sulla possibilità che i neri provassero meno dolore dei bianchi, che la loro pelle fosse più spessa e le loro ossa più dense. Un sondaggio del 2016 condotto tra gli studenti di medicina e i tirocinanti dell’Università della Virginia ha rivelato che la metà di loro credeva ancora ad almeno uno di questi originali miti razziali.

Non si tratta solo di ignoranza storica. Lo snobismo nei confronti delle scienze sociali impedisce anche agli scienziati di accettare pienamente i modi in cui la conoscenza è stata costruita. Senza questa visione a lungo termine, è troppo facile ripetere gli errori del passato o persistere all’attaccarsi a modi antiquati di pensare, come la razza e il genere. Noi comunemente guardiamo alla scienza per cercare illuminazioni, ma se fossero gli scienziati ad avere bisogno di essere illuminati? Per ogni concetto scientifico che i futuri donne e uomini di scienza imparano, ci si dovrebbe anche chiedere da dove viene un concetto, chi lo ha sviluppato e – cosa più importante – perché. Come e se il loro giudizio scientifico viene influenzato.

«Ci sono molti razzisti ignoranti, ma il problema non è solo l’ignoranza. Il problema è che, anche quando si conoscono i fatti, non tutti vogliono porre fine davvero alla diseguaglianza razziale o persino all’idea di razza. C’è chi preferisce che le cose rimangano come sono, o che tornino indietro. E questo significa che chi crede nella realtà biologica della razza non si tirerà indietro se i dati lo dimostrano in errore. Non hanno incentivi ad ammettere la sconfitta intellettuale. Continueranno a cercare nuove ed elaborate teorie quando quelle vecchie falliranno. Se il colore della pelle non può spiegare la diseguaglianza razziale, allora forse lo farà la struttura del nostro cervello e dei nostri corpi. Se non l’anatomia, forse lo faranno i nostri geni. Quando poi anche questo non genererà nulla di valido, cercheranno la cosa successiva. Tutti questi mortali salti intellettuali servono a mantenere lo status quo. Tutto questo per dimostrare ciò che hanno sempre desiderato sapere: che sono superiori»

Il libro tratta di scienza, di storia sociale ma anche di politica moderna. La denuncia alle teorie della scienza della razza per propria natura insidiosa e distruttiva ci deve ricordare che dal punto di vista biologico siamo di gran lunga più simili che diversi.

Il libro precedente è stato Inferiori sul ruolo delle donne nella storia come il sesso debole, o come avrebbe scritto Simone de Beauvoir, il secondo sesso. Incredibile come i due libri siano molto connessi. Negli anni Settanta la letteratura scientifica includeva alcuni riferimenti alle donne cacciatrici sparse in tutto il mondo, dal popolo di Tiwi al largo della costa settentrionale dell’Australia fino agli Inuit nell’Artico ghiacciato. Non ho letto questo libro, ma mi ha fatto pensare al lavoro dell’antropologa Margaret Mead che rifugge da ogni valutazione etnocentrica riconducibile al darwinismo sociale e adotta una prospettiva radicalmente transculturale, mettendo in luce l’inestricabile intreccio di biologia e cultura nel condizionamento del pensiero e dell’azione.

Nonostante ciò i pregiudizi sessisti nel mondo della scienza per decenni hanno dato sostegno all’idea che le donne fossero inferiori agli uomini. Saini scrive ancora oggi, perché anche nel 2020 ne abbiamo bisogno, mettendo alla prova i preconcetti su maschi e femmine e denuncia l’imperare dei pregiudizi nell’ambito della ricerca.

Per decenni gli scienziati, tutti uomini ovviamente, incominciando da Darwin, hanno portato prove a sostegno della superiorità dell’uomo bianco.  Il lavoro di Saini denuncia l’imperare dei pregiudizi nell’ambito della ricerca e incoraggia gli scienziati a perseguire la verità, contro i pregiudizi imperanti che siano sul genere femminile che sul concetto di razza.

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