Il diario di Anne Frank a fumetti

Il primo ricordo tangibile che ho di Anne Frank risale a quando avevo dieci anni. Probabilmente mi era stata menzionata anche negli anni precedenti ma questa mia memoria vivida mi porta indietro fra i banchi di scuola, frequentavo la prima media. La mia insegnante di italiano ci fece leggere un estratto del Diario sul libro di letteratura e ci parlò di Anne, una preadolescente che amava leggere e scrivere e che fu costretta ad abitare per due anni con la sua famiglia e pochi altri in un nascondiglio. Ricordo – e di questo ne sono sicura perché mi definisco quasi ipermnesica – di aver pensato a cosa dovesse aver provato Anne quando lei e la sua famiglia furono scoperti. Provavo a entrare nella testa di una ragazzina che a quell’epoca era poco più grande di me e tentavo di unire paura, sgomento, sconforto e rassegnazione.

Anne Frank, Merwedeplein Amsterdam

Gli scritti di Anne – pubblicati due anni dopo dal padre Otto, unico sopravvissuto – sono un lascito, una testimonianza che spicca tra le molte pubblicazioni da cui siamo circondati soprattutto a gennaio. Tante sono state le edizioni e le riedizioni (basti pensare che le prime copie uscirono il 25 giugno del 1947 con il titolo di Retrocasa: Annotazioni al diario dal 14 giugno 1942 all’1 agosto 1944; una nuova edizione, invece, in cui vennero inclusi note, commenti e informazioni storiche sulla famiglia Frank, risale al 1986).

La primissima edizione è stata riadattata a fumetti da Ozanam (sceneggiatore) e Nadji (illustratore), pubblicata qui in Italia il 20 gennaio da Edizioni Star Comics. Leggerlo mi ha fatto riprovare quella sensazione di cui scrivevo sopra, mescolare stati d’animo che sfociano nella tristezza. Tuttavia nella tragicità della storia – che tutti conosciamo a menadito – ho percepito la speranza di Anne, la sua continua ricerca di leggerezza nonostante la forzata e non facile coabitazione con altre persone, i sogni rivolti al futuro, la delicatezza e l’impegno di sopportare tutto e tutti e di essere grata di essere ancora viva.

«Pensare a quelli che sono andati è un incubo. Come non sentirsi colpevoli? Quando comincio a ridere mi fermo con stupore. Mi vergogno. Ma non posso piangere tutto il tempo. Non servirà a nessuno se restiamo cupi come adesso. Non prendertela, Kitty! Quest’incubo finirà. Sono sicura che le risate ricominceranno a farsi sentire.»

Il giorno del suo compleanno, il 12 giugno del 1942, Anne riceve un diario. Poche settimane dopo la famiglia Frank si trasferisce nel retrocasa, un alloggio segreto nei magazzini della ditta del padre di Anna. Pochi giorni dopo i Frank sono raggiunti dalla famiglia Van Daan con il figlio Peter e in seguito dal signor Dussel che condividerà la camera con Anne. Le giornate sono monotone, ma Anne tenta di sfruttarle al meglio: scrive saltuariamente sul suo diario, studia (ama la mitologia), danza. Occorre stare in silenzio, rispettare regole ferree, non lamentarsi, ma è facile farlo quando si ha tredici anni e l’unica cosa che si desidera è la normalità fatta di scuola, amicizia, chiacchiere e spensieratezza?

La palette usata si differenzia per le tonalità dei colori che diventano sempre più cupi. Le prime tavole, infatti, ripercorrono gli ultimi giorni che Anne e la sua famiglia passano a casa e in giro per Amsterdam e i disegni sono contraddistinti da colori più chiari. Non appena Anne e la sua famiglia entrano in clandestinità i colori si adattano all’umore di Anne in un’alternanza tra viola chiaro e scuro, color sabbia, verde acido, nero.

I rapporti che Anne intrattiene con gli abitanti del Retrocasa oscillano fra alti e bassi e ritroviamo una normalità così tagliente e veritiera che a tratti sconvolge. Anne litiga con il padre e la madre, si scontra con loro e poche volte cerca di reprimere la rabbia che nutre nei confronti della guerra, della situazione, della reclusione forzata. Allo stesso tempo si assiste alla crescita di Anne, alle sue prime mestruazioni e a un sentimento che è qualcosa di più forte di un’amicizia e che l’adolescente prova per Peter, il figlio dei Van Daan.

Il finale lo conosciamo tutti, ma non per questo fa meno male. Io non credo che si debbano ricordare Anne e tutte le vittime dell’Olocausto in un’unica specifica occasione. È ovvio: il Giorno della Memoria è stato istituito per far riflettere e ricordare ciò che è stato, ma è soltanto parlandone di frequente – spaziando tra le stagioni e l’attualità – che l’educazione e la consapevolezza di ognuno si formano. A distanza di anni e anni Anne Frank continua a parlarci. Quello che dobbiamo fare – per tramandare la Storia e la storia – è ascoltare in silenzio e poi riferire agli altri, ai giovani d’oggi, proprio come fanno i libri o, in questo caso, i fumetti.

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