chimamanda-ngozi-adichie

Perché dovremmo essere tuttə femministə

Per vivere più femministə: libri, podcast, arte, musica, newsletter e fonti per allargare gli orizzonti e aprire le menti. Iniziamo con Chimamanda Ngozi Adichie e il suo Dovremmo essere tutti femministi (Einaudi, 2015).

Questo librettino, agile e diretto, ha le sue premesse nell’intervento di Chimamanda a TEDxEuston del 2012. La scrittrice e autrice nigeriana introduce il discorso con un’ammissione: potrebbe essere un argomento scomodo e poco popolare. Noi femministe siamo, in effetti, ben poco pop – nonostante tentativi recenti che spaziano dal merchandising a progetti editoriali – ma sappiamo bene che è “perché ci dipingono così”. Tutto Dovremmo essere tutti femministi è un continuo disvelamento di queste etichette, di questo immaginario insito alla società contemporanea per cui le donne, ancor più quelle che si dichiarano femministe, vengono classificate come superflue, deboli e inefficienti dal meccanismo sociale stesso.

È tutta una questione di parole: lo spiega bene proprio all’inizio, quando elenca le osservazioni (non richieste, ça va sans dire) sul suo definirsi o essere definita femminista che arrivano a pioggia, ovviamente da parte di uomini – ci avete mai fatto caso? Io sì, tanto, soprattutto sotto i post di Vera Gheno: il 94% (numero approssimativo) delle rimostranze provengono da utenti maschi e sono tutti tentativi delicatamente arroganti di sminuire quanto è stato detto, di minare la credibilità del discorso, di suggerire che l’idea espressa è troppo deviante. Sono le parole che perpetuano un comportamento: ho citato non a caso Vera Gheno, che con libri come Potere alle Parole e Femminili Singolari, oltre che alla sua pratica quotidiana di studiosa e divulgatrice, sta cercando di risvegliare il lessico italiano e di riportare la lingua alla sua funzione primaria: quella creatrice.

Some people will say a woman is subordinate to men because it’s our culture. But culture is constantly changing. […] Culture does not make people. People make culture. ¹

Chimamanda Ngozi Adichie, We Should All Be Feminists
il ritratto di Chimamanda Ngozi Adichie è © New Yorker

Chi ha paura della parola “femminista”? Secondo Chimamanda, tutti: è una parola scomoda, che accende i riflettori sul perpetuarsi di un comportamento scomodo. Scomodo per la maggior parte della popolazione mondiale, che è o si identifica come donna.

Alzare la voce – cioè cercare di farsi sentire sopra il rumore di fondo del patriarcato capitalista – non si addice a una femmina: esprime rabbia, volontà di sabotare, è una qualità che si trasferisce automaticamente alla persona, diventando un tratto della sua personalità e non un modo per veicolare le proprie intenzioni sopra le altre voci grosse. Capita anche a me, di autocensurarmi: ogni tanto dico di essere insofferente o irrequieta, sfumature che si addicono meglio all’immagine che gli altri hanno di me, ma la verità è che sono furente: «Of course I was angry. Gender as it functions today is a grave injustice. I am angry. We should all be angry»².

Un’altra questione su cui Chimamanda Ngozi Adichie pone la massima attenzione è quella dell’educazione: per tutto il saggio, i riferimenti ai livelli manageriali delle aziende sono inframmezzati ai ricordi dell’educazione ricevuta e al perpetuarsi di piccole ingiustizie quotidiane anche nei percorsi formativi.

Dobbiamo cambiare quello che insegniamo alle nostre figlie. Dobbiamo cambiare anche quello che insegniamo ai nostri figli.

Chimamanda Ngozi Adichie, We Should All Be Feminists

È un tema che torna pressante anche quando si tratta di stupro: la soluzione maschilista è dire alle donne (ma le vittime di stupro sono anche uomini e everyone in between) di non cercarsela, di non vestirsi in un certo modo, di non bere. Quando, si ribatte, basterebbe dire agli uomini di non stuprare. La colpa e la conseguente responsabilità vengono fatte ricadere sulla vittima e non sul perpetratore: lui è intoccabile.
Chimamanda Ngozi Adichie parla proprio della necessità di mettere in questione l’intoccabilità di certi schemi di genere che vengono trasmessi di generazione in generazione: così, in una piccola scuola in Nigeria diventa normale vedere un bambino (maschio) diventare class monitor (un ruolo di potere) e la maestra (lei può essere una donna: insegnare ai bambini è molto materno) assicurare agli studenti che nessuna femmina potrà mai diventarlo, allo stesso modo nei democratici, avanzatissimi (senti i denti stretti?) States nessuna donna sale troppo in alto in uno studio di avvocati, perché non c’è nessuna donna nei livelli alti dell’avvocatura. Lei non sa che può farlo, i suoi colleghi e superiori (uomini) non sanno che può farlo, non è rappresentata e non può rappresentare – e quindi nulla cambia.

What if, in raising children, we focus on ability instead of gender? What if we focus on interest instead of gender?³

Chimamanda Ngozi Adichie, We Should All Be Feminists

Dovremmo essere tutti femministi è un’ottima introduzione ai piccoli ragionamenti quotidiani che possono, sul lungo andare, scardinare e trasformare una visione patriarcale; un ottimo paio di occhiali da indossare o da far indossare per cominciare a cogliere le tante sfumature che afferiscono all’ineguaglianza di genere; l’inizio di un cammino di gesti e parole per cambiare il mondo e il modo in cui viviamo.


La mia edizione è della 4th Estate Books e la numerazione delle pagine fa riferimento a questa.
¹ pp. 46-46, traduzione mia: «Alcune persone diranno che la donna deve essere subordinata all’uomo perché così è la nostra cultura. Ma la cultura cambia continuamente. […] Non è la cultura a fare le persone. Sono le persone a fare la cultura.»
² pagina 21, traduzione mia: «Ovviamente ero arrabbiata. Il genere, come funziona oggi, è una grave ingiustizia. Sono arrabbiata. Dovremmo essere tutti arrabbiati.»
³ pagina 36, traduzione mia: «E se, crescendo i bambini, ci concentrassimo più sulle abilità che sul genere? E se ci focalizzassimo più sugli interessi che sul genere?»

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.