De Beauvoir e Lacain, due inseparabili

Scritto nel 1954, oggi ritrovato, Le inseparabili, pubblicato contemporaneamente in Francia e in Italia (Ponte alle Grazie, Milano, 2021, traduzione di Isabella Mattazzi, 205 pagine, con un ricco repertorio fotografico) scava nell’amicizia, narrata in prima persona dall’autrice delle Memorie di una ragazza perbene, tra Simone De Beauvoir (Sylvie nella finzione letteraria) ed Elisabeth Lacain (Zazà). Dal primo incontro alla scuola Desir a Parigi, all’epoca della prima guerra mondiale, fino alla prematura morte di Zazà nel 1929 (l’anno della laurea in lettere per De Beauvoir e soprattutto dell’incontro decisivo con Sartre), il volume, corredato da un ingente apparato fotografico e da alcune lettere delle protagoniste, ripercorre il tentativo, per queste donne, di trovare sé stesse e la propria identità in un’epoca in cui l’esplorazione di sé e delle proprie vocazioni, quell’ “attenzione alla vita” di cui parla una delle donne “spezzate” (cfr. Una donna spezzata e Malinteso a Mosca, di recente pubblicazione ancora per Ponte alle Grazie, all’epoca escluso proprio dalla raccolta di racconti compresi in Una donna spezzata) l’assertività verso i propri bisogni in alcuni ambienti erano fortemente ostacolati.

Sylvie / Simone, subito sedotta da Andrée /Zaza, riuscirà a vivere la sua vita, a restituire almeno letterariamente quella di Zaza nelle Memorie. Zazà, calata in un contesto familiare e sociale conformista e borghese non riuscirà invece a sopravvivervi.

“Fece un viaggio in Italia; al ritorno, mi parlò dei monumenti, delle statue, dei quadri che le erano piaciuti; invidiai le gioie che aveva provato in quel paese leggendario, e guardavo con rispetto quella testa bruna che racchiudeva immagini così belle. La sua originalità m’inebriava. Curandomi meno di giudicare che di conoscere, io m’interessavo di tutto; Zazà sceglieva”.

Così De Beauvoir nelle Memorie. Le inseparabili indaga proprio la natura del sentimento che la legava alla donna, di cui l’autrice restituisce sulla pagina le intemperanze caratteriali, l’istintività, la vitalità soprattutto, stroncate dal clima oppressivo e costrittivo della sua famiglia. Per De Beauvoir la partita da giocare è sempre stata anche tutta nel campo delle relazioni umane. In Simone De Beauvoir vista da Simone De Beauvoir, l’appendice a I mandarini (Cfr. La forza delle cose), il romanzo dedicato a quella generazione di intellettuali vissuti nella Parigi esistenzialista del secolo scorso, si leggono queste parole: “Ho salvaguardato la mia indipendenza perché non ho mai scaricato su Sartre le mie responsabilità, non ho aderito a nessuna idea, non ho preso nessuna risuoluzione senza averla prima criticata e fatta mia”.

Il tono della narratrice è sempre estremamente lucido, anche quando affronta la natura del sentimento che la lega a Zazà: le parole affondano in maniera chirurgica, asciutta: caratteristica, questa, che emerge anche negli scritti pubblicati anch’essi nel 2021 da L’Orma editore (La femminilità, una trappola. Scritti inediti 1927/1983, traduzione di Elena Cappellini, Beatrice Carvisiglia, Camilla Diez, Claudia Romagnuolo, Elena Vozzi). Le fotografie che corredano il volume illustrano gli anni più fertili e creativi, per molti artisti: ecco quindi raffigurato il Café de Flore, De Beauvoir e Sartre al luna park della Porte d’Orléans, la fotografia di una bambina dall’espressione intensa e severa, una giovanissima De Beauvoir, ancora, e naturalmente la famiglia Lacoin, la prima immagine dell’intero apparato iconografico. È possibile quindi seguire e ammirare la grafia delle due inseparabili in alcuni esemplari di lettere qui riprodotti, da quella minuta e fittissima di Zazà a quella più ariosa e tondeggiante di De Beauvoir. Emergono poi anche quelle relazioni amorose stroncate dai doveri sociali (incarnati e costantemente sventolati come un baluardo dai parenti), a partire da quella che vide Zazà adolescente innamorarsi del cugino Bernard; fino a Pascal Blondel, alias Maurice Merleau Ponty.

Proprio a questo punto della narrazione, nello svolgersi amaro del giro di vite attorno all’amica di Sylvie/Simone, nel raccontare gli ostacoli posti dalla famiglia di Zazà nei confronti della relazione con Merleau Ponty, emergono le “cesoie spirituali e fisiche” che hanno spezzato l’animo della donna, morta in una solitudine profonda. Era, questa solitudine, quella tipica di un “esilio interiore”, come scrive Sylvie Le Bon De Beauvoir nella postfazione, in un’epoca in cui nel ceto altolocato le giovani donne erano ferocemente in compagnia, sempre. La loro vita, assimilata a uno slalom continuo tra ricevimenti, feste, debutti in società, matrimoni combinati, visite e doveri sociali, annullava qualsiasi iniziativa individuale. La solitudine esistenziale che ne derivava, per caratteri così originali e curiosi come Zazà, era insostenibile. Nel tentativo di sfuggire agli obblighi imposti dal ceto sociale di appartenenza leggiamo di una giovane Zazà che si ferisce un piede con un’ascia, pur di poter evitare l’ennesimo ritrovo in società, che quella volta ha la forma di un’escursione nei Paesi Baschi con alcuni amici. Anche per questo “l’amicizia amorosa” come la definisce Sylvie Le Bon De Beauvoir (in un recente incontro online disponibile al link L’Henre – Les inséparables (editionsdelherne.com)) rivitalizza le due giovani, apre una possibilità altrimenti negata sulla vita, e fornisce nuove informazioni sui primi anni di vita di De Beauvoir.

I  “dogmi mortiferi” (sempre dalla postfazione) hanno minato e fiaccato la personalità radiosa, la persona tutta di Zazà. Soprattutto su questo aspetto, il libro, da leggere con in controluce le Memorie, restituisce una verità. Storica e incontrovertibile, intima e universale. Illuminandola sia nel suo aspetto storico -culturale, che in quello relativo allo svolgersi di un’amicizia, De Beauvoir omaggia l’amica mancata in giovanissima età, morta prematuramente forse anche a causa del suo mancato adattamento a un modello sociale e culturale che mai avrebbe potuto abbracciare la sua personalità.

Raffaella D’Elia

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