Non essere all’altezza. Ovvero la fine dell’impero universale di Alessandro

Nel tempo della Storia, la decadenza degli imperi è una questione di secoli, in cui le figure dei fondatori sono ben distinte dai responsabili della caduta. Una storia diversa è quella dell’impero fondato da Alessandro Magno, che non sopravvisse che pochi anni a colui che l’aveva creato. Non c’è distanza tra i protagonisti dell’ascesa dell’impero e i responsabili della sua disgregazione: alla morte di Alessandro, furono gli stessi protagonisti delle sue campagne a contribuire alla fine del sogno di un impero universale.

È questo che rende speciali le vicende che James Romm ricostruisce nel saggio Il fantasma sul trono, pubblicato in Italia nel 2020 da Keller. Romm racconta i fatti storici come se fossero un romanzo, tanto che nel riportarli sembra quasi di fare degli spoiler imperdonabili. L’autore salta da un protagonista all’altro, concedendosi cliffhanger e divagazioni sulla psicologia dei protagonisti, dimostrandosi abile a gestire il racconto di un evento storico caratterizzato dal grande potenziale narrativo, ma anche da un susseguirsi di vicende che, se non fosse per l’abilità di Fromm, rischierebbe di diventare presto caotico.

Fromm prende il lettore per mano, accompagnandolo in questo caos senza lasciare che vi si perda. È abilissimo nel gestire le fonti antiche, tanto da potersi permettere di citare anche i più improbabili resoconti, distinguendo sempre quando siamo di fronte a suggestioni improbabili o a ricostruzioni affidabili con il rigore che ci si attende da un accademico, lui che è professore al Bard College di Annandale. Il risultato è un libro in grado di rivolgersi tanto a un lettore interessato di storia antica quanto capace di coinvolgere un lettore meno specialistico.

La notte della morte di Alessandro, l’11 giugno 323 a.C., i suoi compagni sono riuniti nel palazzo di Babilonia. Sulle loro spalle ricade il compito di assumere la reggenza di un impero esteso su tre continenti. Il candidato più credibile alla successione è il figlio che Rossane, la moglie battriana di Alessandro, porta in grembo: se fosse maschio, erediterebbe il regno. Su di lui scommettono i vecchi compagni, riuniti dal più pragmatico di loro, Perdicca, sotto il trono vuoto di Alessandro, ornato con la sua armatura e il suo diadema.

Perdicca deve organizzare la successione prima che la notizia raggiunga i generali della vecchia guardia come Antipatro e Cratero, da sempre contrari al progetto di un impero multietnico. Anche l’esercito riunito a Babilonia però vuole giocare un ruolo in questa partita, eleggendo sovrano per acclamazione Filippo Arrideo, il fratellastro di Alessandro.

Filippo soffre di gravi problemi cognitivi ed è incapace di regnare, ma agli occhi dei veterani il suo sangue macedone basta a renderlo più degno del trono rispetto al figlio non nato di una donna asiatica. Sotto la minaccia delle armi, Perdicca è costretto ad accettarne l’elezione, ma pochi giorni dopo, al termine di una finta cerimonia militare, i suoi elefanti da guerra calpestano a morte i comandanti dell’esercito. Il nuovo re, Filippo, sopravvive: può sempre tornare utile e Perdicca, dopotutto, è un uomo pragmatico.

La sua contestata autorità si fonda non solo sul tutorato esercitato sui due co-sovrani dell’impero – a Filippo si è unito il figlio di Rossane, Alessandro IV – ma anche sul possesso materiale della salma di Alessandro, che desidera riportare in Macedonia; da lì avrebbe legittimato i due successori e il governo di Perdicca nel loro nome, un governo ormai messo apertamente in discussione dal vecchio Antipatro.

Intanto Tolomeo – uno dei compagni che Perdicca aveva allontanato, affidandogli il governo dell’Egitto – prepara un colpo di mano. Più interessato a costruire un regno per sé che alla reggenza, ha bisogno solo di un simbolo di legittimità, e quale più adatto della salma di Alessandro? Nell’anarchia in cui è caduto l’impero, non c’è nulla che non possa essere comprato, nemmeno il corpo di un re. Ma Perdicca non è disposto ad accettare questo furto senza reagire.

Mentre il suo braccio destro Eumene tiene impegnati Antipatro e il suo alleato Antigono Monoftalmo in Asia Minore, Perdicca si porta in forze in Egitto. Ma il suo realismo sta per scontrarsi con la realtà della guerra. Prima ancora di poter ingaggiare i suoi nemici, il suo esercito si disfa nei guadi del Nilo, portato via dalle correnti. E Tolomeo può comprare anche la vita di Perdicca, per poi rifiutare la custodia dei due re: lascerà ad altri la possibilità di morire per l’eredità di Alessandro.

Intanto, Eumene ottiene un grande trionfo, senza sapere che la sua guerra è persa. Tra tutti i generali, è stato l’unico ad aver affrontato e vinto una battaglia fino a quel momento. Non soltanto; questo scriba greco scopertosi stratega si è permesso di sconfiggere e uccidere Cratero, il leggendario comandante dell’esercito di Alessandro durante la campagna d’Asia.

Ha vinto, ma non c’è niente in palio per lui, escluso da ogni reggenza in quanto greco e disprezzato per le sue origini dalla nobiltà macedone. Quando il conflitto era scoppiato, aveva dovuto scegliere una posizione, che per lui era inevitabilmente a fianco della casa reale a cui doveva tutto. Eumene si trova inseguito dai nemici, condannato a morte dai suoi alleati e alla testa di un esercito che lo disprezza e a cui è unito dal solo vincolo della condizione di fuorilegge.

Non racconto oltre il proseguire di queste vicende e il ruolo che i protagonisti hanno ricoperto nella loro evoluzione. L’epilogo, almeno in termini generali, è noto, ma il fascino maggiore della lettura consiste nel seguire i destini dei personaggi minori e il loro muoversi sulla scena, spinti dalle opposte ambizioni, vittime di un inevitabile fato che, nonostante l’affannarsi, giunge inevitabile e divisi tra i pochi disperatamente di preservare il regno e i molti che invece sono disposto a farlo crollare, pur di poterne governare le rovine.

I regni nati dalla frammentazione dell’impero di Alessandro crearono una nuova struttura di potere nel Medio Oriente e nell’Asia Minore, bilanciata attorno ai tre stati successori più grandi: il Regno di Macedonia, l’Impero Seleucide e l’Egitto Tolemaico. Il loro disfacimento sarebbe stato sì una questione di secoli e per tutti loro la fine sarebbe arrivata per mano della nuova potenza egemone del mediterraneo: Roma. Ma questa è la storia di un altro declino.

Alessandro Buscaglia

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