Tributi alla terra

In bosco di Daniele Zovi – Leggere la natura camminando

La letteratura ambientale attrae sempre più interesse da parte di giovanə e meno giovanə. Il desiderio di comprendere le contraddizioni del mondo in cui viviamo, infatti, passa anche dal narrarlo. Da qui nasce la rubrica Tributi alla terra, un nuovo spazio dedicato alla recensione di romanzi, saggi, fumetti (e molto altro) dove l’ambiente è protagonista in tutte le sue sfaccettature. Ogni mese, Tributi alla terra – titolo ispirato dall’omonimo graphic novel del fumettista Joe Sacco – vi terrà compagnia con nuove storie da leggere per (ri)conoscere le disfunzionalità del nostro tempo e provare a trasformarle prima di tutto con nuove parole e nuove immagini.

“È quasi l’alba, Daniele Zovi finisce di preparare lo zaino, allaccia gli scarponi e lascia la sua casa per andare in bosco” portandoci con lui a scoprire la magia dell’altopiano di Asiago. Ed effettivamente la scrittura di Zovi è talmente appassionata e coinvolgente che leggendo In bosco. Leggere la natura su un sentiero di montagna (Utet, 2021) ci sembra di scarpinare insieme per duecento pagine e trenta chilometri attraverso i sentieri del territorio dei Sette Comuni e le terre di Mario Rigoni Stern, di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita.

Il giro che Daniele Zovi ci racconta tramite una scrittura autobiografica e autonaturalistica, come scrive Fratus su Green and Blue de La Repubblica, non è un giro insolito per lo scrittore-camminatore. Al contrario, Zovi conosce a menadito quei sentieri appartenenti ai luoghi dietro casa di cui la pandemia ci ha fatto riscoprire il fascino un po’ per le restrizioni alla mobilità su lunghe distanze, un po’ per il bisogno di evadere dall’insostenibile soffocamento della vita urbana. Come lo stesso scrittore osserva, il giro che ha organizzato lo riporterà sui passi che ha fatto molte volte, delineando un percorso all’apparenza privo di troppe sorprese: sono strade cha ha percorso più e più volte tra salite, discese, boschi, pascoli, spazi aperti, sconfinati e luminosi. Eppure, malgrado un’esperienza di lunga data tra le terre di una vita, le pagine del libro restituiscono sensazioni di meraviglia e stupore a ogni passo, dando vita a un’immagine di Zovi che, proprio in virtù di una profonda conoscenza e di un amore sincero verso la montagna, sa bene quanto uno stesso sentiero sia oggetto di continui cambiamenti che si riflettono inevitabilmente su chi lo percorre, a prescindere dalla difficoltà del cammino e dall’impegno che questo richiede.

So che mi sentirò un po’ diverso, una volta tornato, non esiste percorso senza cambiamento, e a casa, appena mi toglierà gli scarponi, avrò nostalgia della speciale qualità delle situazioni scomode, e di quella solitudine che ti fa sentire parte di un tutto.

Le carte che accompagnano il racconto ci conducono alla scoperta di un territorio frequentato da molti ma realmente conosciuto e vissuto da pochi. L’altopiano di Asiago, celebre per essere stato teatro di alcuni dei più sanguinosi scontri durante la Grande Guerra, rivive attraverso la cartografia, i pensieri, le emozioni e le parole di Zovi che non può esimersi dal descrivere l’eccitazione nel preparare lo zaino per il cammino (fedele compagno di viaggio), la felicità nel pensare a chi incontrerà lungo la strada (ungulati e licheni, fiori e funghi che creano simbiosi obbligatorie, gli abeti spezzati dalla tempesta Vaia, il monumento ai partigiani caduti sotto il piombo nazifascista…), la trepidazione di mettersi in marcia da solo, per molte ore, con il telefono spento e la curiosità a far da guida. Come la letteratura ci insegna (Thoreau, Camminare, La Vita Felice, 2009; Walser, La passeggiata, Adelphi, 1976; Le Breton, Il mondo a piedi, Feltrinelli, 2010; Rumiz, A piedi, Feltrinelli, 2012; Solnit, Storia del camminare, Ponte alle Grazie, 2018), camminare è sempre un’avventura che ci mette di fronte all’inaspettato fuori e dentro di noi e che ci lascia liberi di pensare senza perderci nei nostri pensieri.   

A stare fuori dai sentieri si vede sempre qualcosa di nuovo, la forma insolita di un albero, un fungo dai colori vistosi che si affaccia dalle fessure della corteccia di un tronco marcescente, un sasso coperto da muschi che sembra un animale.

In bosco è un autentico racconto delle geografie stratificate che si impara bene a riconoscere camminando in montagna. La geografia dei paesaggi lontani e quella sotto i nostri piedi sono entrambe parti essenziali di uno sguardo che è sempre attento a cogliere i minimi dettagli della vita circostante, sia essa in cielo, tra gli alberi, dietro i cespugli o nel sottosuolo, dove prolifera una quantità incalcolabile di organismi microscopici centrali in tutto il funzionamento di quel che vive. Per accorgersi dei tasselli del gigantesco mosaico di cui siamo parte, tuttavia, bisogna sia uscire dalla traccia del sentiero sia trovare il giusto ritmo nell’andatura. Per godere a pieno dello spettacolo alle diverse altitudini, gambe, cuore, polmoni e testa devono allinearsi e trovare la loro cadenza: salire lentamente, con passi brevi, se serve allungare il percorso ed evitare le salite troppo ripide. Soprattutto respirare pensando che, quando si cammina tra i rumori del bosco e i silenzi della bocca, non si è mai soli: quando camminiamo, le persone che popolano il nostro teatro interiore anche lontanamente si riattivano con più facilità, scrive Zovi, ed è probabile che ci tornino in mente ricordi che credevamo svaniti, volti che pensavamo di non poter più mettere a fuoco, conversazioni, voci ed eventi lontani ma anche sensazioni di attraversare un mondo remoto, un’esistenza lenta e antica.

La montagna, infatti, non è solo luogo di ritiro dal caos urbano né, fortunatamente, solo turismo di massa. Le montagne sono molto più di ciò che la maggior parte di noi conosce con le gite della domenica e molto più di ciò che ci viene raccontato dalle narrazioni dominanti che le ritraggono vuote, spopolate, arretrate rispetto a un ideale standardizzato di progresso che ha la città e la pianura come elementi centrali di un modello industriale dai limiti sempre più visibili. Al contrario, la montagna è stata – e continua a essere – viva, abitata da comunità mobili, connesse e in costante dialogo; i boschi, frequentati di continuo e non senza fatica, rappresentano tutt’oggi uno spazio che offre possibilità di veder sorgere innovazioni e sistemi sociali alternativi; i paesaggi montani, trasformati in modo radicale nel corso del secolo scorso, mettono in luce la crescente fragilità delle terre alte di fronte alla crisi climatica ma tornano anche al centro di una nuova resistenza, come illustra Mauro Varotto in Montagne di Mezzo. Una nuova geografia (Einaudi, 2020).

Capita che la fatica diventi una cattiva compagnia e ci faccia vedere il limite delle nostre forze come insormontabile, ma so per esperienza che superato il momento di crisi il sentiero sembrerà più piano. Grazie a camminate come questa ho imparato che siamo più forti di quello che pensiamo: vale per tutti.

In bosco apprendiamo che camminare è rallentare, sentire i rumori, osservare un fiore, portarsi dietro lo stretto necessario lasciando a casa il superfluo, riconoscere la fatica senza farsene sopraffare, provare felicità. Ma è soprattutto comprendere l’ecologia profonda che sottende i rapporti tra il vivente, umano e non-umano. Il cammino, specialmente quello solitario, aiuta a farci rendere conto che non siamo altro che nodi nella rete di interconnessioni della vita, come scrive Elisa Cavazza nell’introduzione a Siamo l’aria che respiriamo (Piano B, 2021) di Arne Næss, fondatore dell’ecologia profonda. Secondo Næss, inoltre, la montagna insegna la modestia, che è poi conseguenza di un modo di intendere noi stessi come parti della natura nel senso più ampio del termine. Attraverso il quaderno d’appunti di Zovi, intervallato da osservazioni, pensieri, aneddoti e riflessioni intime è possibile, per chi legge, prendere consapevolezza del nostro essere una minoranza – seppur gigantesca in termini di numeri e d’impatto – su questo pianeta. Che è poi l’insegnamento prezioso che le montagne offrono a chi sa ascoltarne il linguaggio nascosto, tutt’altro che silenzioso.   

Qui ho rallentato, ho perso tempo, ma perdere tempo qui assume il significato contrario di guadagnarlo. È tempo guadagnato respirare a pieni polmoni, lasciando che l’aria entri ed esca, che ci attraversi donandoci odori dimenticati. È tempo guadagnato guardare da vicino il sottile filamento del muschio che spinge verso l’alto le sue capsule piene di semi. È tempo guadagnato guardare dal margine del bosco il paesaggio che si alza, si stende, danza e sembra un organismo gigante là da sempre, che comprende tutto, anche noi, la cui vista ci dà sollievo.

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