Crescere è una favola nera. Morsi di Marco Peano

E pensare che in redazione sono stato l’ultimo, in ordine di tempo, ad appassionarmi della scrittura di Marco Peano. Eravamo in molti, qui su Tropismi, ad aspettare un nuovo romanzo. Ci eravamo lasciati nel 2015, in una presentazione alla Coop Ambasciatori di Bologna, una buona parte di noi ad ascoltare lui e Fois dialogare su L’invenzione della madre, la sua opera d’esordio. Io no, ero già a Torino, vicino a quelle Valli di Lanzo tratteggiate nell’ultimo romanzo di Peano e che sembrano, invece, lontanissime.

Cristina, nella sua recensione, aveva definito L’invenzione della madre “un romanzo che incarna il dolore e che lo rende vivo”, e si potrebbe dire la stessa cosa di Morsi, uscito da pochi giorni per Bompiani.

I morsi a cui allude il titolo sono quelli della strana pandemia che avvolge Lanzo, dove gli abitanti, o per meglio dire gli adulti, vengono colti da strani raptus che cominciano con i morsi del titolo per arrivare a conseguenze ben più tragiche.

La natura horror del libro farebbe pensare di primo acchito agli ormai canonici morsi del conte Dracula o al vampirismo, ma saremmo totalmente fuori strada: lo strano morbo rende i malcapitati più simili a morti viventi, privi di qualsiasi umanità, devastati dalla violenza che si infliggono.

L’incarnazione del dolore, dicevamo. Peano digerisce (è proprio il caso di dirlo) la lezione di Stephen King e ci porta in provincia, l’autentico bacino del male. Lanzo è una Derry che vive delle tradizioni degli abitanti, di un passato orgoglioso che non vuole lasciare il passo a ciò che deve arrivare, di una dimensione familiare che permea i rapporti tra gli abitanti.

Vediamo Lanzo dagli occhi di Sonia, una ragazza che sta cercando le coordinate in un mondo ancora in miniatura e con i punti di riferimento incerti: la nonna, ad esempio, insieme fata madrina e strega maligna, anzi masca.

Morsi ha un ritmo e una prosa che ti spingono a girare pagina senza abusare di colpi di scena o di cliché a basso costo tipici di certe storie di genere: la paura che permea i luoghi del racconto è stagnante, insostenibile, ma mai urlata.

Morsi riesce nel piccolo capolavoro di tenere insieme un romanzo di formazione, uno spaccato del Piemonte più vero e anacronistico, un racconto di genere e un atlante sentimentale del diventare grandi, il vero grande tema del romanzo. In mezzo, a tenere ed amalgamare il tutto, quelli che Peano definisce, con una formula che ho amato, “il truciolato dell’esistenza”. E una domanda: al bivio dell’età adulta, con un’infanzia passata nella periferia più irriducibile, è meglio andarsene o rimanere? Forse ad essere davvero importante è il coraggio di scegliere, a prescindere da cosa. Nella favola nera di Peano, con il dubbio che sia impossibile non tanto trovare un lieto fine quanto salvarsi, è questa l’unica grande morale.

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