Tra le pagine scure. Libri che mi hanno rovinato la vita di Daria Bignardi

Non so cosa facciate voi quando vi invitano in una casa che non conoscete. Se chiedete di fare un piccolo tour, fate i complimenti per l’arredamento o per una pianta di fiori che vi ha colpito, se invece rimanete vicino alla posta spostandovi da una gamba all’altra, in attesa che la persona che vi sta ospitando faccia la sua mossa.

Io, di istinto, mi avvicino alla libreria. Leggo i titoli, certo, ma non solo: cerco di capire qualcosa, qualsiasi cosa dal modo in cui sono disposti, dall’usura, dalla presenza o meno di pieghe, segnalibri, orecchie. Cerco di leggerci dentro, metafora banale, l’anima del padrone o padrona di casa. Un po’ come diceva De Gregori, che qualcosa rimane tra le pagine chiare e le pagine scure.

Daria Bignardi non mi ha mai ospitato a casa sua, non ancora almeno, ma mi ha permesso lo stesso approccio. Libri che mi hanno rovinato la vita e altri amori malinconici, edito da Einaudi Stile Libero, è la sua ultima fatica letteraria. Dopo otto romanzi, spesso ispirati dalle vicende biografiche dell’autrice, Libri che mi hanno rovinato la vita è insieme memoir, autobiografia tematica e breviario di frammenti di esistenza di vita e letteraria, che sono un po’ la stessa cosa.

Daria Bignardi

Ho inventato un ricordo. Ero convinta che il mio primo amore tormentato fosse stato per un cupo romanzo di Djuna Barnes intitolato La foresta della notte.

Ero sicura fino a ieri mattina di averlo letto a tredici anni e che in copertina ci fosse l’immagine di una donna che fumava.

Ricordo mentre lo leggevo il fremito di desiderio di diventare, da adulta, identica alla protagonista. Un’intellettuale sofisticata, colta, dissipata e nevrotica – così la vedevo. La sua trasgressiva vita notturna e i salotti letterari della Parigi degli anni Venti sembravano, dalla mia cameretta di Ferrara, il paradiso. Ricordo anche il momento – che collocavo attorno ai miei trent’anni – in cui ho sentito di essere diventata davvero simile alla donna di quel romanzo: se non raffinata, almeno nevrotica. Ma vista da dentro quella complicatezza era molto meno affascinante di come me l’ero figurata, anzi era faticosa e miserevole. Quando lo capii maledissi la mia pessima determinazione nel cercare di mettere in pratica i sogni.

Djuna Barnes, Fëdor Sologub, Friedrich Nietzsche si alternano per raccontarci qualcosa della giovane Bignardi, il fascino verso il tormento e un certo modo di consumare la vita per goderla appieno. E Bignardi ci racconta il nodo che sta alla base di queste letture: una certa idea di mondo, che vede la bellezza indistinguibile dalla sofferenza e l’eccesso come chiave di lettura per comprendere e plasmare il presente.

Libri che mi hanno rovinato la vita è un diario sentimentale che diventa racconto di formazione, letteraria e non solo, in cui Bignardi libera le energie nascoste dei suoi libri del cuore per affrancarsene, in un commiato affettuoso quanto inevitabile.

Bignardi ha il dono di far parlare le persone, come ammette tra le pagine del suo Libri che mi hanno rovinato la vita. Lo ha fatto egregiamente nei suoi programmi, da Tempi moderni alla prima, memorabile edizione del Grande Fratello, dalle Invasioni Barbariche a L’assedio. Ed immaginandola sfogliare le pagine dei libri dei suoi ricordi, tanti Adelphi, alcune vecchie edizioni, la vediamo dialogare con personaggi distorti, autori e autrici dalla vita maledetta, suggestioni letterarie, ipnosi collettive, raccontandoci qualcosa di importante su se stessa e forse su tutti noi.

Non è poco.

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