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Anche questo è femminismo: intervista a Francesca Anelli (Bossy)

Per vivere più femministə: libri, podcast, arte, musica, newsletter e fonti per allargare gli orizzonti e aprire le menti. Oggi scopriamo perché femminismo non è parità tra uomini e donne ma molto, molto di più, grazie a Bossy e Tlon.

Invece che definire cosa sia femminismo per esclusione, limitazione o processo di eliminazione, il progetto femminista intersezionale Bossy agisce per aggiunta, nel proprio attivismo e nelle proprie attività di ricerca. E anche nella raccolta di saggi edita da Tlon: Anche questo è femminismo spiega come classismo e abilismo, per nominarne alcuni, siano frutto del neoliberismo patriarcale, e come la giustizia climatica sia qualcosa per cui il femminismo si debba battere, esattamente come per tutte le marginalità e le discriminazioni che sono il pane dei suoi (nostri) denti.

Ne ho parlato con Francesca Anelli, che si occupa di autodeterminazione, femminismo e digitale e che per Anche questo è femminismo ha scritto il capitolo dedicato al classismo.

Intervista a Francesca Anelli

Quando hai capito che tu e il femminismo eravate fattə l’uno per l’altrə?

Forse lo ha capito mia madre prima di tuttə, quando alle elementari mi ha regalato un libro della collana “le ragazzine” che parlava proprio di femminismo. Aveva capito come direzionare tutte quelle domande da guastafeste che già avevo iniziato a fare (eheh).

Anche io mi definisco transfemminista. Ma come lo spieghi/descrivi a chi ne è digiunə?

A chi conosce già qualcosa della storia del femminismo posso dire che è un movimento, guidato da femministə trans+, che cerca di superare il femminismo della differenza mettendo al centro l’autodeterminazione (anche di genere) delle persone. Paroloni difficili a parte, il punto principale è mettere in discussione i ruoli di genere senza però creare standard di femminilità o maschilità, anzi andando oltre questa stessa rigida dicotomia e dare centralità alle esperienze e ai saperi delle persone trans+.

Nella raccolta Anche questo è femminismo hai parlato di classismo. Ce ne siamo accortə in modo allarmante durante la pandemia, che ci ha spintə anche a ripensare il nostro equilibrio lavoro/vita.
Nel tuo saggio, discuti della necessità di ripensare il concetto di produttività e successo: da persona che lavora a Milano ma che non riesce ad aderire a questa città, sono totalmente d’accordo. Da quando l’hai scritto a oggi, come è evoluta questa tua posizione?

Penso che sia necessario continuare a decostruire. Sempre più persone nella nostra generazione sono riuscite a togliere quel velo di sacralità dall’idea di lavoro e produttività che ci era stata tramandata – con tutte le difficoltà e gli ostacoli del caso, che ci impediscono spesso di passare dalla teoria alla pratica – ma facciamo ancora fatica a scrollarci di dosso questa forma mentis nel modo in cui guardiamo a noi stessə e alla realizzazione personale. Lasciamo il lavoro di ufficio ma poi magari riproduciamo le stesse dinamiche di (auto)sfruttamento, continuiamo a guardare ai saperi secondo lenti neurotipiche, classiste e normativizzanti in generale, pensiamo sempre in ottica di “prodotto”, piani editoriali scalabili e “branding” invece che comunicazione, scambio, arricchimento, anche quando ci occupiamo delle cause che abbiamo a cuore. Mi verrebbe da fare una parafrasi da strapazzo e dire: “non è il capitalismo in sé, ma il capitalismo in me” a fare forse ancora più paura.

Cosa immagini e auguri al futuro del femminismo italiano e a quello internazionale?

Di pensarsi sempre più come una pratica di liberazione continua, complessa e alle volte anche apparentemente contraddittoria, piuttosto che fossilizzarsi sull’idea che ci siano scelte giuste e sbagliate da compiere per essere “davvero” femministə. Le voci di chi vive nella complessità di queste intersezioni e contraddizioni – come ad esempio persone disabili e/o asessuali e/o sex worker che lottano per cambiare il nostro approccio alla sessualità, persone non binarie e/o intersex e/o razzializzate che mettono in discussione tutte le idee preconfezionate sui ruoli di genere e “la biologia” – mostreranno la via.

Ci consigli tre risorse (podcast, libri, documentari, profili social, newsletter, quello che vuoi!)?

Allora, visto che abbiamo parlato di classismo, provo a consigliare materiali che sono accessibili gratuitamente e in italiano.
Innanzitutto il bellissimo profilo e tutto il lavoro di @saraisanguedidrago, su Instagram e oltre. Uno spazio critico in cui si discute di neurodiversità, cultura, educazione in maniera comprensibile e stimolante.
Poi le traduzioni militanti del collettivo Lesbitches: sul sito si trovano diversi testi, manifesti e estratti da libri a tema transfemminista tradotti in italiano.
Infine il podcast di Elena Canovi “Shirley”, in cui si parla dei libri “cacciavite” che possono cambiare la nostra visione del mondo. Disclaimer: sono stata ospite anche io del podcast, per parlare di asessualità.

Grazie ancora a Francesca per questa intervista e ad Annalisa di Tlon per avermi aiutata a realizzarla.

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