Il male che gli uomini fanno: un thriller che parla di noi

Il male che gli uomini fanno, ultimo romanzo di Sandrone Dazieri edito da Harper Collins, deve il titolo ad un passo del discorso ai Romani che Marco Antonio pronuncia nel Giulio Cesare di William Shakespeare: altri tempi, quando il patriarcato la faceva da padrone e il Bardo non doveva preoccuparsi di inclusione sociale. In tempi di gender equality ci pensa quindi Dazieri a confezionare un thriller dove non si salva nessuno e nessuna, e il male lo fanno uomini e donne di ogni età, in una cupa storia di corruzione, sensi di colpa laceranti e violenza mentale, fisica e patologica che si dipana lungo più di tre decenni.

Sarebbe inutile e banale, seppur doveroso, sottolineare l’ormai nota abilità dell’autore – non solo romanziere con più di vent’anni di carriera sul groppone, ma anche sceneggiatore e story editor di alcune tra le più apprezzate serie crime nostrane –  nel progettare, costruire e plasmare un romanzo dall’architettura complessa, riuscendo a sposare l’invenzione di personaggi tridimensionalmente memorabili con una gestione del ritmo e del montaggio narrativo che strizza l’occhio alla detection dei procedurali televisivi. Ma quello che fa la differenza, in questo libro come in tutte le opere che sanno usare il genere per parlare della società contemporanea sotto la maschera dell’intrattenimento, è che il racconto della caccia al Persico, assassino seriale di ragazzine che colpisce alla fine degli anni Ottanta per poi ricomparire ai giorni nostri, è solo il pretesto per una ben più ambiziosa analisi di quel male che fa da soggetto al titolo in copertina.

Sandrone Dazieri

Il male che i personaggi del libro fanno viene perpetrato per le cause più disparate, che vanno dall’istinto di conservazione alla devianza, dall’arrivismo all’inesperienza, dalla natura psicologica all’indifferenza. Ma quello di cui Dazieri vuole parlare in filigrana non è solo il male truce degli assassini o quello subdolo dei politicanti e degli intrallazzatori, ma soprattutto quello quotidiano, e apparentemente involontario, che tutti noi facciamo anche solo dimenticandoci di un gesto, una telefonata o un sorriso. Siamo animali sociali inadempienti, portati per indole a ignorare o sottovalutare come ogni nostra azione produca conseguenze che, se il più delle volte trascinano con loro semplici malumori, incomprensioni e allontanamenti, portate all’estremo possono diventare devastanti. Ed è proprio quello che succede al sovrintendente capo Itala Caruso, poliziotta che abbraccia la corruzione per salvarsi la carriera e, per questo, viene ricattata e costretta a fabbricare false prove per incastrare il povero diavolo accusato di essere il Persico. O all’avvocata Francesca Cavalcante, che a inizio carriera non riesce a scagionare il suddetto povero diavolo e scappa a Londra, abbandonando la famiglia e conoscendo a malapena la nipote sedicenne che ora dovrà salvare dal ritorno del Persico. O al terzo incomodo, il misterioso Gerry, turista israeliano a metà strada tra James Bond, un dog sitter e un assassino psicopatico che ormai usa la violenza come semplice mezzo giustificato dal fine.

Corrado Ignoti – Campagna cremonese

Dazieri è uno scrittore che dimostra di conoscere a menadito tutte le sfumature del nero, muovendosi consapevolmente a suo agio attraverso le regole codificate dal genere. E se Il male che gli uomini fanno – come la precedente “trilogia di Dante Torre e Colomba Caselli” –  può essere incasellato nel sottogenere psycho thriller, l’autore non dimentica le origini hard boiled noir della sua ormai ventennale saga dedicata al Gorilla – detective schizofrenico un po’ Philip Marlowe e un po’ mister Hyde -, e proprio da quest’altro sottogenere mutua una particolare attenzione all’ambientazione della storia, che risulta fondamentale per quanto riguarda l’aspetto simbolico del libro. Perché il pezzo d’Italia tra Cremona, Piacenza e Bergamo non rappresenta solo la classica provincia sonnolenta sulle rive del Po, dove la vita scorre placida come la pianura in cui scorre il grande fiume e le pulsioni violente covano sotto la cenere; ma è soprattutto una zona di frontiera, a cavallo tra due regioni, dove il confine geografico diventa anche etico e morale: una linea che è un vero e proprio topos della letteratura e del cinema noir, oltre la quale il paesaggio è sempre uguale ma allo stesso tempo diverso. Così come l’anima dei personaggi, che diventa più sporca ogni volta che quella stessa linea viene varcata per compiere azioni riprovevoli, con sempre maggiore noncuranza per le conseguenze.

The evil that men do lives after them;
The good is oft interred with their bones.

Ma dopo averlo attraversato, il confine, c’è possibilità di redenzione? O è un punto di non ritorno? Ha ragione il Marco Antonio shakespeariano quando dice che il male che gli uomini (e le donne) fanno sopravvive loro, mentre il bene viene sepolto con le loro ossa? A queste domande cerca di dare risposta Dazieri nelle oltre 500 pagine di un romanzo che tiene attaccati dall’inizio alla fine, orchestrato da una sapienza tecnica che dosa, sottrae, interrompe, ricomincia e dedica la giusta cura tanto ai personaggi principali, quanto a quelli secondari o quelli sullo sfondo. Arrivati alla fine vi sarete di sicuro divertiti, ma forse è andando oltre a quello che avete letto, che troverete degli ottimi spunti su cui riflettere.

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