Libera nos a malo? Il continente bianco di Andrea Tarabbia

Reality, simulazioni, deep-fake, metaverso: il concetto di realtà, già abbastanza in difficoltà nel secolo scorso, sta vedendo negli ultimi vent’anni un momento di crisi di identità ancora più forte e inesorabile. Un problema che coinvolge ancora di più la letteratura: se molti autori si sono rintanati nel memoir e l’autofiction, convinti che giocare a scacchi con il reale sia l’unico modo per esprimere e far esperire la propria verità, tanti altri non vogliono abbandonare la forma romanzo e si pongono il problema di come raccontare il mondo di oggi e la storia recente, il passato prossimo che ancora non abbiamo storicizzato.

In uno dei filoni che ha seguito la nostra letteratura la storia diventa quindi mitopoiesi, un’epica nuova e italiana se vogliamo parafrasare un saggio dei Wu Ming di qualche anno fa, che analizza i poteri e i rapporti di forza, scava le ragioni di movimenti, gruppi di potere, rivoluzioni con mezzi che non sono quelli dell’analisi storica ma dello spazio romanzesco, il tutto tramite la mediazione dell’io narrante e la sincera e orgogliosa imperfezione del suo punto di vista.

In Spagna, lo abbiamo visto, Javier Cercas da autore diventa io narrante e personaggio stesso, mettendo in gioco se stesso e le proprie convinzioni per cercare di capire come sia potuto attecchire il franchismo non solo e non tanto in Spagna, genericamente, ma tra i suoi cari, le persone con cui ha vissuto esperienze, gioie, dolori, vita.

Andrea Tarabbia, ne Il continente bianco, edito da Bollati Boringhieri, fa un’operazione ancora più spericolata. Provo a riassumerla: Tarabbia riprende in mano L’odore del sangue di Goffredo Parise, un’opera incompleta, non conclusa, straniante, che parla di movimenti neofascisti, del male e delle persone che praticano, del loro fascino incomprensibile. Probabilmente succede qualcosa, un interrogativo di quelli che non fanno dormire la notte chi scrive, e immagino possa essere stata proprio questo: ma perché il male ci attira così tanto? Perché guardiamo The Boys tifando per il Patriota, empatizziamo per Walter White, troviamo la catarsi in ciò che dovremmo rigettare? Come nei più recenti episodi di Star Wars siamo conquistati dal male, dalla sua forza e bellezza, e più ci giriamo dall’altra parte più sentiamo il suo potere attrattivo.

Per capirci qualcosa, Andrea Tarabbia attualizza L’odore del sangue e lo porta ai giorni nostri, dove le cellule neofasciste pianificano le loro azioni in videochiamata, il male è a portata di tutti grazie ai social network, Roma è decadente come sempre ma più vicina a noi, con i campi Rom e un potere istituzionale dedito solo ad autoalimentarsi.

Dell’opera di Parise rimane il rapporto morboso tra Marcello Croce, affascinante esponente di estrema destra, e Silvia, che viene dall’alta borghesia romana ed è la moglie del preoccupato e rassegnato psicanalista del Tarabbia personaggio. Ma in questo strano triangolo amoroso, Tarabbia passa dall’essere cronista e curioso ad infilarsi nella storia, lasciarsi condurre e sedurre dalle trame degli altri, da una visione del mondo dove la lotta per la supremazia si tocca con un’idea di bene malsano, assurdo, ingiustificabile ma comunque bene, con delle forme assurde ma coerenti di amore e fraternità che mettono in crisi Tarabbia e il lettore.

Ed è impossibile non pensare ad oggi, a quella destra che vince negli Stati Uniti come in Italia perché accoglie e dà un senso agli outsider, a persone che si sono sentite deboli, umiliate, derise e che trovano negli oppressori un modo per non essere gli oppressi, non più. 

Tarabbia, immergendosi nel male storico e attualissimo che in Italia è incarnato dal fascismo, analizza il ruolo di se stesso come scrittore ed essere umano con lucidità, evitando ipocrisie e distinguo di sorta.

Seguire le mosse del Tarabbia personaggio e del Tarabbia autore è un modo non tanto per capire se stessi, cosa che fa qualsiasi ottimo esempio di letteratura, ma per guardarci a viso aperto, con genunina onestà intellettuale. Non è poco.

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