Arrivederci Roma. Diario di un’estate marziana di Tommaso Pincio

Aspettando tempi migliori, che non vengono mai. 

Cos’è Diario di un’estate marziana, l’ultima opera di Tommaso Pincio edita da Giulio Perrone Editore? Sicuramente qualcosa di istintivo, come racconta peraltro l’autore: contattato per una guida letteraria su una qualsiasi città dell’America, la sua America, ha controproposto, dal nulla, qualcosa su Roma e su Flaiano. Sulla Roma di Flaiano.

Ne viene fuori un racconto impressionistico, una passeggiata dove Pincio ci prende per mano e ci porta a passeggio per il Novecento e per Roma e le sue rovine, quelle rovine che associamo alla capitale ogni volta che ne parliamo, come se non fosse possibile esorcizzare quel senso di decadenza che ne è la sua parte più caratteristica.

Tommaso Pincio

Certo, il motore di tutto è Ennio Flaiano. Viene spontanea una domanda: ma quanti leggono davvero Flaiano? Quanti vanno oltre le battute, le poche vere e le troppe attribuite, per andare a scoprire l’uomo e l’autore, il giornalista del Mondo e lo scrittore che ha vinto per primo il premio Strega soltanto per scoprire di non essere tagliato per il successo?

La Roma di Flaiano e di Pincio è quella del cinema, delle tante sale di prima, seconda e terza visione (i pidocchietti, li chiama Pincio) e di Cinecittà, dove il trauma del fascismo e della guerra viene sublimato da una dimensione metafisica, in cui è impossibile e inutile (aggettivo caro a Flaiano) distinguere la realtà e finzione, il pubblico in sala dagli attori.

Ovvio il riferimento alla Dolce vita romana, che sembra quasi essere esistita come retrospettiva dopo l’omaggio di Fellini, perché il cinema e le storie spesso inventano la realtà e non viceversa.

In quegli anni, afferma Pincio, la Roma che conoscevamo era quella dei rotocalchi, con buona pace delle borgate e della povertà raccontate da Pasolini ed altri. Era un mondo di festa, di mondanità, di scandali. E persino i romani che erano tagliati fuori da quel mondo se lo portavano addosso, come “sogni fatti nella notte”:

La Dolce vita ha conferito a questi sogni una memoria, ha fatto sì che esistesse una dolce vita, ha convertito quel mondo effimero in storia. Stavo per scrivere in realtà. Ci ho ripensato subito. Non è un problema di realtà e finzione. Altrove lo sarebbe, ma non in questo Paese, non a Roma. Nel luogo più scettico del mondo, la distinzione tra realtà e finzione. A Roma conta che una cosa esista e che questa cosa sia reale o finta è secondario.

Flaiano viene da un’altra epoca, la sua gioventù è stata umiliata da una famiglia che non lo voleva prima e dal fascismo in poi. Le luci e i nastrini di Vittorio Veneto sono lo sfondo peggiore per la sensazione che tutto sia già passato, e che ciò che rimane sia vano, effimero. Sembra di risentire quell’accorato “A me Roma m’ha deluso” di Romano a Jep ne La grande bellezza.

Quello di Pincio, lo dice il titolo, è anche il diario di un’estate, che definisce in una felicissima espressione una stagione che sembra esistere per finire. Ed è il senso della fine e la nostalgia di ciò che è stato e ciò che sarebbe stato possibile a fare da collante all’opera, a definire i colori e a spiegare un rapporto che Pincio non vuole ridurre alla formula ritrita dell’amore e odio. Come dice Flaiano nel suo Diario degli errori

Tuttavia Roma è la mia città. Talvolta posso odiarla, soprattutto da quando è diventata l’enorme garage del ceto medio d’Italia. Ma Roma è inconoscibile, si rivela col tempo e non del tutto. Ha un’estrema riserva di mistero e ancora qualche oasi.

Ennio Flaiano

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