Cortázar tra scrittura e fotografia #cortazar100

La fotografia insiste sul segreto, è un’utopia illuministica l’avere un occhio che vede tutto e desidera vederlo, un occhio onniveggente. La parola fotografia proviene dal greco fos (luce) e grafein (scrivere). Fotografia significa luce che scrive, la luce disegna la realtà e il sole è il simbolo divino che garantisce sull’assoluta veridicità del fotografare.

La fotografia vede quello che l’occhio umano non vede. Secondo Roland Barthes, è un hic et nunc, cioè un qui e ora, un è stato. Barthes, nel suo saggio dedicato alla fotografia – intitolato La camera chiara – parla di due tipi di interesse nella fotografia: lo studium e il punctum. Il primo si ritrova nell’ordine del to like e significa interesse, non studio vero e proprio, è un termine proveniente dal latino; il secondo vuol dire ferita, ferita perché qualcosa nella fotografia colpisce i sensi umani e provoca il sublime.

Forse la vera fotografia totale, – pensò, – è un mucchio di frammenti
d’immagini private, sullo sfondo sgualcito delle stragi e delle incoronazioni.

(Calvino – Avventura di un fotografo)

Lo stato fotografico indica una realtà intrattabile. La fotografia indica la resa di un preciso momento nel tempo, il click cattura un istante che diviene passato ma che è vicino alla conoscenza del presente. Si crea questa relazione fra passato, presente e futuro, la fotografia dà origine a questo rapporto con l’esperienza del tempo. La fotografia è caratterizzata dalla referenza, ordine fondatore della fotografia e ha la capacità di catturare uno specifico momento, fondamentale per la registrazione del differenziale del tempo fra l’osservatore e l’oggetto. In latino questo è stato si dice interfui, in francese si dice ça a etè, questo ça è l’es, l’es freudiano. Nella fotografia, dunque, vi è il noema dell’è stato, concetto che indica il referente fotografico: una cosa necessariamente reale davanti all’obbiettivo. Barthes insiste sul realismo dell’immagine fotografica poiché la fotografia ristabilisce il rapporto fra immagine e oggetto, è un’impronta, è un memento mori: attesta l’azione dissolvente del tempo. La fotografia cerca di registrare con alto grado di realismo l’unicità nel suo atteggiamento ma questo è ciò che non può essere fotografato, tuttavia la fotografia è un mezzo che mostra che qualcosa era là quando si è fotografato. I noemi non si possono rimuovere ed ogni foto, secondo Barthes, ha del perturbante. Nell’inconscio, gli opposti tendono ad identificarsi e poiché la fotografia ha sempre qualcosa di perturbante, l’inconscio riesce a comprendere e ad indovinare la fotografia.

Nell’universo versatile di Julio Cortázar passione per scrivere e passione per fotografare sono legate e fu Michelangelo Antonioni – regista – nel 1966 a darne la prova lampante con il suo film Blow up.

Il racconto a cui allude Antonioni si intitola Le bave del diavolo, tratto dalla raccolta Le armi segrete. Fin da subito Cortázar dà mostra della sua capacità di scrittore e di fotografo «Una volta cominciato a raccontare se fosse possibile andare a prendere una birra da qualche parte e che la macchina andasse avanti da sola (perché scrivo a macchina), sarebbe la perfezione. E non è un modo di dire. La perfezione, sì, perché qui il buco che si deve raccontare è anch’esso una macchina (d’altro genere, una Contax I.I.2), e potrebbe darsi che una macchina ne sappia a proposito di un’altra macchina più di me, di te, di lei – la donna bionda – e delle nuvole.»

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Tomba di Cortázar al cimitero di Montparnasse (Parigi)

Cortázar narra una storia semplice, una trama elementare su cui innesta i suoi artefici di scrittore. Fin dall’inizio del racconto è difficile individuare il narratore che si cela fra una terza persona onnisciente e una prima persona che si perde fra i suoi scatti. «Roberto Michel, franco-cileno, traduttore e fotografo dilettante a tempo perso, uscì dal numero II di rue Monsieur-le-Prince la domenica 7 novembre del corrente anno(adesso ne passano due più piccole, con gli orli argentati). Stava lavorando da tre settimane alla traduzione in francese del trattato sulle ricusazioni e i ricorsi di Josè Norberto Allende, professore all’università di Santiago. E’ strano che ci sia vento a Parigi,(…) Ma c’era anche il sole, a cavallo del vento e amico dei gatti, per cui niente mi avrebbe impedito di fare un giro lungo le banchine della Senna e scattare qualche foto della Conciergerie e della Sainte-Chapelle. Erano le dieci appena e calcolai che verso le undici avrei avuto buona luce, la migliore luce possibile in autunno.»

L’idea di Blow-Up mi è venuta leggendo un breve racconto di Julio Cortázar. Non mi interessava tanto la vicenda, quanto il meccanismo delle fotografie.

(Michelangelo Antonioni)

Il racconto che Antonioni colorerà con le sue tecniche da regista è basato su quel rapporto singolare fra fotografia e referente di cui scrive Barthes. Roberto Michel fotografa una coppia ambigua: una donna e un ragazzo. Eppure c’è qualcosa che non torna, Cortázar lo fa intendere in pochi periodi efficaci: «Michel sapeva che il fotografo subisce una specie di trasformazione della sua personale maniera di vedere le cose in virtù di un’altra maniera che la macchina insidiosamente gli impone (adesso passa una gran nuvola quasi nera), ma non perdeva la fiducia, sapendo che gli bastava uscire senza la Contax per recuperare il tono distratto, la visione senza inquadratura, la luce senza diaframma e senza I/250.»

Michel è ossessionato così tanto dai suoi scatti da ritrovarsi intrappolato in quell’hic et nunc barthiano insito nell’arte della fotografia: «Anche adesso (che parola, “adesso”, che stupida menzogna) potevo restar seduto sulla spalletta sopra il fiume, guardando passare i barconi rossi e neri, senza che mi venisse in mente di pensare fotograficamente le scene, solo lasciandomi andare nel lasciarsi andare delle cose, correndo immobile con il tempo. E il vento ormai non soffiava più.»

L’adesso nella fotografia è una bugia, è quel legame con il passato che incita il nostro inconscio ad urlare “è stato”. È stato e non è più. Ma Michel rende la fotografia – o meglio il suo servizio fotografico – una malattia dalla quale non può guarire tanto da creare degli ingrandimenti che aumentano sempre di più, quel Blow up che ci mostra Antonioni costruendovi sopra una storia nella storia. «La prima sorpresa fu stupida; non mi era mai capitato di pensare che quando guardiamo una fotografia di fronte, gli occhi ripetono esattamente la visione e la posizione dell’obiettivo; sono cose queste che si danno per scontate, e nessuno si sofferma a ripensarle. […]»

L’ingrandimento della fotografia ha carattere morboso, la fotografia diviene perturbante per Michel/Julio: «Improvvisamente, l’ordine si invertiva, loro erano vivi, si muovevano, decidevano ed erano decisi, andavano verso il loro futuro; e da questo lato, prigioniero di un altro tempo, di una stanza e un quinto piano, dell’ignorare chi fossero quella donna e quell’uomo e quel fanciullo, di essere soltanto la lente del mio obiettivo, qualcosa di rigido, incapace d’intervento. Mi gettavano in faccia la più orrenda beffa, quella di decidere di fronte alla mia impotenza,(….) Tutto stava per risolversi lì, in quell’istante; c’era come un immenso silenzio che non aveva nulla a che vedere col silenzio fisico.»

Quando due passioni si mescolano, è difficile venirne a capo, trovare una via d’uscita. Cortázar, a differenza del Gregor kafkiano che subisce la metamorfosi da essere umano a ragno, si ritrova vittima del suo aracnico interesse: «perdendosi come un filo di ragnatela nell’aria della mattina. Ma le ragnatele si chiamano anche bave del diavolo.»

Blow-Up

Blow up

Cortázar, attraverso la sua scrittura, intrappola il lettore che si ritrova vittima delle bave del diavolo, la ragnatela come antro materno, la letteratura come rifugio. Quello stato fotografico si può rileggere sempre sotto vari punti di vista, proprio come le diverse angolature che sfrutta il fotografo.

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