21 giorni alla fine del mondo: come raccontare verità scomode ai ragazzi

Gli ingredienti perfetti per una graphic novel perfetta?

Mettici l’estate e un paese sulle rive di un lago, che si popola di turisti. Mettici un vecchio in bicicletta, con un cartello che segna quanti giorni mancano alla fine del mondo. Mettici un’amicizia ritrovata, un segreto enorme, qualche pillola di saggezza orientale e delle illustrazioni potentissime nella loro semplicità, ed ecco che otterrete 21 giorni alla fine del mondo, di Silvia Vecchini e Antonio Vincenti, in arte Sualzo, una delle ultime chicche uscite per Il Castoro (2019).

Lisa è una ragazzina che vive con la madre in un “bungalow in mezzo a un campeggio che d’inverno si svuota. Dove, quando scende la sera, il buio è buio… la notte è nera al pari del lago che sembra un cratere, un vulcano spento”. Gira in bicicletta, lavora nel chiosco della madre, ha una specie di ombra, Rima, una ragazzina indiana più piccola di lei che l’ha eletta a sua migliore amica, con occhiali spessi e apparecchi acustici alle orecchie. Lisa è forte, indipendente, sa cucinare e stare da sola, pratica il Karate, eppure c’è un vuoto dentro di lei, due grandi mancanze: quella del padre, che le ha abbandonate quando lei era bambina; e quella di Ale, il suo migliore amico, che dopo la perdita della madre in un afoso agosto di tanti anni prima, se n’è andato per non tornare.

Così avevo capito che oltre la morte c’era anche questa cosa crudele che poteva capitare. Che mi stava succedendo per la seconda volta. E cioè che la gente poteva semplicemente andarsene via senza cercarti mai più.

Invece, Ale torna, all’improvviso, inaspettato. Torna e il tempo non sembra passato. Sono entrambi più grandi, sì, i capelli cresciuti, i corpi trasformati e allungati in centimetri, ma il sentimento che li lega è lo stesso, anzi, forse ancora più forte. Ricominciano da dove si erano lasciati, rimettendo mano a un gioco di quando erano bambini: costruire una zattera e riuscire a farla galleggiare. Finalmente Lisa sente che parte del vuoto può essere riempito, che è possibile costruire nuovi ricordi condivisi.

Ma crescere significa perdere qualcosa, come un baratto, rinunciare alla propria innocenza per la verità, e quello che era un gioco da bambini si trasforma in una cosa seria: il padre di Ale non vuole che lui parli con nessuno, e di nuovo, Lisa capisce che presto se ne andranno e che lei rimarrà di nuovo sola.

A volte succede di smuovere le cose, il fondo. Il lago non è sempre azzurro.

Nessuno di noi lo è.

Sotto la complicità ritrovata c’è qualcosa di strano, un nodo non sciolto, che affonda le sue radici in quell’agosto di tanti anni prima. E Ferragosto – giorno previsto per la fine del mondo – si avvicina, quindi Lisa ha poco tempo per scoprire la verità. Cos’è accaduto di tanto terribile, al punto che gli adulti non ne vogliono parlare? Di cosa ha paura il padre di Ale? Che segreto nasconde il lago?

Il maestro ripete sempre che il karate è l’arte marziale che insegna a vincere perdendo. Che nel combattimento occorre padroneggiare il pieno e il vuoto. Mi chiedo cosa ancora devo perdere, quanto vuoto c’è la vedere. E come lo riempirò una volta trovato.

C’è un momento preciso, in questo libro a fumetti, in cui Rima dice qualcosa che non dovrebbe dire e, quando Lisa si arrabbia e comincia a gridarle contro, lei si toglie gli apparecchi acustici, le parole nei balloon sfumano, e anche se perdono di significato, la sostanza resta. Ecco, quello è un esempio della forza contenuta in questa storia: la sostanza. Pagina dopo pagina, osserviamo lo svolgersi della vita, in gesti naturali, quotidiani, così piccoli e meravigliosamente veri: Lisa che raccoglie i capelli in una coda, che mangia direttamente dalla padella, stravaccata sul divano, davanti alla tivù, come farebbe qualsiasi adolescente solo in casa, oppure Lisa che lecca un rimasuglio di marmellata finito sul braccio, la madre che lava i piatti, e ancora una nuotata nel lago, il ritrovamento di un vecchio disegno, pacchetti di patatine condivise, fondi di caffè e le chiacchiere di alcuni turisti al chiosco.

Silvia Vecchini e Sualzo creano un libro a fumetti sui nodi da sciogliere, sulle cose non dette che rischiano di trascinarti a fondo, come pesi attaccati alle caviglie, su quelle verità che sono troppo dolorose da affrontare, e lo fanno soppesando con cura ogni parola, scegliendo la semplicità, lavorando sui vuoti e sui silenzi. Sui ricordi, sulle mancanze.

Ad arricchire la narrazione, i due autori aggiungono un elemento tanto piccolo quanto vincente: ogni capitolo, infatti, inizia con uno dei 20 principi del Karate di Gichin Funakoshi, e ciascuno di essi assumerà un significato più ampio all’interno della storia. E alla fine, tutti i lettori – ragazzi e adulti – non potranno mai più dimenticare che “il Karate comincia e finisce con il saluto”.

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