«Il fatto è che sogno enormemente» #cortazar100

Di antenati baschi, francesi e tedeschi, Julio Cortázar è nato a Bruxelles il 26 agosto del 1914. La famiglia si trasferisce a Buenos Aires quando Julio ha quattro anni , così trascorre la sua infanzia in Argentina.

«Io ero un bambino molto realista, per la semplice ragione che il fantastico non mi è mai sembrato fantastico, ma una delle possibilità e delle presenze che può darci la realtà quando, per qualche motivo diretto o indiretto, riusciamo ad aprirci a queste cose inattese. (…) Non è una scappatoia, è un contributo a vivere più profondamente questa realtà.»

©Laura Testoni

Certi echi di questa infanzia porteña preoccupata dei suoi riti e dei suoi segreti traspaiono in racconti come Ore indu Veleni. Seguono gli anni della formazione al mestiere di insegnante alla Scuola Superiore dei professori Mariano Acosta che Cortazar qualificherà di «vasta fumisteria» e peggio di «fabbrica di fascisti» (in La scuola, la notte), sette anni durante i quali il giovane Julio si comporterà da autodidatta. Poi, resterà discreto sugli anni successivi, quelli durante i quali ha esercitato la professione di insegnante in varie città della Pampa, periodo abbastanza lungo che va dal 1937 sino alla fine delle 1940. In qualche intervista – ma raramente -si lascia sfuggire considerazioni sui compadres, la monotonia dei giorni, leggere «per non morire di tristezza provinciale».

Lettera in mano propria, indirizzata ad un pianista itinerante, l’uruguiano Felisberto Hernandez, altro novellista di genio, è uno dei rari testi in cuiCortázar parla più volentieri dell’epoca, evocando Chivilcoy nella provincia di Buenos Aires. Scriverà di aver assistito ad un concerto di Felisberto, commentando: «Quasi mai concerti, non succedeva quasi mai niente, non si poteva quasi mai sentire che la vita era qualcosa di più che insegnare l’istruzione civica agli adolescenti o scrivere interminabilmente in un quaderno della pensione Varzillo.»

Il risultato fu una bulimia di lettura e scrittura di cui sussistono poche tracce: in effetti, una raccolta di poesie fu pubblicato con il titolo Presenza nel 1939 e un inclassificabile saggio di seicento pagine consacrato a John Keats[1], testo unico nell’ambito delle lingue iberiche. In modo amabilmente carnevalesco, Cortázar riporta – nell’epilogo – la genesi di questa avventura ne Il giorno del giorno in ottanta mondi.

«Timido e sconosciuto, mi lasciai spingere da un amico fino alla porta del British Council a Buenos Aires dove un signore che assomigliava in modo incredibile a una cavalletta percorse di un’aria costernata un capitolo dove Keats e io camminavamo nel quartiere de Flores parlando di cose e d’altre e mi rese il manoscritto con un sorriso cadaverico.»

©Celeste Ciafarone ("Rayuela" illustrata)

©Celeste Ciafarone (Rayuela illustrata)

Dopo un dialogo di mitologia paradossale scritto in stile prezioso nel 1946 –Los Reyses– Cortázar trova la sua via e la sua vera voce in Bestiario datato 1951. È la sua prima raccolta di racconti che lo rivela come eccezionale narratore.Lo stesso anno si trasferisce a Parigi. Le due raccolte successive confermano che Cortázar, insieme a Borges e Quiroga, è uno dei grandi narratori latino americani. Tre testimoni e capostipiti di tre generazioni di argentinità letteraria.

Scriverà Luca D’Arcangelo nella prefazione dell’antologia da lui curata: «Si delineano almeno tre generazioni di scrittori: i precursori – Lugones, Dabove, Quiroga -, gli autori dell’Antologia della letteratura fantastica e gli esponenti del nuovo corso rappresentato prima da Mujica Lainez e Cortázar e successivamente da Murena, Denevi e Bonomini.»[2]

La fine del gioco (del 1956) e soprattutto Le armi segrete(del 1959) sono racconti tanto straordinari quanto le opere a cui Cortázar sarà più legato: Axolotil o Il persecutore.

«Quale ritiene che sia il suo miglior racconto?»

«Se dovessi scegliere così un racconto tra tutti quelli che ho scritto, penso che “Il persecutore” sarebbe il prescelto per molte ragioni (…). Questo racconto è stata una specie di rivelazione, una specie di cardine che mi ha fatto cambiare. Non ha cambiato me, ma il fatto di averlo scritto è la prova che io stavo cambiando, cercando, in un certo senso, ciò che il personaggio cerca nel racconto, io lo stavo cercando nella vita.»[3]

Nel 1960 scrive I vincitori il suo primo romanzo e, nel 1962, inaugura con Historias de Cronopios y de Faunas una vena libertaria, divertente, surrealista che conserverà per sempre con vera giubilazione.

©Celeste Ciafarone (Rayuela illustrata)

©Celeste Ciafarone (Rayuela illustrata)

«Verso gli anni ’50, al termine di un processo che riassumerò in pochi minuti, ho scritto una serie di testi brevi che sono poi stati pubblicati con il titolo di Storie di Cronopios e di Famas sino ad allora avevo scritto uno o due romanzi e una serie di racconti fantastici; tutto ciò che avevo scritto poteva essere considerato “letteratura seria” tra virgolette perché anche se c’erano alcuni elementi ludici – e so benissimo – che ce ne sono questi erano un po’ nascosti sotto il peso drammatico e la ricerca di valori profondi. Successe che, quando feci leggere quelle Storie di Cronopios e di Famas ai miei amici più intimi, la reazione immediata fu negativa. Mi dissero: “Ma come puoi perdere il tempo a scrivere questi giochi? Stai giocando! Perché perdi il tempo così?” Ho avuto modo di riflettere e di convincermi (e ne sono ancora convinto) che non stavo perdendo il tempo, ma semplicemente stavo cercando e a volte trovando una nuova messa a fuoco per trasmettere la mia intuizione della realtà.»

Durante una lezione a Berkeley (1980) foto di Carol Dunlop

Durante una lezione a Berkeley (1980) foto di Carol Dunlop (copertina)

Cortázar ha lavorato anche per l’UNESCO e ha soggiornato in Italia all’epoca della pubblicazione del suo grande romanzo, Rayuela (Marelle) del 1963. Seguiranno altre raccolte di novelle come Tutti i fuochi, il fuocoL’amiamo tanto, Glenda. C’è in tutte uno spirito supremo: la sete di libertà. Un’anima che è anche, supremamente, politica, non a caso, prima che la dittatura argentina estendesse completamente la sua ombra di terrore e morte, Cortazar si mobiliterà per la causa della rivoluzione cubana; più tardi sosterrà anche la rivoluzione in Nicaragua[4]. Questa sete di libertà, i suoi dubbi, la sua umanità si esprimono, infine, nel romanzo che vinse il Premio Médicis in Francia nel 1974: Il libro di Manuel.

I racconti di Cortázar – definiti dalla critica pepite – hanno una vita propria. Si tratta sicuramente dell’aspetto più inquietante della sua opera, ma anche il più coinvolgente. Il fatto è che «sogno enormemente» e aggiunge «sono un essere perseguitato. Dalla mia più tenera età sono inseguito da questo genere di fenomeno» e infine si interroga: Sogniamo da svegli quando scriviamo un racconto breve?

Il sogno, questa parola sembra addirittura gentile, insufficiente per rendere conto della tensione che regna in racconti come Un fiore giallo. Sarebbe preferibile la parola fobia, per indicare il ricorrente. Spingiamoci un po’ più in là e osiamo impiegare la parola, onirismo. Nonostante queste complessità,Cortázar resta fedele alla nozione di sogno. Non c’è uno sventramento psicoanalitico del sogno, ma rimanere ancorati alla dimensione del sogno significa non evadere l’associazione con la “lettura”, se non “riscrittura”. Lettura, come esperienza metafisica. Sogno come incidente, la fantasia come fatalità.

cortazar unicolor

Parece una broma, pero somos inmortales. Lo sé por la negativa, lo sé porque conozco al único mortal.  (cit. Una flor amarilla, illustrazione di LT)

«Mi piacerebbe parlarvi di un mio racconto che si intitola L’idolo delle Cicladi che, sebbene non risponda esattamente a questa nozione, forse un po’ meccanica della fatalità, mostra una modalità del fantastico che irrompe nella vita quotidiana delle persone e si compie in un modo che non può essere evitato.»

Ananke, destino, ma anche scacco. Può essere una storia qualsiasi o anche un incubo. Non si riesce nemmeno a indovinare il pericolo che rappresenta il sogno se persiste durante lo stato di veglia. Non solo una fessura del reale, un passaggio dall’altra parte dello specchio, ma un peso terribile per il pensiero, un ostacolo di cui bisogna assolutamente disfarsi. La scrittura in questo è amica, è un processo di salvezza. La notte supina, ad esempio, che si basa in parte su un’esperienza personale.

«Un uomo – in questo caso io – ha un incidente di moto, lo portano all’ospedale, e tutte le cose che sapete. Si addormenta e si ritrova ad essere un indio messicano che fugge in piena notte perché lo inseguono (…) e bruscamente si sveglia. Ovvio, si svegli all’ospedale dov’era: è l’uomo che ha avuto l’incidente. (…) Si riaddormenta e il sogno ricomincia, i nemici lo stanno inseguendo e sono sempre più vicini. Riesce a svegliarsi di nuovo ma questa volta è più difficile svegliarsi, è uno sforzo enorme, lui stesso non sa come abbia potuto uscire da quella profondità (…) e a tornare di nuovo all’ospedale. Allora, inizia a lottare contro il sonno (…). Il momento in cui si riaddormenta è quello in cui gli gettano un lazo e lo catturano.»

In pagine di autoanalisi, Cortázar osserva sé stesso. Così – come se l’autore avesse voluto liberarsi nel modo più rapido possibile e più radicale della sua creatura, esorcizzandola – gli risulta lampante che un’unica cosa restava possibile: scrivere di questa vita onirica. Il sogno come creatura vivente. E in un altro passaggio evoca il sentimento della paura da disfare, «L’uomo che ha scritto questo racconto è passato da un’esperienza più estenuante ancora, perché della sua capacità di trasferire sua ossessione dipendeva il ritorno a delle condizioni di vita più tollerabili.»

Illustrazione di LT

Illustrazione di LT

Se i sogni lo ossessionavano anche Cortázar ossessionava i sogni essendo costantemente a ruminare intorno a questa dimensione parallela, anche se cercherà sempre, con un ultimo sforzo di volontà, di risvegliarsi. Il risveglio, tuttavia, non è che suggellare «l’inversione totale e definitiva della realtà in fantastico puro, e che ammette naturalmente diverse interpretazioni».

Anche nella sua ultima opera Gli autonauti della cosmostrada. Ovvero: un viaggio atemporale Parigi-Marsiglia (1983) – un diario di viaggio compilato con la sua compagna, la scrittrice canadese Carol Dunlop – Cortázar  non riesce a smettere di osservare sé stesso che sogna.

«Ci chiediamo a cosa possa essere dovuto questo acutizzarsi, talvolta insopportabile, dei nostri sogni. Tra le altre ipotesi, dobbiamo tenere conto dell’effetto della novità degli stimoli, ciò suppone una alterazione profonda di questa cassa di risonanza che è l’inconscio in relazione a quello che riceve dai sensi durante il sonno. La qualità dei sogni cambia, forse, anche nel corso di un viaggio in aereo o di una notte in botel, ma trattandosi di esperienze brevi e isolate, poche persone possono accorgersene. Noi, al contrario, siamo da tre settimane all’interno di un sistema di stimolazione che non si modifica che parzialmente (secondo la topografia della strada e del paesaggio o della tipologia di parcheggio in cui sostiamo) e che a forza di ripetersi, ogni notte, ha finita per provocare un tipo di sogni differenti che si è imposto alla nostra attenzione attraverso le nostre osservazioni.»

Nei sogni come nelle contingenze, nel reale e nel fantastico, a occhi aperti, a occhi chiusi – cosa cercava Cortázar, instancabilmente?

– Pourquoi faut-il qu’il t’arrive que les autres ne puissent pas dormir par ta faute?

– Moi aussi je dors mal.

(cit. Marelle)

Tutto per lui era terreno di speranza. Tutto per fabbricare un macchinario che distilli anche un solo grammo di rivelazione.

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NOTE

[1] Julio Cortázar, A passeggio con John Keats, edizione Campo dei fiori, 2014 – Sul blog Stoner un estratto, intitolato Il rabdomante.

[2] Luca D’Arcangelo (a cura di), Racconti fantastici argentini, edizione Mondadori, 1997

[3] Julio Cortázar, Lezioni di letteratura. Berkeley, 1980, edizione Einaudi, 2014

[4] I diritti d’autore dell’ultima opera di Julio Cortázar e Carol Dunlop – ossia, Gli autonauti della cosmostrada. Ovvero: un viaggio atemporale Parigi-Marsiglia, nella doppia versione francese e spagnola – sono stati destinati (per volontà espressa degli autori) al popolo sandinista del Nicaragua.

*Consultazione del sito Cortazario.blogspot

Immagini

Potete trovare le illustrazioni di Celeste Ciafarone sul suo sito ufficiale, qui. Nata in Argentina, Celeste vive attualmente in Spagna dove ha conseguito la laurea in Fine Art presso il Politecnico di Valencia. Per contattarla: hola@celesteciafarone.com

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