Mangrovie – Un ecosistema in via d’estinzione

Tropismi è un’unica parola dai mille significati e proprio in questo novembre 2014 vogliamo ricordarne la straordinaria versatilità festeggiando il secondo compleanno del nostro blog. E quale momento migliore se non un compleanno per dar luogo alla presentazione della nostra nuova rubrica Ambiente? Si tratta di una sezione a nostro parere indispensabile, perché il tema è più attuale che mai: la relazione tra noi e lo spazio in cui viviamo non è mai stata così tanto a rischio. Se è la consapevolezza che manca, allora ciò che leggerete in questa sezione contribuirà a crearne una: forse è già troppo tardi ma non importa, noi ci proviamo lo stesso.

Come già detto in precedenza Tropismi è il protagonista del mese: cogliamo l’occasione per rispolverare la peculiarità di questo vocabolo.
L’essenza di questo termine si lega indissolubilmente all’universo vegetale, andandone ad indicare i movimenti orientati determinati da fattori esterni quali luce e gravità. Il ruolo che le piante rivestono è fondamentale per la vita sulla terra eppure sembra che da qualche secolo lo abbiamo dimenticato. Un caso emblematico è quello che riguarda le foreste a mangrovia, formazione vegetale tipica dei bassi litorali tropicali, in particolar modo sviluppata nel continente asiatico in corrispondenza delle foci dei grandi fiumi. I cosiddetti mangrovieti costituiscono un vero e proprio ecosistema con regole ben precise che da qualche tempo l’uomo sta infrangendo a suo piacimento. E dove c’è lo zampino umano, la ragione non può che essere di tipo economico. Al fatto di essere uno tra gli ecosistemi più sottovalutati del pianeta (quanti hanno davvero mai sentito parlare di mangrovie?) si aggiunga, infatti, che dal 1980 il 20% di queste foreste è sparito principalmente a causa dell’agricoltura, delle costruzioni a scopo turistico e dell’abbattimento per legname e carbone.KONICA MINOLTA DIGITAL CAMERA
La sete di guadagno non si ferma di fronte alla fragilità di una delle specie responsabili dell’equilibrio ambientale. Da qualche anno a questa parte, poi, più del 40% circa del disboscamento globale delle mangrovie ha un’unica inaspettata ed insolita ragione: far posto alle aziende per l’allevamento di gamberi e gamberetti.
Questi piccoli crostacei inconsapevolmente sono alla base di uno dei più preoccupanti ed altrettanto ignorati disastri ambientali attualmente in atto. Secondo il rapporto della FAO Le mangrovie del mondo 1980-2005, l’area complessiva a mangrovie si è ridotta da 18,8 milioni di ettari nel 1980 a 15,2 milioni di ettari nel 2005. La principale motivazione è che gli impianti di acquacoltura per i gamberi tropicali aumentano di anno in anno per far fronte alla crescente domanda dei consumatori: è da sottolineare il fatto che questi crostacei rappresentino da soli il 20% in valore dell’intero mercato ittico internazionale con circa l’82% degli impianti d’allevamento circoscritti alle zone tropicali quali Indonesia, Thailandia, Bangladesh, Vietnam, India. Il dossier di Altroconsumo del 2013 riporta che circa il 38% della superficie di mangrovie è stato sacrificato per far posto alle vasche per l’acquacoltura. Queste forme di vita, continuamente sottovalutate, sono in realtà fondamentali: se da un lato costituiscono l’habitat naturale di molte specie animali e vegetali, dall’altra sono molto importanti per la preservazione della vita e delle attività antropiche. Le foreste a mangrovia costituiscono una naturale barriera contro l’azione distruttiva di uragani e maremoti, contribuendo a proteggere gli insediamenti umani e le coste dall’azione dell’erosione. Inoltre, questo tipo di foresta costituisce anche un naturale mezzo di sussistenza per le popolazioni indigene che possono usufruirne per il loro sostentamento. Le aziende non mostrano alcun tipo di indulgenza nei confronti delle popolazioni locali alle quali vengono sottratte terre preziose e, soprattutto, viene negato l’accesso al mare, principale fonte di cibo e di reddito. E con le espropriazioni gli abusi vanno di pari passo: non solo interi villaggi vengono privati delle terre che avevano sempre coltivato per diritto consuetudinario, ma anche le coraggiose proteste che nascono saltuariamente vengono costantemente represse con la forza, complice un governo spesso troppo permissivo che preferisce l’omertà all’intervento. Se poi si prendono in esame anche le condizioni di lavoro negli allevamenti di gamberi, il livello di allarme sale in maniera esponenziale. Mentre nel mondo ricco ed industrializzato chiunque può permettersi una confezione di gamberi surgelati, si stima che in Indonesia circa l’80% dei villaggi costieri viva sotto la soglia di povertà. Da non sottovalutare, infine, è l’ingente uso di fertilizzanti ed antibiotici, finalizzati ad incrementare la produzione e proteggere i crostacei dalle periodiche epidemie. A livello ambientale l’impatto è notevole: l’acqua salata dei bacini d’allevamento causa spesso la salinizzazione delle terre circostanti che di conseguenza si trasformano in veri e propri deserti e le falde acquifere risultano contaminate da rifiuti d’ogni tipo e prodotti chimici tossici anche per la flora e la fauna circostanti. Attraverso le pagine del sito di Slowfood, si legge che le sostanze inquinanti risultano essere problematiche a lungo termine a causa della loro persistenza e del loro potenziale effetto negativo sulla salute degli allevatori e dei consumatori.
Fortunatamente però le buone notizie ci sono e il fatto che spesso facciano fatica ad emergere non vuol dire che non abbiano un peso rilevante: la buona pesca esiste ancora e la soluzione è molto più semplice di quello che sembra. Se si scava un po’ più in profondità nel tessuto produttivo è possibile riscontrare la presenza di un cospicuo numero di esempi positivi rappresentati dalle realtà del commercio equo, certificato e locale e dell’allevamento biologico che segue i fondamentali criteri di sostenibilità. L’equo e solidale è certamente la scelta migliore, dal momento che questo tipo di certificazione cura non solo l’aspetto ambientale ma anche quello sociale, garantendo al produttore un prezzo giusto e assicurando la tutela del territorio. Per riuscire davvero a raggiungere una svolta il segreto è arrivare a comprendere che ad ogni azione corrisponde una reazione, essere consci che qualunque nostra scelta comporta delle conseguenze, anche se queste si trovano a migliaia di chilometri dalle nostre case e dai nostri occhi. Consapevoli di questa verità, forse quest’anno cominceremo ad osservare le nostre tavole in maniera più critica ed attenta eliminando qualche gamberetto dal menù natalizio e aggiungendo un pizzico di rispetto in più per l’ambiente e per la nostra salute. L’importante è saper prendere una posizione perchè l’alternativa c’è sempre.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.