Europa: costruzione del divieto di discriminazione in base alla nazionalità e diritti fondamentali

“Il principio di uguaglianza, nell’ordinamento comunitario, è andato (e ancora va) costruendo progressivamente, con i contributi apportati dalla giurisprudenza, attraverso le sentenze della Corte di Giustizia, e dai soggetti politici, attraverso la legislazione e la riforma del Trattati, parallelamente alla costruzione della CE come ente di tipo statale, stante l’assenza, all’origine, di una Costituzione che valesse ad affermare un’idea determinata di eguaglianza[1]

Diversamente dalle Costituzioni europee del secondo dopoguerra che si caratterizzano per il fatto di dedicare armonioso spazio ai diritti individuali e alla loro tutela con formulazioni generali che talvolta sono rafforzate da formulazioni puntuali che e specificano (così in particolare la Costituzione italiana) il Trattato di Roma si caratterizza all’origine per la mancanza di formulazioni generali volte alla tutela del diritti e in specie per quanto qui interessa per la mancanza di una formulazione in termini generali del principio di eguaglianza[2].

Ciò si spiega con la considerazione che all’inizio l’ordinamento comunitario era settoriale e incedeva solo su alcuni aspetti della vita associata (fondamentalmente nelle quattro libertà caratterizzanti il mercato comune). Vale la pena ricordare che l’ordinamento comunitario non nasce con finalità generali e “non aspira all’universalità delle proprie statuizioni normative”[3]. Il Trattato istitutivo della Comunità economica europea del 1957 si limitava infatti a riconoscere qualche diritto individuale con riferimento all’attività lavorativa (esempio la libertà di circolazione dei lavoratori) la sola che interessasse la libera circolazione dei fattori di produzione e il mercato comune che ne costituivano gli obiettivi. Così era normale che anche il principio di non discriminazione fosse formulato in termini limitati all’ambito lavorativo e oltretutto assai restrittivi. L’art. 7 del Trattato originario (ora art. 12) poneva il divieto di discriminazione sulla base della nazionalità nel campo di applicazione del Trattato. Questa considerata addirittura la norma base dell’ordinamento comunitario, si basava sull’evidente considerazione che dato l’obiettivo di superare la divisione nazionale dei mercati unificandoli in un unico mercato comune vana sarebbe stata la garanzia delle quattro libertà di circolazione se uno Stato membro (di destinazione) fosse stato libero di sottoporre i soggetti provenienti da altri Stati ad un trattamento deteriore rispetto a quello praticato nei confronti dei soggetti delle merci dei servizi nazionali.

Specificazione del principio di non discriminazione sulla base della nazionalità era l’art. 48 del Trattato originario (ora art. 39 TCE) che al fine di assicurare la libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità vietava le discriminazioni fondate sulla nazionalità tra lavoratori degli Stati membri “per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e altre condizioni di lavoro”. Altre disposizioni erano volte a vietare specifiche discriminazioni settoriali come ad esempio l’art. 40 del Trattato originario (ora art. 34 co 2) che stabiliva che l’organizzazione comune dei mercati agricoli “deve escludere qualsiasi discriminazione tra produttori o consumatori della Comunità”, o come gli artt. 85 ss. (ora art. 81 ss.) a tutela della concorrenza e specificamente gli artt. 90 e 92 (ora 86 e 87) volti a limitare il potere degli Stati ad “alterare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune”.

Il principio era limitato oggettivamente alle sole fattispecie tipizzate mentre tutte le altre discriminazioni risultavano irrilevanti per il diritto comunitario e soggettivamente ai soli soggetti economici (lavoratori autonomi o subordinati, imprenditori o società; consumatori) non applicandosi ai cittadini nazionali indipendentemente dalla loro qualità di soggetti economicamente attivi.

Il limite risultava chiaro: nel Trattato istitutivo il principio di eguaglianza trovava espresso riconoscimento solo al fine di rendere operante le libertà previste, dunque in funzione degli obiettivi di integrazione e non come principio e/o diritto fondamentale. Questa impostazione seguita dagli autori del Trattato è stata ben presto superata dalla giurisprudenza, subendo anche una correzione di non poco rilevo. C’è da dire che la Corte di giustizia quando non ha potuto individuare una sicura BASE GIURIDICA nel sistema dei Trattati ha fondato le proprie pronunce sulle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri come l’Avvocato Generale Lagrange aveva suggerito nelle conclusioni al caso Uffici di vendita del carbone della Ruhr nel 1959 (p.124).

Invero, a differenza di quanto accade negli ordinamenti nazionali, la Corte è chiamata spesso a verificare la validità di atti e comportamenti delle istituzioni e degli Stati membri alla luce del principio di uguaglianza, ciò che si spiega agevolmente laddove si consideri che il sistema comunitario complessivamente considerato necessariamente richiede, per poter funzionare, anzitutto l’assenza di discriminazioni fondate sulla nazionalità, fattore indispensabile per garantire l’effettiva realizzazione della libertà di circolazione

L’impostazione descritta è stata ampiamente superata nel corso dell’esperienza comunitaria grazie agli sviluppi della legislazione comunitaria secondaria e soprattutto grazie alla giurisprudenza ampiamente creativa che quando non ha potuto individuare una sicura BASE GIURIDICA nel sistema dei Trattati ha fondato le proprie pronunce sulle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e sulla Convenzione europea per la salvaguqrdia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) in particolare sull’art. 14; e Protocollo n. 12 del 2000 (art. 1).

Inauguriamo qui una piccola serie giuridica, come piccolo osservatorio: ci avventureremo in questo universo europeo di cui facciamo parte.

Bibliografia

[1] Azzena Luisa, La costruzione del principio di eguaglianza nell’ordinamento comunitario, in Diritto pubblico e comparato europeo, 2007, fasc. 3, pp. 1419-1440

[2] Ghera F., Il principio di eguaglianza nella Costituzione italiana e nel diritto comunitario, Padova, CEDAM, 2003, pp. 85 ss.: per una ricognizione di tutte le disposizioni contenute dal Trattato, volte a vietare specifiche discriminazioni.

[3] Sorrentino F., L’eguaglianza nella giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, in Poitica del diritto, 2001, p. 185.

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