Limonov

Secondo alcuni si tratta di un personaggio romanzato, secondo altri di un autore sopravvalutato, e c’è persino chi al bancone di uno dei grigi bar della Mosca post-perestroika ha giurato di averlo visto tra i nomi degli intellettuali a libro paga dell’apparatcik, che tanto odia.

Impossibile trovare una definizione per lui, perché lui è Eduard Savienko, lo ha scritto anche nel titolo del libro che trent’anni fa lo ha reso così famoso da farlo diventare quasi ridicolo e così ridicolo da farlo diventare irresistibilmente famoso, Io, Edicka, in arte (come in politica, in galera, in guerra, alle elezioni) Limonov, poeta ucraino che sogna i salotti russi e che si ritrova in strada a New York, senza più un tetto, senza più la mano della donna della sua vita, con la quale tutto era come un circuito elettrico a sé, come ne Gli Amanti della Dautbegovic

E poi? Poi nasce Limonov l’intellettuale osannato e desiderato dal think tank degli scrittori di Manhattan, inviso alla Russia in piena Guerra Fredda, e amico della gauche parigina che più dell’Eliseo dispone e decide.

Se qualcuno non lo avesse scritto, nessuno potrebbe credere che stiamo parlando dello stesso Limonov cicisbeo che credendo di innamorarsi della ricca ereditiera finì per infrangere i suoi sogni di gloria con la housekeeper del milionario proprietario dell’attico sulla Quinta Strada, lo stesso Limonov che anni più tardi si farà arrestare ed esiliare in patria per difendere un’idea politica, estrema quanto irrinunciabile, perché pur di sentirsi vivo vale la pena morire…

Si considera omosessuale ma non pratica granché, la sua è più che altro una posa. La rivoluzione mondiale? Eduard è a favore, lui è per principio dalla parte dei rossi, dei neri, degli arabi, dei froci, dei barboni, dei drogati, dei portoricani, di tutti quelli che non avendo niente da perdere appoggiano, o almeno dovrebbero appoggiare, la rivoluzione mondiale.

Tante vite e tante persone in una, unica, anima, in grado di contemplare insieme ideali romantici e pulizia etnica, anche senza rendersene conto.

Limonov il teppista, che sognava l’impero, che si è ritrovato soldato a combattere con un mondo che ad un certo punto ha cominciato ad andare più veloce di tutte le sue ambizioni messe insieme, quelle militari, quelle politiche, quelle ideologiche, fatte di meditazione e cadaveri, di compromessi e di glasnost’, in cui ad un certo punto la (non-)scelta che i dadi del gioco ti accollano è quella di finire tra i “dritti” o tra i “fessi”…

Anche se qualche mese prima era lui a sparare contro chi, per difendere la propria libertà nell’Erzegovina dilaniata da una guerra autoimmune, aveva scelto la trincea, ora nella barricata si infila lui, a sparare raffiche di articoli  sull’improbabile gazzettino di estrema destra,  Limonka, per diffondere il suo personale piano rivoluzionario destinato a salvare una Russia decaduta economicamente e moralmente…una vera missione per chi, come lui, ha nostalgia del comunismo pur disdegnandone, in fondo, il rimpianto.

<<Per un milione di dritti che hanno iniziato ad accumulare freneticamente quattrini grazie alla “terapia shock”, centocinquanta milioni di fessi sono caduti in miseria. I prezzi continuavano a salire, ma gli stipendi restavano fermi. Con la sua pensione, un ex ufficiale del KGB come il padre di Limonov poteva comprarsi a stento un chilo di salame.

 Un ufficiale di grado più elevato, che aveva mosso i primi passi nel settore informazioni a Dresda ed era stato rimpatriato d’urgenza perché la Germania dell’Est non esisteva più, si ritrovava senza lavoro, senza alloggio di servizio, ridotto a fare il tassista nella sua città natale, Leningrado, maledicendo i “nuovi russi” con la stessa veemenza di Limonov. Questo ufficiale non è un’astrazione statistica. Si chiama Vladimir Putin, ha quarant’anni, pensa, come Limonov, che la fine dell’impero sovietico sia la più grande tragedia del ventesimo secolo…>>

Limonov, lo stesso che alternando zapoj di giorni interi a notti totalmente insonni cercava di gridare al mondo la forza delle sue idee e della sua rabbia…perché il suo Diario di un fallito non valeva quanto dieci righe di Solženicyn? chi lo aveva stabilito?

Probabilmente ora Limonov starà vivendo gli anni che ha davanti a sé con gli stessi interrogativi, prigioniero del suo vissuto mirabolante e inquietante, pieno di rimpianti per gli anni del sesso e del successo, delle fughe d’amore e della lotta ai padroni: se pensate di iscrivervi al partito di opposizione più estremo della Russia dei nostri giorni, Limonov leggerà la vostra richiesta e sarà lieto di inviarvi una tessera che vi vedrà fieri membri dell’elettorato nazional-bolscevico.

A differenza di altri oppositori politici (Khodorkovsky) e non (Anna Politkovskaja), Limonov è ancora “libero” – quantomeno da vivo – di dire la sua, malgrado tutti sappiano che la sua deriva fascista e nazional-popolare lo porterà soltanto più lontano dalla realtà della gente, quella stessa realtà che dalle sue poesie di adolescente ai suoi articoli da oppositore del regime, ha sempre disperatamente ambito a descrivere con crudezza e vividità.

Come cruda e vivida è stata, del resto, la sua ascesa verso la discesa, sapientemente narrata da Emmanuel Carrère nel libro che ha voluto dedicare a quella “odissea”, così intensa e roboante da portarlo ad iniziare il racconto così: “Eduard Limonov non è un personaggio inventato“.

Emmanuel Carrère, Limonov, Gli Adelphi, 2011

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