Effetto Medusa. Intervista a Chiara Cretella

Sono passati quasi due anni da quando intervistai la Prof.ssa Valeria P. Babini, organizzatrice di un seminario che si tenne all’Università di Bologna, per il corso di laurea di Filosofia (ricordate?  Gli articoli “Violenza contro le donne? In Italia non esiste più”  di Luisa Rinaldi e “LEXOP: Operatori della Legge tutti insieme per le donne vittime di violenza del partner nelle relazioni di intimità” di Laura Testoni?). Stavolta, rimanendo in ambito universitario, ho proposto un’intervista all’autrice del libro “Effetto Medusa. Iconografie della violenza di genere tra arte e immaginario” (Lupetti, Bologna, 2013), Chiara Cretella, conosciuta grazie a Casa delle donne per non subire violenza ONLUS.

Chiara CretellaChiara Cretella, dottore di ricerca in Italianistica, è una ricercatrice che ha collaborato con vari dipartimenti, al momento svolge ricerche sociologiche con un progetto di studio sul tema della violenza e della discriminazione di genere contro le donne presso il Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna. Fa parte del CSGE-Centro studi sul genere e sull’educazione del medesimo dipartimento ed è con il centro insieme ad altre associazioni che ha compiuto svariate ricerche in collaborazione con fondazioni ed enti locali sul tema delle differenze di genere e della discriminazione, in particolare nei contesti scolastici.  Ha collaborato come giornalista e attivista sui diritti delle donne con varie riviste e associazioni. Lavora come organizzatrice culturale free lance ed è stata caporedattrice della rivista di poesia e studi di genere “Le voci della luna”. È autrice di numerosi saggi (sulle neoavanguardie, sulle iconografie femminili, sull’arte contemporanea, sulle scritture carcerarie, sulle controculture, sulla poesia sperimentale, sull’Ottocento ecc.), cui alterna una vasta attività giornalistica. Collabora con la Casa delle donne per non subire violenza di Bologna, per cui ha ideato e ha curato per sei edizioni la realizzazione del Festival La violenza illustrata (unico festival internazionale interamente incentrato sulle tematiche della violenza di genere!).  Lavora attivamente nell’organizzazione di eventi di promozione alla cultura del rispetto delle differenze di genere, anche a livello internazionale.

Dall’enorme esperienza di studi e attività, nasce la dedizione al tema di ricerca sulla violenza di genere come memoria culturale, una delle grandi narrazioni che strutturano i rapporti di genere. La violenza contro le donne nasce da fattori culturali e come tale deve essere analizzata, Chiara Cretella ha cercato proprio di mettere in correlazione il fenomeno con le immagini violente derivanti dal nostro immaginario iconografico di molti secoli che arriva fino ad oggi , ma – nonostante siano molti gli studi che mettono in correlazione le immagini violente con il fenomeno della violenza contro le donne – sappiamo ancora poco di questa vicinanza. L’originalità di questa rassegna, che si legge d’un fiato, consiste nell’analizzare la persistenza dell’immaginario iconografico relativo alla violenza di genere attraverso un arco di molti secoli, mettendo strettamente in correlazione la arti maggiori con l’immaginario proposto dai media.

Il libro “Effetto Medusa. Iconografie della violenza di genere tra arte e immaginario” del 2013 vuole mostrare come la violenza di genere 11221734364_1b4b09a3cc_hconservi la sua matrice di strutturazione delle relazioni e degli equilibri sociali. Stereotipi iconografici del corpo femminile – perpetuati per secoli in arte e scultura -,  sempre più mercificato oggi dai media, fanno sì che il femminile venga “ridotto unicamente al corpo o più in particolare, a corpi violentati, scomposti, torturati, abusati, privi di empowerment e di soggettività”. L’universo fallocentrico maschile ha portato avanti per secoli un modello iconografico, quello dell’angoscia del perturbante freudiano che risiede proprio nella dimensione della sessualità della donna, quell’abisso profondo al pari dell’inconscio verso cui l’uomo si sente attratto e terrorizzato allo stesso tempo. Lo stupro (vis grata puellae) rappresentato per secoli nelle iconografie è un modello invariante considerato “normale”, che va a legittimare la violenza sulle donne: “la donna è rappresentata e ridotta nell’immaginario collettivo a ruolo di vittima, mero corpo da comprare, osservare, ammirare, scandagliare dettagliatamente”. Quali sono stati i suoi spunti di esperienza (collaborando attivamente da 10 anni con la Casa delle donne per non subire violenza di Bologna, per cui ha fatto nascere il Festival La violenza illustrata) e di ricerca per questo libro?
Erano anni che volevo occuparmi più attivamente del modello iconografico della violenza di genere. Essendo i miei studi originariamente legati alla letteratura e alla storia dell’arte, volevo provare a congiungere i due universi, quello sociologico e quello più ampio dell’immaginario visuale, per cercare punti di incontro legati alla formazione degli stereotipi di genere. Applicare questa tesi originale alla pittura rinascimentale è stata una sfida entusiasmante, che mi ha riservato scoperte che neanche immaginavo.

Il modello dello stupro è molto influente nei processi di costruzione dell’identità stessa delle donne, fin dall’età infantile. La donna nel mondo, anche in occidente, ha un ruolo svalutato, ignorato, abusato e offeso. La censura di “modelli immaginativi femminili alternativi” operata dai media rischia di sopprimere la denuncia del fenomeno. Che idea si è fatta nelle sue ricerche di questa caccia alle streghe odierna? 
I media sono un fattore “normalizzante” all’interno della società, anche quando sdoganano come “accettabili” modelli fortemente stereotipici o abusanti del femminile. I media fin dalla loro nascita hanno funzionato come “persuasori occulti”: non bisogna demonizzarli, perché sono stati anche un grande strumento di partecipazione e democrazia, ma saper riconoscere i messaggi, decodificare i contenuti, comprendere quando sono svalutanti, opprimenti, discriminatori e quando agiscono al solo fine commerciale. Il sistema dell’informazione ad esempio, dovrebbe essere scevro da questi meccanismi, ma sappiamo bene che dietro ad ogni industria culturale, vi sono sponsor, ingranaggi politici, censure: in una parola la posta in gioco non è solo vendere (merci…come nella pubblicità) ma anche creare consenso o dissenso, manipolare, costruire macchine del fango. Sono dunque strumenti che vanno considerati per la loro specificità, imparare a decostruirne i messaggi potrebbe esser parte di un più ampio processo di formazione primaria e permanente, a partire da una disciplina quasi inesistente nelle nostre scuole, l’educazione ai media per arrivare all’educazione di genere.

Medusa ha un valore apotropaico, caratterizzata da invincibilità, il contrappeso della sua inviolabilità. È seducente e spaventosa, incarna la tensione del sublime. Ricade su di lei, vittima, la colpa del carnefice colpevole di aver perso l’onore della verginità, unico onore concesso al femminile. Le vittime di stupro hanno subito il peso della vittimizzazione: le leggi non solo le hanno punite, anche con la morte, o la stessa famiglia decideva di eliminare la vittima. Fra quanto tempo saremo pronti ad eliminare la dialettica carnefice/vittima? La coscienza politica non sembra esserci, non del tutto. Non ci sono ancora leggi adeguate…
Le leggi non bastano, possono esserci ma se non vengono applicate è come non averle. Ovviamente, battersi perché esse vengano approvate è necessario perché senza neanche la nominazione, il fenomeno non esiste. Una volta passata una legge deve esser monitorata rispetto alla sua applicazione reale nei contesti sociali.

Cosa ne pensa del feticismo della cronaca nera dei casi di femminicidio?
Ovviamente ho scritto questo libro anche per denunciare questa dimensione macabra-perversa-erotizzante, che non è cosa odierna ma ha da sempre accompagnato il sistema delle notizie e dell’immaginario culturale. La violenza fa audience. Basterebbe un garante della comunicazione che monitorasse sugli abusi di questo genere e promuovere campagne continuative su pubblicità-progresso, per migliorare sensibilmente la situazione. Ovviamente la denuncia e la mobilitazione dal basso fanno molto, anche nel caso di boicottaggio di merci che usano per esser pubblicizzate immagini di violenza sulle donne.

Come cambiare certi modelli culturali a cui siamo stati educati? Certamente educando (anche ai propri sentimenti!) rispettando la persona che ci è accanto, che è perennemente Altro da noi (così come ci insegna Jacques Lacan). Come Lei stessa afferma, i men’s study stanno ponendo negli ultimi anni un accento di autocritica al sistema patriarcale. Cosa si sta dunque muovendo a livello culturale? C’è la possibilità di rompere le catene della coazione a ripetere a cui fa cenno nella dedica iniziale del libro?
Credo di sì, molte cose sono cambiate, non solo in Italia ma prima di tutto in Europa rispetto alla tolleranza, alle definizioni giuridiche, all’omologazione di un quadro legislativo armonioso. L’apporto degli uomini sarà fondamentale e farà la differenza dei prossimi decenni. Senza il loro aiuto nessun cambiamento culturale sarà possibile, perché è a loro che è principalmente diretto questo messaggio.  

Nelle iconografie contemporanee non solo la donna è disponibile sessualmente, vamp, vittima e madre di famiglia, il corpo femminile anziano è assente, ma la violenza di genere è oggetto di consumo. “Le donne vengono sempre “parlate” e spesso si presentano “mute” e nude sulla scena dell’immaginario mediatico”. Cosa ne conclude dalle sue ricerche sull’iconografia dei media?
Deduco che i nuovi media e il sistema aperto della comunicazione on line permettono molte chance di cambiamento, a partire dalle web tv, web radio, social network ecc. Esperimenti di comunicazione alternativa, controculture, blog, documentari e piattaforme di donne e attivisti/e contro la violenza sono oggi una realtà dinamica capace di fare tesoro delle proprie differenze e di mettere in rete i risultati delle azioni, le campagne e i dati raccolti in tempo reale. Dobbiamo muoverci in questa direzione, perché se è vero che nei media tradizionali (stampa e televisione) le donne sono ancora molto assenti o presenti in ruoli marginali, nel mondo della rete vi sono realtà ed esperienze straordinarie, nate dal basso ma con un potenziale di visibilità praticamente illimitato.

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