Piccole cose apparentemente perfette | Pieter Brueghel

Dal 2 ottobre scorso e fino al 28 febbraio 2016 a Palazzo Albergati a Bologna è in mostra Brueghel. Capolavori dell’arte fiamminga, dedicata a una delle famiglie di artisti più celebri in tutta la storia europea. Questo #mesedautore si concentrerà sulla figura di Pieter Brueghel, il capostipite, dal cui matrimonio con (altro che Emily Ratajkowski, provate a pronunciare questo) Mayeken Verhulst Bessemers, figlia di Pieter Coecke van Aelst, il pittore di corte di Carlo V (quello sul cui regno non tramontava mai il sole), nacque Pieter Brueghel il Giovane (che, per la sua varietà nei temi era chiamato “degli Inferi”, al contrario del padre, chiamato “dei Contadini”), ma anche il secondogenito, Jan Brueghel il Vecchio, e il di lui figlio (e quindi nipote del nostro Pieter), Jan Brueghel il Giovane, continuarono l’attività artistica iniziata da Pieter.

La sua città è Anversa, che ci permette anche di ricavare la prima datazione certa: nel 1551 entra nella gilda di San Luca con la qualifica di maestro, un titolo acquisibile tra i 21 e i 26 anni. All’epoca, Anversa era un centro focale per le nuove rotte verso l’Asia e l’America, punto d’incontro, quindi, per commercianti e produttori di tutta Europa. La ricchezza e la possibilità di scambi attirarono presto anche artisti e artigiani: «nel 1560 vi era circa un pittore ogni 250 persone», tra questi anche il nostro Brueghel. Tuttavia, il fermento generò presto anche parecchie inquietudini: una cittadina tranquilla si stava tramutando in una metropoli commerciale e snodo mondiale, affrontando improvvisamente il problema della multiculturalità − non solo per la provenienza geografica dei suoi abitanti o visitatori, ma anche per i loro differenti credo religiosi o costumi, che si trovarono di colpo a dover convivere. Il formicolio continuo di omini laboriosi, chini e concentrati sul proprio compito, è un tema ricorrente nelle opere di Brueghel, che si combina con le due caratteristiche più evidenti della sua produzione.

La prima è la minuzia: non è permesso perdere nemmeno il minimo particolare, sempre rappresentato lucidamente e in punta di pennello, per cogliere davvero la complessità di ogni quadro. Per esempio, bisogna aguzzare bene lo sguardo per comprendere Giornata buia: gli uomini in primo piano si stanno preparando al Carnevale, con le corone di carta in testa e le cialde già pronte, ma quella che si intravede sullo sfondo, lontana, non è foschia. Si tratta di una tempesta che sta già facendo inabissare le navi, da poco salpate o sulla via del ritorno, nello stretto canale che collega il mare alla scena in primo piano, difficili da notare per il tono scuro sullo scuro dell’acqua in preda alla burrasca. Significa forse che nonostante le sventure che possano capitare è necessario continuare a vivere giorno per giorno nel modo più festoso possibile? O forse che per quanto ci si metta d’impegno per festeggiare la sciagura non è mai troppo lontana? Ancora, è quasi impossibile non perdersi tutti i minimi dettagli raffigurati nella Torre di Babele (di cui esiste anche la versione “ridotta” e semplificata), ma per fortuna c’è Wikimedia.

Pieter Brueghel il Vecchio, La Torre di Babele (versione conservata a Vienna), 1563 circa

La Torre di Babele (versione conservata a Vienna), 1563 circa

La seconda, il rovesciamento o la distorsione: è importante dire a questo punto che Brueghel aveva grande familiarità con le opere di Bosch, tanto che ne creò alcune perché fossero spacciate come lavori originali dell’autore, anche su espressa commissione di alcuni incisori, come nel caso de I pesci grandi mangiano i pesci piccoli.  Si tratta di uno stile non ricorrente ma che Brueghel adotterà ancora per alcune opere, come ne La cacciata degli angeli ribelli o Margherita la Pazza, o che assocerà ad altre tematiche, come nella rappresentazione dei proverbi o dei modi di dire, soggetto abbastanza usuale dei suoi quadri. Famosissimo è quello dei Proverbi fiamminghi: sono ben 118, per esempio in basso a sinistra c’è la rappresentazione del modo di dire «Riesce perfino a legare il diavolo a un cuscino» (caparbietà), mentre sulla torre in alto al centro ci sono, da sinistra a destra e dall’alto verso il basso, «Tiene il mantello in direzione del vento» (adattare la propria opinione alle circostanze), «Sparge le piume al vento» (tutta la fatica è inutile), «Segue con lo sguardo la cicogna» (perde il proprio tempo), «Vuole prendere due mosche in un colpo» (ambizione vana). Il tipo che invece sta mezzo a mollo e si agita tutto è invidioso dell’acqua che riceve il riflesso del sole (invidia del benessere altrui), mentre quello in basso a destra sdraiato sull’asse non è ubriaco, ma si sta sforzando, inutilmente, di raggiungere con le mani entrambe le pagnotte (mancanza di soldi).

Proverbi fiamminghi (1559)

Proverbi fiamminghi (1559)

Sta tornando il tempo laico, dopo il lungo Medioevo i cui i dipinti tentavano di restituire l’invisibile, come il Paradiso o l’Inferno: ora tutta l’attenzione è per la vita naturale e il tempo delle stagioni. Mentre «gli artisti italiani e i romanisti evidenziavano ciò che distingue l’uomo dagli animali e dalle piante», l’uomo fiammingo torna a fare parte della natura. Quest’ultima diventa la vera padrona dei dipinti: le figure umane servono solo ad aggiungere un tocco di caratterizzazione, per esempio le spalle curve indicheranno che da molte ore sono al lavoro o la foggia degli indumenti fornirà qualche indicazione cronologica. Brueghel sceglie di rendere il paesaggio il vero protagonista anche ricorrendo a una diversa resa della profondità, data spesso da un primo piano “rialzato”, ovvero da figure che si trovano su un’altura o in un punto staccato e sopraelevato rispetto al resto della scena rappresentata, che si distende e allunga per tutto il resto del quadro.
Ne è un esempio il Ciclo dei mesi − Giornata buia (febbraio/marzo), Fienagione (giugno/luglio), Mietitura (agosto), Ritorno della mandria (ottobre/novembre).

I cacciatori nella neve - Gennaio (1565)

I cacciatori nella neve – Gennaio (1565)

Più di 30 sulle 45 opere attribuite al pittore rappresentano il mondo popolare e contadino.  Le scene sono sempre affollate e, anche grazie a questo, spesso anonime: i tratti del viso non sono ricreati con cura, anzi spesso i personaggi danno le spalle allo spettatore o tengono il capo abbassato. Anche i personaggi sacri, quando rappresentati, compaiono defilati o decentrati rispetto al fulcro della scena, come Maria nel Censimento a Betlemme o re Nimrod ne La torre di Babele, sempre immersi nella contemporaneità, secondo un procedimento di integrazione usuale a quei tempi. «La peculiarità di un artista si rivela anche da ciò che non dipinge: Bruegel, per quanto ne sappiamo, non ha realizzato alcun ritratto su commissione e, dato ancor più rilevante, alcun nudo»; non solo: i personaggi di Brueghel si leccano le dita a tavola, vanno a scuola col culetto o altro al vento fanno la cacca da soli (in basso a sinistra − questo, per altro, è il regalo che lasciò alla moglie nel testamento. Ok) o in coppia, oppure sono solo molto brutti.
Nonostante l’effetto caricaturale che molte delle sue opere hanno, stranamente Brueghel quasi mai deforma la figura umana: si limita a rappresentarla così com’è, piccola, intenta alle sue piccole cose, con le piccole bruttezze che le sono peculiari.

 

Informazioni sulla mostra: tutte qui.
I virgolettati, dove non è diversamente specificato, sono tratti da Rose-Marie e Rainer Hagen, Bruegel, adattamento per L’Espresso, 2002

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.