Primo Levi: una scrittura che ordina il mondo

Questo mese lo dedichiamo ad un autore del panorama letterario italiano: Primo Levi. Solitamente il nome di Levi viene associato a quel filone chiamato “letteratura concentrazionaria”, un insieme di testi che raccontano l’esperienza del viaggio verso i campi e della vita al loro interno. In realtà, però, la sua produzione è molto più ampia e comprende anche testi che dell’esperienza del Lager non parlano affatto.

Nato a Torino il 31 luglio del 1919 da una famiglia di ebrei piemontesi provenienti dalla Spagna e dalla Provenza, Levi riceve un istruzione classica al Ginnasio-Liceo D’Azeglio, una scuola epurata dai fascisti e politicamente agnostica. Si nota da subito il suo interesse per le materie scientifiche, in particolare per la chimica, più che per quelle letterarie. Nel 1937 si iscrive all’Università di Torino alla facoltà di Scienze levicomparate e l’anno successivo il governo fascista emana le prime leggi razziali che impongono agli ebrei il divieto di frequentare le scuole pubbliche. Levi, però, è già iscritto e riesce pertanto a continuare i suoi studi. Tuttavia, neanche il possesso di una laurea conseguita con pieni voti rende più semplice la ricerca di un lavoro a causa delle sue origi ebraiche. Riesce finalmente a trovare un impiego in una cava di amianto nel 1941 e l’anno successivo una nuova occupazione, economicamente migliore, lo porta a spostarsi in territorio milanese per un’industria addetta alla fabbricazione di medicinali. È proprio in questo stesso anno che l’autore decide di entrare nel Partito d’Azione clandestino. L’anno successivo segna per la nostra penisola un momento di grande svolta: è il momento della caduta del regime fascista e dell’occupazione del nord Italia da parte delle forze tedesche. È a questo punto che Levi decide di unirsi a un gruppo partigiano che opera in Val d’Aosta e viene arrestato il 13 dicembre e mandato nel campo di Carpi-Fòssoli. Quando nel febbraio i tedeschi prendono in gestione il campo, per Primo e gli altri detenuti inizia il viaggio che li condurrà verso Auschwitz. La prigionia dura fino al 1945, anno della liberazione, e al rientro in Italia il reinserimento in società sarà per l’autore tutt’altro che semplice. Nel 1946 riesce a trovare un’occupazione presso una fabbrica di vernici vicino Torino, in Avigliana, ma il ricordo del campo lo ossessiona e porta alla nascita del famoso romanzo Se questo è un uomo. Anche se con molta difficoltà, il testo riesce ad arrivare al successo nel 1956 e a dare all’autore la giusta forza per continuare a scrivere. Da questo momento la vita di Levi scorrerà su due binari paralleli: scrittore da una parte e chimico dall’altra. Nel 1963 anche La Tregua viene data alle stampe e conosce da subito un notevole successo. Lo stesso Levi ne parla come di «un libro più consapevole, più letterario, e molto più profondamente elaborato, anche come linguaggio. Racconta cose vere, ma filtrate». A partire da questo momento la produzione letteraria di Levi continua senza sosta e dai viaggi ad Auschwitz e in Unione Sovietica verranno fuori una serie di raccolte di racconti dai titoli Storie naturali, Vizio di forma e un breve volumetto di poesie, L’osteria di Brema. Nel 1978 viene pubblicato un nuovo romanzo, La chiave a stella, la storia di un operaio piemontese che gira il mondo per lavoro e racconta i suoi incontri e le sue avventure. Primo Levi muore nella sua casa di Torino nel 1987 per suicidio, ma un alone di mistero circonda la vicenda. Quello che è certo, però, è che l’ultimo decennio di vita è per l’autore più produttivo che mai.

Le opere di Levi, dunque, si possono distinguere in due gruppi principali: i testi riguardanti l’esperienza concentrazionaria e la produzione restante. Partiamo con la prima tipologia. Al ritorno dal campo, molti tra coloro che sono riusciti a sopravvivere sentono il bisogno di raccontare l’orrore che li ha visti protagonisti. La preoccupazione principale per queste persone è generalmente la paura di non essere creduti, il timore che fatti tanto brutali possano finire nel dimenticatoio. Nel caso di Levi, le motivazioni che lo spingono a raccontare vengono chiarite già nel suo primo testo Se questo è un uomo. In particolare, si possono rintracciare quattro cause principali che lo hanno spinto a raccontare e ricordare. Innanzitutto se questo è un uomo«documentare un’esperienza estrema», in secondo luogo «mostrare» le conseguenze della xenofobia che sta alla base delle azioni contro i deportati, terzo «meditare» e quindi condurre ad una riflessione sul comportamento umano in circostanze estreme e, infine, «raccontare» per liberarsi. Come gli altri deportati anche Levi è spinto dal «bisogno» e dall’ «obbligo» di ricordare. Eppure, quello che maggiormente distingue i testi di questo autore dagli altri che danno voce alla medesima esperienza è senza dubbio la questione della prospettiva. Nelle sue opere Levi alterna spesso una «prima persona giudicante o autobiografica» ad una «prima persona plurale di valore collettivo». Quest’ultima cede il posto, in alcuni momenti, a «una seconda persona rivolta a un se stesso generalizzato». Esiste, infine, anche una «terza persona descrittiva e apparentemente neutrale». A questo altalenarsi di persone e punti di vista differenti si accompagna anche un movimento temporale continuo. Due sono i piani temporali che si alternano tra loro: passato remoto o prossimo e presente assoluto, in cui il termine di assoluto indica l’impossibilità di dimenticare l’accaduto e la possibilità che un’esperienza come quella di Auschwitz torni a verificarsi nuovamente.

Il secondo filone della produzione leviana è, invece, quello dei racconti e degli ultimi romanzi, tra cui La chiave a stella o Il sistema periodico. Si tratta di opere in cui l’esperienza del campo non viene raccontata o, se presente, costituisce solo una parte di una gamma di temi più ampia. Sono testi legati principalmente alla seconda anima di Levi, quella scientifica. La grande particolarità di questo autore, infatti, è proprio quella di aver saputo unire insieme due ambiti di vita e di esperienza solitamente separati tra loro. In Levi chimica e racconti leviletteratura si mischiano insieme dando vita ad una sorta di esperimento di scrittura. Un testo esemplare di questa unione tra mondi è certamente Il sistema periodico che già dal titolo mette in mostra il suo carattere principale di “miscela” di componenti diversi. Qui l’autore si serve degli elementi della tavola periodica come di tante tessere per comporre un puzzle, quello della sua vita, e l’unico modo per riuscire ad incastrarli insieme è il principio ordinatore della scrittura. Ad ogni elemento viene fatta corrispondere una storia e ogni storia non è altro che un piccolo tassello, non solo del percorso di vita dell’autore, ma della Storia in generale. Ci sono poi le altre raccolte di racconti. Alcuni di questi, scritti prima della deportazione, sono delle vere e proprie prove di scrittura e non hanno nulla a che vedere con i testi del ritorno dal campo. Al contrario, i racconti si caratterizzano spesso per un taglio e un tono che tendono al fantastico. Per chi, come la maggior parte di noi, si è approcciato a Levi secondo un’ottica scolastica e lo conosce soltanto come «autore della letteratura sui campi di concentramento», la lettura dei suoi racconti può arrivare a stupire fuori misura. Un nuovo Levi viene fuori da questi. Eppure, sotto certi elementi nati dalla fantasia e, in alcuni casi, anche dalla fantascienza, si intravedono delle costanti invariabili. C’è sempre, alla base, un desiderio di analisi, di indagine sull’ individuo e sulla società che lo circonda, probabilmente il frutto di un bisogno di ordinamento che caratterizza una mente di stampo sempre fondamentalmente scientifico.

Ad accomunare tutti i testi di Levi è la questione del linguaggio. Definito dai critici «pacato e sobrio», «ordinato» o «semplice», è sicuramente un «linguaggio della chiarezza» ed è ciò che rende la produzione di questo autore unica nel suo genere. Chimica e letteratura non sono due mondi diversi e distanti, ma al contrario sono parti di un’unica realtà più grande. Si potrebbe azzardare dicendo che per Levi la costruzione delle parole e delle frasi è l’equivalente della formazione e combinazione delle molecole. Come la chimica mette insieme i singoli elementi della tavola, così la scrittura lega parole, articoli, preposizioni per formare il corpo del testo. Entrambe, la chimica e la letteratura, sono sottoposte al medesimo principio ordinatore che è lo stesso principio che ordina il mondo. Certamente questo modo di guardare al processo di scrittura è ciò che ha permesso a Levi di raccontare perfino una realtà dura come quella della vita nel Lager. Lo scrittore, come il chimico, può giocare con le parole, può smontarle, cambiarle di posto e combinarle a proprio piacimento fino a creare forme e nomi completamente nuovi. La scrittura come la chimica conferiscono a chi sa usarle un enorme potere, quello di plasmare e dare nuova forma alla realtà e Primo Levi è stato capace di usarle entrambe.

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