La lingua verde di Zola

Spesso si crede che da un’attrazione possa nascere l’amore in un rapporto cronologico – eventualmente e potenzialmente – consequenziale, per me invece non di rado la relazione è inversa, quando si prova istantaneamente amore per qualcosa che fa risuonare in noi una vibrazione di conoscenza, di riconoscimento, come quella sensazione che lì c’è (perché in fondo è una certezza affermata con sicurezza dietro alle sembianze della modesta titubanza che giustifica la curiosità di inoltrarsi) qualcosa di importante per noi da comprendere o veder vivere per interposta persona (così da potersi disidentificare quando in conclusione, nel momento del distacco dalla fiction, si avvertirà una sorta di ceretta rispetto a quella silhouette tanto simile ad un alter ego fantasmato), insomma qualcosa di fondamentale da attraversare, allora si è attratti dalla necessità di scoprire di più e di dipanare un cammino di ricerca che ci riveli qualcosa che ancora ci sfugge pur essendo presente, silenziosamente in attesa del nostro arrivo. In letteratura questo processo è immanente, ecco perché praticamente sempre la lettura di un romanzo mi porta poi a diventare l’analista di personaggi, autori e scrittura, come fossero fonti di preziose informazioni sul funzionamento di tanti ingranaggi che percepiamo o a cui assistiamo e che procedono indipendentemente dalla nostra volontà. Ora capirete perché sono qui, pronta a condurvi in un viaggio attorno alla scrittura di Zola ed in particolare lungo il perimetro de <L’Assommoir> (pubblicato nel 1876) che narra le vicende di Gervaise Macquart legittima discendente di quell’enormemente frondoso albero genealogico che distilla i legami parentali che tengono insieme interconnessi i venti romanzi dedicati alla «storia naturale e sociale di una famiglia sotto il secondo Impero».

Un romanzo del ciclo dei Rougon-Macquart. Nella prefazione a La Fortuna dei Rougon pubblicato nel 1871, si annuncia che L’Assommoir avrà il suo posto nella compagine del vasto ciclo romanzesco dei Rougon-Macquart che Zola ha concepito come studio di una famiglia parigina del milieu popolare sotto il secondo Impero. Più precisamente, nella lista dei romanzi che Zola stila per esporre il progetto al suo editore Lacroix all’inizio del 1896, dispone L’Assommoir come settimo volume nell’ordine genealogico, illustrandolo come «un romanzo che avrà come quadro il mondo operaio (…). Affresco di un ménage di operai della nostra epoca. Dramma intimo e profondo della decadenza del lavoratore parigino sotto la deplorabile influenza del suo ambiente sociale e urbano». Digià quest’intenzione, dunque, si trova germinale sin dalla stesura inaugurale del ciclo, ossia, appunto La Fortuna dei Rougon che è l’opera in cui si costruiscono le fondamenta dell’albero genealogico generale, le radici di cemento in effetti per tutte le implicazioni di prigionia e i muri destinali che la struttura di queste storie comporterà. È nel IV capitolo che farà la sua prima apparizione Gervaise, figlia di Antoine Macquart e di Fine Gavaudan, e sarà già connotata dai pesi della determinazione ereditaria che graveranno su di lei ne L’Assommoir del quale sarà protagonista. Due elementi principali sono introdotti al suo proposito, in primo luogo le circostanze della sua concezione – Gervaise nata l’anno seguente, era zoppa di nascita. Concepita nell’ubriachezza, senza dubbio in una di quelle notte vergognose durante le quali gli sposi si ubriacavano, Gervaise aveva la coscia destra deviata e smilza, strana riproduzione ereditaria delle brutalità che sua madre aveva dovuto sopportare per un’ora di lotta e di ebrezza furiosa – nonché l’incontro con il suo amante Lantier – Gervaise, picchiata, allevata nella strada insieme ai ragazzi del vicinato, rimane incinta all’età di quattordici anni. Il padre di suo figlio aveva appena diciotto anni. Era un operaio, chiamato Lantier.

Gervaise, stanca di essere sfruttata da suo padre Antoine Macquart, indolente, incline al parassitismo e logorroico cade tra le braccia di Lantier che presenta le stesse caratteristiche caratteriali. Con lui e con i due figli, Gervaise scapperà a Parigi. Il primo capitolo de L’Assommoir riprende questo episodio, lo richiama attivando la narrazione e instaurando il discorso con i lettori in medias res.

Ammiratore di Balzac, Zola nota in un articolo consacrato all’autore de La Comédie humaine e pubblicato su Le Rappel il 13 maggio del 1870, che nell’universo balzacien «la borghesia e l’aristocrazia unicamente sono rappresentate. Il popolo, l’operaio non compare mai. Tuttavia, quanto si sente da lontano la voce del grande assente, oh quanto si sente, sotto tutte le macerie e le rovine ammassate, la sorda spinta del popolo per emergere alla vita politica alla sovranità!».

Questa volontà di rappresentare il mondo operaio, presa in conto dalla corrente realista (soprattutto in pittura con Monet, Manet, Pissarro e soprattutto Courbert), corrisponde nel caso di Zola a un engagement politico e sociale che prende forma dalla sua esperienza personale: al suo arrivo a Parigi nel 1858, lo scrittore ha conosciuto grandi difficoltà materiali e ha vissuto accanto ad una popolzione d’impiegati e operai e piccoli artigiani che vivevano miserabilmente nei sordidi grandi immobili locativi che serviranno da modello per descrivere il palazzo di Gervaise in rue de la Goutte-d’Or.

Nel panorama letterario, due esempi maggiori avevano già preso in conto un tale ambiente, Les Misérables di Victor Hugo del 1862 e Germinie Lacerteux dei fratelli Goncourt delu 1865. È là che si trova l’ispirazione dei grandi canoni naturalisti che Zola svilupperà nell corso della sua elaborazione personale.

Il famoso metodo naturalista! Previsto sin dall’immaginazione ipotetica del ciclo, L’Assommoir rimane solo una bozza per cinque anni, ma il suo dossier si arricchisce progressivamente e regolarmente di letture e risultati di ricerche. Si possono distinguere tre fasi di lavoro metodico. Prima fase di documentazione: nelle note preparatorie al ciclo, Zola definisce le sue diversità rispetto a Balzac e indica che non intende «dipingere la società contemporanea, ma una sola famiglia, mostrando il gioco della razza modificata dall’ambiente» e che accetta un quadro storico «unicamente per avere un contesto ambientale che regoli le dinamiche, così come il mestiere, il luogo, la residenza sono già dei contesti». E tuttavia questa ricerca documentaria non occulta l’intenzione principe, vale a dire descrivere e denunciare la realtà del mondo operaio e la sua miseria. Per nutrire quest’ambizione e la genesi del suo romanzo, Zola impiega due fonti principali: dei saggi di riflessione sulla condizione operaia, degli studi sociologici, linguistici e medici sullo stesso soggetto. La prima fonte corrisponde alle idee sociali che Zola intende sviluppare nel suo romanzo, e si tratta soprattutto di tre autori maggiori: Jules Simenon (L’Ouvrière del 1861 e Le travail del 1866: sono due opere che espongono idee liberali sul punto); Paul-Leroy-Beaulieu (De l’état moral et intellectuel des populations ovrières et de son influence sur les taux des salaires del 1868 e la Question ouvrière au XIXe siècle); infine Eugène Manuel (autore del dramma Les Ouvriers del1868 dove l’educazione e l’accesso alla cultura e all’istruzione sembrano mezzi per migliorare la condizione operaia). La seconda fonte è costituita principalmente da tre autori che forniranno a Zola dati precisi sui sintomi dell’alcolismo, sulla tipologia degli operai parigini e infine sull’argot (slang) parlato a Parigi a quell’epoca: il libro del dottor  Valentin Magnan, De l’alcoolisme, des diverses formes du délire alcoolique et de leur traitement (1874) che fornisce a Zola gli elementi per tratteggiare la progressione dell’alcolismo nel personaggio di Coupeu (marito di Gervaise) e le sue crisi di delirium tremens; l’opera di Denis Poulot, Question sociale. Le Sublime ou le travailleur comme il est en 1870 et ce qu’il peut être (1870) che offre una classificazione degli operai parigini in funzione del loro comportamento davanti al lavoro, la loro maniera di vivere e il loro grado patologico rispetto all’alcolismo. Zola rivela ugualmente dei termini del linguaggio popolare, ma su questo versante sarà principalmente il Dizionario della lingua verde (Dictionnaire de la langue verte. Argots parisiens comparés del 1866 d’Alfred Delvau) a aiutarlo, è da lì infatti che Zola prende in prestito la maggior parte delle parole che comporanno la sinfonia dei dialoghi dei suoi personaggi.

Poi c’è la seconda fase, quella della preparazione e della redazione iniziale, in effetti, parallelamente a questo lavoro di documentazione e approfondimento Zola redigeva, come è stato il caso per ognuno dei suoi romanzi, una malacopia e due piani dettagliati precedenti la stesura propriamente detta. La malacopia, in pratica, era il canovaccio che gli permetteva di formalizzare l’intenzione generale, di elencare i personaggi pennellandone i contorni così come le grandi tematiche che avrebbero attraversato l’intrigo tutto intero.

Naturalmente, la terza fase è la creazione finale: per quanto riguarda L’Assommoir, la sua redazione iniziò nell’autounno del 1875 e fu terminata alla fine del mese di novembre del 1876. Zola modifica la struttura narrativa messa a punto nel primo piano dettagliato che comprendeva ventuno capitoli. Essenzialmente accelera e serra il ritmo e riporta il romanzo a tredici capitoli globali. Sul piano stilistico, introduce massivamente il linguaggio popolare operaio e l’argot nei dialoghi e nei monologhi dei suoi personaggi, ma anche – e si tratta della sua grande originalità – nella narrazione e nelle descrizioni. A tutto ciò si aggiunge un ricorso frquente allo stile libero che crea spesso come effetto una sorta di confusione volontaria sull’origine del punto di vista narrativo.

La pubblicazione en feuilleton de L’Assommoir prende avvio il 13 aprile 1876 su Le bien public; e la sua apparizione provoca subito polemiche al punto da essere sospesa pochi mesi dopo, il 7 giugno 1876. Sarà una rivista letteraria, infine, La revue des lettres, diretta da Catulle Mendès, a riprenderne la stampa dal 9 luglio dello stesso anno e che assicura l’uscita degli ultimi sette capitoli fino al 7 gennaio 1877; momento in cui L’Assommoir viene editato in volume dalla casa editrice Charprentier.

Gervaise Macquart vive miserabilmente insieme a Lantier e i loro due figli in un hôtel del quartiere della Goutte-d’Or a Parigi. Abbandonata da Lantier, Gervaise fa la conoscenza di Coupeau, un operaio zingaro che la corteggia e l’invita un giorno in un cabaret, L’Assommoir, dove si fabbrica un’acquavite di cattiva qualità. Dopo una debole resistenza, Gervaise sposa Coupeau.

In poco tempo, L’Assommoir si organizza attorno all’itinerario esistenziale del personaggio di Gervaise Macquart, al punto che il primo titolo che l’autore aveva pensato era «La simple Vie de Gervaise Macquart». In realtà due grandi movimenti animano la narrazione e la vita di questa eroina: i tre tempi legati al suo progetto di apire una lavanderia che Gervaise effettivamente intraprenderà; una volta iniziata l’attività Gervaise si installerà per iniziare il suo lavoro fino alla consumazione del suo destino; il secondo movimento, in filigrana rispetto all’insieme della struttura romanzesca, è fondato sul contrasto che comporta una fase «positiva» dove il personaggio di Gervaise passa dallo status di operaia a quello di padrona in quanto apoteosi dell’ascensione sociale; e una fase discendente, «negativa», che descrive il suo cammino verso la tragedia progressiva malgrado tutto.

Abbiamo analizzato il metodo naturalista seguito per realizzare la composizione e occorre aggiungere che nelle «Notes préparatoires aux Rougon-Macquart» (1869) Zola precisa i criteri stilistici che conta mettere in opera per questo testo: «pochi personaggi: due o tre figure principali, profondamente scavate, poi due o tre figure secondarie che instaurino il maggiore attaccamento possible, che servano da complementi o elementi respingenti. Sfuggirò in tal maniera all’imitazione di Balzac che ha tutto un mondo nei suoi libri».

Effettivamente l’ambizione realista e il credo naturalista, ossia «osservare e sperimentare», conducono Zola a creare un gran numero di personaggi nella maggior parte degli altri romanzi del ciclo; ma alla fine, e nonostante tutto, L’Assommoir non farà eccezione, sarà lo stesso romanziere a sottolineare nella prefazione che si tratta del «primo romanzo del popolo», peraltro definito dalla critica un romanzo fortemente <popolato>. Però, c’è da dire che  la folla di personaggi è subordinata alla figura principale di una donna, al destino di Gervaise.  Zola – convinto dalle tesi sull’ereditarietà che il dotttor Lucas espose nel Traité philosophique et physiologique de l’hérédité naturelle (1850) – costruisce una figura femminile vittima di un mondo duro. Parte integrante dell’albero generalogico dei Rougon-Macquart, Gervaise appartiene al ramo dei Macquart, quella che ‘non riesce’. Presente in tutti capitoli, Gervaise incarna subito la vittima di un contesto ostile. Tuttavia, Gervaise è contemporaneamente un personaggio in lotta, animato da un ideale formulato a più riprese: lavorare, mangiare del pane, avere un buco per sé dove vivere, allevare i figli, morire nel proprio letto. Non sprovvista di ambizione, Gervaise cerca di estrarsi dalla sua condizione operaia e ci riesce per un attimo quando diventa la proprietaria di una lavanderia, ma a quel punto considera che il suo obiettivo è superato cadendo così in uno stato spirtuale debole che da quel momento in poi procederà da compiacimento a rinuncia: Gervaise accetta il far nulla e l’ubriachezza di Coupeau, poi il ritorno di Lantier, prima di perdersi in una spirale di decadenza disperata. Da questo punto di vista, la sua figura è tragica, definita dalla fatalità contro la quale cui non ha la forza o la possibilità – apparentemente – di opporsi o sottrarsi. Gervaise resterà sempre sola in fondo perché è tanto vittima di sé stessa che della rete di personaggi che si organizzano attorno a lei. Vittima di sé stessa per il suo bisogno di indulgenza generale e di <non essere infastidita>, e vittima degli altri per il suo rimanere cieca alla sfruttamento a cui è sottoposta (soprattutto in relazione alle figure maschili).

Il XIX secolo – ribattezzato il secolo delle Rivoluzioni – è segnato da profonde mutazioni, in effetti l’epoca delle sommosse politiche e dei cambiamenti tecnologici ha trasformato la società francese e si può affermare che se il popolo della campagna rimane e trova ancora espressione nel genere romanzesco di autori come Balzac, George Sand, Flaubert et Maupassant – che hanno testimoniato nelle loro opere il popolo delle campagne -, il popolo delle città, che è all’origine dei movimenti sociali, diventa un oggetto letterario a sé e trova la sua collocazione nella profonda riflessione che si instaura sul ruolo del popolo nella Storia.

Del resto, per alcuni, soprattutto gli esponenti del Romanticismo, il popolo è un essere collettivo impotente. Ci sono vari esempi di questa convinzione. Per esempio, nella prefazione a Ruy Blas (1838) Hugo scrive a proposito dell’eroe eponimo, rappresentante del popolo, che quest’ultimo ha avvenire ma non un presente. Nel dramma Lorenzaccio (1834) Musset mette in scena un popolo passivo che passa dal gioco di un tiranno all’altro senza reagire. In più ne L’Éducation sentimentale (1869), Flaubert propone una visione mitigata del popolo rivoluzionario del 1848: la descrizione del sac de Tuileries mostra una massa grondante che si dà a un orribile piacere della tavola, mentre l’eroe, Frédéric Moreau, replica: «moi, je le trouve sublime». Per quanto riguarda Michelet, se esalta nella sua Histoire de France (1834-1874) il popolo come «acteur principal» della Storia, ammette anche che è ancora un «Gigante bambino». Ancora, con i Misérables (1862) Hugo mette in scena tutte le miserie del popolo, descrive le fatalità che l’alienano ma mostra anche le possibili riabilitazioni morali e sociali dei personaggi idealizzati. Per finire con i Goncourt, che predicano un genere romanzesco ancorato nella realità e nella restituzione del vero, essi rappresentano i milieux popolari in vari romanzi, ma soprattutto con Germine Lacerteux (1865) nella cui prefazione vengono enunciati i principi e i criteri che Zola estenderà e amplierà.

Così dopo questa rappresentazione del popolo in letteratura è arrivato il tempo de L’Assommoir di Zola : il suo lavoro preparatorio ha imposto i temi principali dell’opera – in primis l’acolismo e il suo ruolo nella decadenza di una famiglia operaia; poi la descrizione e la denuncia della miseria sociale, morale e le sue conseguenze; inoltre il peso del milieu e dell’ereditarietà; anche l’ossessione per il cibo e infine il dipinto di un popolo operaio e del suo linguaggio. Quando nel 1869 Zola annuncia al suo editore Lacroix l’intenzione di integrare nel suo progetto del ciclo «un roman qui aura comme cadre le monde ouvrier», si inscrive automaticamente in una linea di pensatori e scrittori che da qualche decennio avevano scelto, con delle prospettive differenti, di rendere conto dell’emergenza, in seno alla società industriale e urbana del XIX secolo, di una nuova entità: il popolo, e più precisamente del mondo operaio. Così Zola si appropria di quest’ultimo come materiale romanesco: sensibilizzato dalla sua esperienza personale, si impegna, dal 1868, in una campagna di denuncia contro l’ingiustizia sociale.

Un universo di alienazioni. Non sarà stato il primo a rappresentare il popolo, ma Zola intende sicuramente affrancarsi dalle convenzioni letterarie che lo precedeono e che incidono nell’edulcorazione della realtà : dal suo punto di vista, il romanzo ha una funzione edificatrice, ma a differenza di altri – come Hugo che idealizza i suoi personaggi -, Zola sostiene una estetica che sia «un dipinto esatto della vita del popolo con le sue sporcizie, la sua vita di lassitudini ed il suo linguaggio volgare ».

Per Zola si tratta di fotografare e denunciare un universo a margine dove gli esseri umani subiscono le multiple alienazioni legate a un ambiente di penuria ma anche alle piaghe della loro propria personalità. Tuttavia, ne L’Assommoir, quest’ultima è più un fattore aggravante che non una causa determinante. Motivo per cui si possono contare quattro tipi di alienazioni discriminanti maggiori che mantengono il popolo operaio di Zola nello stato miserabile: l’habitat, il lavoro e le condizioni lavorative, l’alcolismo, la mancanza di educazione. La rovina, l’insalubrità et la promisquità regnano nel quartiere indicativi e rivelatori; da questo punto di vista i differenti luoghi di residenza di Gervaise sono spie : un importante campo lessicale legato al degrado accompagna ogni descrizione dei luoghi che è specchio dell’attitudine – piuttosto, il vizio – che Zola, nella prefazione, definisce come «l’allentamento dei legami familiari, (…) l’oblio progressivo di sentimenti onesti, poi come snodo, la vergogna e la morte. È la morale in azione, semplicemente».

Nel capitolo espositivo, il primo quadro del mondo operaio illustra un collettivo umano assimilato a un gregge animale che entra a Parigi – «uno scalpiccio di mandria» – questa metafora ripresa e ampliata sviluppa l’immagine ricorrente di un gruppo sociale inebetito, docile, rassegnato e sfruttato da una società impietosa rappresentata da Parigi, città personificata in mostro che tutte le mattine divora operai. Del resto, tutte le descrizioni del lavoro rivelano le situazioni alienanti. Si potrebbe tracciare una corrispondenza con Les Mystères de Paris di Eugène Sue(1842-43); Les Sœurs Vatard di Huysmans (1879) et L’Insorto di Jules Vallès (1886).

«L’alcoolisme, casse-poitrine» – come è noto ne L’Assommoir la piaga verso cui certi lavoratori si volgono per sfuggire alle umiliazioni sarà mortale: l’alcolismo. In effetti, anche se i loro padri erano alcolisti, Gervaise e Coupau non bevono all’inizio, sprofondano poco a poco nell’ubriachezza, sicuramente per temperamento, ma si sa il ruolo preponderante assegnato all’ereditarità nella teoria naturalista per spiegare i destini individuali, inoltre giocano pesantemente il destino e l’influenza dell’ambiente in questa concezione costruita da Zola. Allora, l’alcolismo diventa l’espressione di una vita insopportabile fatta di rinunce e fughe. Da quel momento la decadenza fisica e mentale diventa ineluttabile: Zola che si è documentato sulla devastazione dell’alcolismo descrive la progressione della malattia in Coupeau e la sua terribile fine nel delirum tremens. Ora, per Zola lottare contro questo flagello equivale a lottare contro un’altra fonte d’alienzazione, l’assenza di educazione, al punto che lo scrittore stesso afferma: «tutto L’Assommoir può riassumersi in questa frase: chiudete i cabaret, aprite le scuole». Se questa seconda causa alienante occupa una posizione secondaria nella trama, sottolinea comunque costantemente il confinamento di una popolazione in uno spazio e in un modo di vita da cui è difficile ribilitarsi, uscire senza evadere, senza identificarsi oppure guarire il corpo di dolore e i condizionamenti.

In definitiva la scrittura di Zola supera sempre il progetto teorico della scrittura naturalista tout court: se la rappresentazione del mondo operaio restituisce chiaramente «l’odeur du peuple», come si legge nella prefazione al romanzo, essa apre in egual misura delle prospettive sull’immaginario del creatore e della creazione. Ma soprattutto:

Non si deve assolutamente concludere che il popolo sia interamente negativo, perché i miei personaggi non sono cattivi, non sono che degli ignoranti viziati dal milieu di rude bisogno e di miseria in cui vivono. Solo, bisognerebbe leggere i miei romanzi, comprenderli, vedere nettamente il loro insieme, prima di proferire giudizi già preconcetti (…).

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