L’Atlante italiano dei conflitti ambientali – uno strumento per conoscere e partecipare

Cosa potranno mai avere in comune la tutela dell’ambiente e la realizzazione di un atlante? Per rispondere a questa domanda, lo scorso 11 maggio, presso la sede del corso di Laurea Magistrale in Geografia e Processi territoriali dell’Università di Bologna, abbiamo voluto organizzare un incontro dedicato all’Atlante italiano dei conflitti ambientali, una preziosa occasione per scoprire e condividere interessi, conoscenze e curiosità. La lezione, tenuta da Marica Di Pierri, Presidente del Centro di Documentazione dei Conflitti Ambientali (CDCA), ci ha infatti dato l’opportunità di comprendere lo stretto legame che intercorre tra ambiente, conflitti e partecipazione attiva della popolazione.02-Ambiente
Il CDCA, frutto dell’unione di ricercatori, attivisti, giuristi, epidemiologi e giornalisti, si occupa di ricerca e documentazione dal 2007, con l’obiettivo di studiare le cause e le conseguenze dei conflitti ambientali, economici e sociali scatenati dallo sfruttamento di risorse naturali e beni comuni.  Un lavoro che riveste un ruolo fondamentale, soprattutto oggi che la questione ambientale si impone sul panorama globale come una delle principali sfide da vincere. Il contributo è notevole: tramite varie pubblicazioni, il CDCA mira a stimolare il dibattito sulla scena nazionale ed internazionale coinvolgendo istituzioni, cittadinanza e mondo dell’informazione. È dunque in questo ampio contesto di studio e divulgazione che si inserisce l’idea dell’Atlante italiano dei conflitti ambientali, nato nell’ambito del progetto di ricerca globale Ejolt – Environmental Justice Organisations, Liabilities and Trade. atlante-conflitti-ambientali-mondoGrazie ai finanziamenti della Commissione Europea e al sostegno di ISCC – Transformation to Sustainability grant, entrambi i progetti sono stati realizzati sotto forma di piattaforme web geo referenziate e gratuite, ideate per rappresentare un importante strumento di mappatura partecipata: utenti, associazioni, comitati e ricercatori possono accedervi liberamente e redigere apposite schede inerenti agli eventuali conflitti ambientali riscontrati sui loro territori. In seguito alla validazione da parte del CDCA, le schede entrano a far parte di un archivio in costante evoluzione che contribuisce a dare visibilità ad importanti problematiche, spesso sconosciute ai più e pericolosamente messe in secondo piano.

Ma più esattamente, cosa si intende per conflitto ambientale? Una prima, generale definizione riscontra la presenza di un conflitto ambientale quando vi sono conflitti politici, sociali, economici, etnici, religiosi e territoriali, tradizionalmente indotti dal degrado ambientale, caratterizzati dal sovrasfruttamento di risorse, dal raggiungimento delle capacità limite dell’ambiente e dalla riduzione degli spazi di riproduzione della vita, occupati sempre più spesso da attori economici pubblici e privati. 13288287_10208369532350064_1462753377_oCosì come viene spiegato nel testo Conflitti Ambientali, biodiversità e democrazia della terra edito da Edizioni Ambiente, un conflitto ambientale si manifesta quando progetti pubblici o privati o politiche con elevati impatti ambientali si scontrano con l’opposizione della società civile: residenti, associazioni, comitati ecc. Riduzione delle risorse naturali di un dato territorio e resistenza da parte della società a difesa dei propri diritti, sono i principali elementi che concorrono all’insorgenza di un conflitto ambientale. In Italia gli esempi sono moltissimi, dal tristemente noto caso della TAV in Val di Susa alla disastrosa gestione dei rifiuti in Campania, passando per l’ILVA di Taranto fino ad arrivare alla vergognosa situazione post terremoto che ha colpito l’Abruzzo nel 2009. Secondo la causa scatenante, inoltre, è possibile distinguere questi conflitti in tre tipologie: quelli provocati da scelte politiche ed amministrative per realizzare opere contro la volontà della popolazione, quelli suscitati dalla mancata partecipazione pubblica là dove sarebbe necessaria e quelli legati a scelte politiche nazionali, sovranazionali, finanziarie ed economiche imposte per esempio dal FMI o dall’UE.

Tornando al caso italiano, l’Atlante aiuta a dare voce anche ai casi più isolati e sconosciuti, che spesso fuoriescono solo quando interviene la magistratura. Parliamo ad esempio dei casi delle due centrali a carbone di Brindisi o dell’aumento di incidenze tumorali nell’area di Brescia, strettamente legate all’attività chimico-industriale della Caffaro, operativa dal 1906. Per non parlare del preoccupante caso di Bussi sul Tirino, località in provincia di Pescara, sede di una delle discariche più grandi d’Europa. Trattandosi di un’area a poca distanza dai territori dei due Parchi Nazionali (Mairella Morrone e Gran Sasso e Monti della Laga), la situazione si fa ancora più delicata: per decenni sono stati accumulati in questa zona montagne di rifiuti altamente nocivi, costituiti da molte sostanze cancerogene che, per altrettanti decenni, hanno contaminato l’acqua utilizzata dalla popolazione locale, all’oscuro del problema. bussi_piantaNonostante l’esito del conflitto sia ancora incerto, è stata proprio la mobilitazione della società civile ad ottenere la chiusura dei pozzi da cui veniva prelevata e distribuita l’acqua contaminata, a presentare osservazioni alla VIA, a sviluppare proposte alternative e ad elaborare documenti indipendenti di denuncia ed informazione. Quello di Bussi rappresenta uno dei tanti esempi di grande partecipazione collettiva che costituisce il primo passo verso una concretizzazione del problema ed una sua risoluzione. Al di là di tentativi riduzionisti che vogliono far passare queste opposizioni come semplici casi di sindrome Nimby (Not in my Back Yard), cioè “Non nel mio giardino”, questi movimenti non vogliono semplicemente contestare la realizzazione di un progetto, ma la politica stessa che ne regola l’attuazione. Di fronte ad una gestione senza criterio del territorio, portata avanti esclusivamente in nome del profitto, i comitati si organizzano per tutelare i propri diritti e salvaguardare l’ambiente dal quale dipende la qualità della loro vita.

Con il progetto dell’Atlante italiano dei conflitti ambientali è stata messa a disposizione di ciascuno di noi una lente con cui analizzare una serie di fenomeni strettamente connessi tra loro, facendo emergere da un lato l’insostenibilità dei modelli politici, decisionali ed economici, dall’altro la presa di coscienza e il desiderio sempre più forte di cambiare le cose, in nome di una più equa giustizia ambientale e sociale.

Anatomia_rivoluzione-400x300 Grazie anche alla disponibilità di strumenti tecnologici sempre più efficaci e facili da usare, negli ultimi anni ci stiamo allontanando dal classico atteggiamento ambientalista di tipo conservazionista, per adottarne uno nuovo, più concreto e dinamico, protagonista di una gestione territoriale con meno squilibri e più sostenibile. Non è più sufficiente dire di no, occorre dimostrare di avere un’alternativa: l’Atlante è proprio questo, un modo alternativo di indagare, di informare ed aggregare, ricercando modelli di gestione territoriale più democratici, agendo localmente e globalmente.

Le foto sono state prese da: cdca.it, Amazon.it, www.improntaunika.it, www.comune.perugia.it

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