Roald Dahl: occhi da bambino

«Papà mi compreresti un libro?»

«Un libro? E per che cavolo farci?»

«Per leggerlo».

«Diavolo, ma cosa non va con la tele? Abbiamo una stupenda tele a ventiquattro pollici e vieni a chiedermi un libro! Sei viziata, ragazza mia!» (Matilde)

 

Tra i miei primi viaggi nei mondi fantastici, ce n’è uno che racconto spesso quando chiacchiero di infanzia: quello nell’universo creato da Roald Dahl. Il viaggio è scaturito da un regalo (speciale) da parte di una persona (altrettanto speciale): i romanzi Le streghe e Matilde. Di quest’ultimo avevo visto il film Matilda 6 mitica che davano spesso in televisione il sabato sera. Mi sentivo un po’ Matilde, curiosa e divoratrice di romanzi, sempre lì a dire «Ancora!», quando finivo di leggere un libro. Sarà stato per questo che il mio amore per Roald Dahl è cresciuto in maniera smisurata, e con lui, la stima e l’ammirazione nei confronti di questo scrittore con gli occhi da bambino.

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Roald Dahl nasce il 13 settembre 1916 a Llandaff da Harald Dahl, «un norvegese che veniva da Sarpsborg, una cittadina vicina a Oslo» (Boy) e da Sofie Magdalene Hesselberg.

 Dahl fu un bambino buono, attaccatissimo alla sua mamma, cui scrisse una lettera alla settimana. Fu un bambino ingenuo e credulone, sia quando gli raccontarono che la liquirizia era fatta di sangue di topo pressato che quando gli dissero che ci si poteva ammalare dì appendicite inghiottendo un pelo di spazzolino da denti. (Boy)

 Come scrive nella sua autobiografia Boy , il padre di Dahl aveva avuto, prima di Sofie, un’altra moglie (Marie) dalla quale aveva avuto due figli. Marie, però, morì dopo la nascita del secondo figlio e così Harald, convinto che i suoi figli avessero bisogno di una matrigna, sposò Sofie dalla quale ebbe quattro figli (tre bambine e un maschio, cioè Roald).girafe Una di queste figlie, qualche anno dopo, morì di appendicite e, di dolore, morì pure Harald. Sofie si ritrovò vedova e con una figlia in meno. Nelle pagine del libro, è possibile leggere degli estratti delle lettere che Roald mandò alla madre ai tempi del collegio e che gli vennero restituite dopo la morte della madre. Si evince dall’autobiografia un forte attaccamento alla figura materna, ma soprattutto la forza di una madre che, da sola, o non del tutto poiché c’è anche una Tata, riesce ad allevare i suoi figli, tenendo fede anche alla scelta del marito di fargli ricevere un’istruzione inglese. Uno degli episodi più curiosi è il litigio fra la madre e il direttore della scuola elementare frequentata da Dahl. Ci troviamo nei primi decenni del Novecento, l’educazione imposta era molto rigida e le monellerie venivano punite con la violenza. L’antefatto è il seguente: Dahl e alcuni suoi compagni avevano messo un topolino in mezzo a un barattolo di caramelle della signora Pratchett, «una vecchia megera piccola e magra, baffuta e con un’espressione acida come l’uva spina acerba. Non sorrideva mai». (Boy)

La signora Pratchett accusò i bambini, il cui didietro venne bastonato dal direttore.

 «Se avessi avuto la più pallida idea di quel che stava per fare, avrei cercato di fermarla, ma non sospettavo nulla. Scese al piano di sotto e si mise il cappello, poi uscì decisa di casa, percorse il viottolo e fu in strada. Dalla finestra della mia stanza la vidi uscire dal cancello e voltare a sinistra, e ricordo di averle gridato: Torna, torna, torna!. Ma lei non mi diede retta. Camminava rapida, a testa alta, la schiena eretta e, dall’aria che tirava, capii che Mister Coombes avrebbe passato un brutto quarto d’ora.

[…]

Cosa ti ha detto Mister Coombes, mamma?

Mi ha detto che sono straniera e che perciò non posso capire i metodi delle scuole britanniche.

È stato sgarbato?

Molto sgarbato. Mi ha detto che se non gradivo i suoi metodi potevo toglierti dalla scuola.

E tu cos’hai detto?

Gli ho detto che l’avrei fatto, appena terminato l’anno scolastico». (Boy)

 

Dahl fu sempre legato alla madre: «Le scrissi ogni domenica dal Saint Peter’s (c’ero obbligato) e ogni settimana dalla scuola seguente, Repton, e ogni settimana da Dar es Salaam nell’Africa Orientale, dov’ero andato per il mio primo lavoro dopo aver finito gli studi, e poi ogni settimana durante la guerra dal Kenya, e dall’Iraq, e dall’Egitto quand’ero pilota della RAF». (Boy)

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Terminati gli studi, Dahl non frequento l’università. Trovò lavoro presso la Shell Petroleum Company, compagnia che gli permise di viaggiare molto. Nel 1939, con l’inizio della Seconda Guerra Mondiale, Dahl si arruolò nella Royal Air Force. A causa di un incidente, però, venne scartato ad una visita di controllo ed è nel 1942 che comincia la sua carriera di scrittore.

 «La vita di uno scrittore è un vero inferno, confrontata a quella di un uomo d’affari. Lo scrittore deve forzarsi a lavorare, deve imporsi un proprio orario e, se non gli va di sedersi alla scrivania, nessuno lo rimprovera. Se è un romanziere, vive nel terrore: ogni nuovo giorno esige nuove idee, e non si è mai certi che arriveranno puntuali. Dopo due ore passate a scrivere, il romanziere si sente completamente svuotato. Durante quelle due ore s’è trovato mille miglia lontano, in un altro luogo, in compagnia di gente totalmente diversa, e lo sforzo che deve fare per tornare indietro a nuoto, nel presente, è assai grande. È quasi un trauma. Lo scrittore esce dal suo studio mezzo inebetito. Ha voglia di bere, ne ha proprio bisogno. Succede infatti che quasi tutti i romanzieri bevano più whisky del dovuto. Bevono per infondersi fiducia, speranza e coraggio. Bisogna essere pazzi, per fare gli scrittori. La loro sola compensazione è un’assoluta libertà. Il loro unico padrone è la loro anima ed è per questo che hanno fatto quella scelta, ne sono certo». (Boy)

Tutti i personaggi e i luoghi dei romanzi di Dahl si ricollegano a eventi accaduti, a posti visitati, a persone conosciute da Dahl stesso:

«I ricordi d’infanzia di Dahl sono costellati da continue frustate e da terribili prepotenze sui bambini da parte degli adulti. No, Dahl non ha avuto bisogno d’inventare i giganti crudeli, né la Spezzindue, né la nonna maligna della Magica Medicina, che è mite se confrontata alla sadica venditrice di dolci. Dahl ci avverte di non credere ai cattivi delle fiabe, e ci fornisce i mezzi per smascherare i cattivi della vita». (Boy)

Per esempio, questi due episodi della vita di Dahl si rifanno a La fabbrica di cioccolato (il secondo, soprattutto).

«Dopo scuola, gli stessi quattro bambini e io attraversavamo il parco e il paese, di ritorno a casa. Sia all’andata che al ritorno passavamo davanti a un negozio di dolci. No, in realtà non ci passavamo: ci fermavamo sempre. Indugiavamo fuori, di fronte alla piccola vetrina, fissando i grandi barattoli di vetro pieni di Occhi di Toro, di zucchero d’orzo, di caramelle alla fragola, di menta glaciale e di fruttini al cedro, alla pera e al limone, e tutto il resto. Ricevevamo sei pence a testa alla settimana e, finché avevamo denaro in tasca, entravamo in branco per comprarci un penny di questo o di quello. I miei favoriti erano i Succhia-Sorbetto e le Stringhe di Liquirizia». (Boy)

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Disegno di Quentin Blake

A Repton, invece, talvolta la Grande Fabbrica di Cioccolato inviava agli studenti scatole piene di tavolette di cioccolato. Gli studenti dovevano assaggiare e valutare i gusti:

«Era piacevole abbandonarsi a questi sogni e certamente è stato ripensando a questo che, trentacinque anni più tardi, alla ricerca di un soggetto per il mio secondo libro per ragazzi, mi rividi davanti quelle modeste scatole di cartone piene di nuove, dolci invenzioni e cominciai così a scrivere un libro intitolato La fabbrica di cioccolato». (Boy)

Oppure, Dahl cita spesso i topi nella sua autobiografia e così ci si potrebbe ricollegare a Le streghe, il romanzo in cui il protagonista viene trasformato in topo dalle cattive streghe che stanno tenendo il convegno nazionale in un albergo in Inghilterra. In questo romanzo, il ragazzino rimasto orfano ripone tutte le sue speranze e tutto il suo bene nell’amorevole nonna a cui è particolarmente attaccato.

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È curioso come vengano descritte le cattive streghe nel romanzo, ma più ampiamente parlando è curioso come vengano descritti gli adulti all’interno dei romanzi. La maggior parte di loro è descritta in modo negativo:

«I padri e le madri sono tipi strani: anche se il figlio è il più orribile moccioso che si possa immaginare, sono convinti che si tratti di un bambino stupendo. […] Ogni tanto capita di incontrare genitori che adottano l’atteggiamento opposto, e non manifestano alcun interesse per i propri figli (il che è molto peggio di quelli che stravedono per loro)». (Matilde)

Non tutti, ovviamente. Per esempio, in Matilde ritroviamo la signorina Betta Dolcemiele, la maestra che vuole davvero bene alla sua prodigiosa alunna. Oppure la nonna de Le streghe, che accetta il nipotino trasformato in topo e lo aiuta a trasformare le streghe a sua volta. Senza dimenticare, ovviamente, il GGG ovvero il Grande Gigante Gentile. E così come non esistono soltanto adulti cattivi, nemmeno tutti i bambini sono buoni e innocenti. Infatti, a parte i protagonisti delle storie che sono bambini non accettati dalla società o dalla famiglia, soli e qualche volta poveri, nei romanzi di Dahl si trovano anche bambini che, alla lettura, ci risultano, odiosi. Per esempio ne La fabbrica di cioccolato i bambini viziati e prepotenti vengono indirettamente puniti dal signor Wonka. Oppure, ne Le streghe c’è Bruno, un bambino ricco e ghiotto, il cui primo pensiero è rimpinzarsi di cibo.

Molte sono state le produzioni cinematografiche tratte dai romanzi di Dahl come Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato di Mel Stuart del 1971 e la versione di Tim Burton (La fabbrica di cioccolato) nel 2005, James e la pesca gigante di Henry Selick del 1996, Chi ha paura delle streghe? di Nicolas Roeg, il già citato Matilda 6 mitica di Danny DeVito, e Fantastic Mr. Fox di Wes Anderson. Presto uscirà il film de Il GGG diretto da Steven Spielberg.

E, a proposito, del GGG, ecco cosa è successo durante il novantesimo compleanno della Regina Elisabetta… (vi ricordo che ne Il GGG, Sofia e il gigante incontrano proprio la regina d’Inghilterra)

Roald Dahl ha sempre usato un ingrediente nei suoi romanzi che gli ha permesso di essere letto e riletto: la semplicità. I suoi romanzi hanno un ritmo narrativo che trasporta il lettore, come se fosse su una barca che naviga in mezzo al mare, piatto, con un vento favorevole. Quello che, però, si può apprezzare di più è proprio l’immedesimazione nei protagonisti di Dahl: i bambini. Questa scelta permette al lettore di interagire con le storie di Dahl perché tutti siamo (stati) piccoli.

Per questo, i magici mondi di Roald Dahl sono stati visitati da tanti bambini (e tanti adulti) e dopo cento anni la storia continua. La ricetta è davvero semplice: occorre un romanzo di Roald Dahl, un po’ di concentrazione, molta immaginazione e il gioco è fatto. Potrete passare da una fabbrica di cioccolato alla Norvegia, dalla terra dei Giganti a una scuola elementare, magari arrivandoci attraverso un ascensore di cristallo. E, potrete conoscere innumerevoli personaggi, alcuni buoni, alcuni cattivi: si sa come vanno queste cose.

«Se veramente tu vuole sapere che cosa faceva nel vostro villaggio» disse il G.G.G., «bene, ecco: stava soffiando un sogno nella camera di quei bambini».

«Soffiando un sogno?»

«Sì, io è un gigante-soffia-sogni» disse il G.G.G.; «quando tutti gli altri giganti se ne trotta in giro per papparsi la gente dei vari popolli, io corre in altri posti per soffiare sogni nelle camere dei bambini dormentati. Bei sogni. Sogni d’oro. Sogni che rende felici». (Il GGG)

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