Anna Maria Ortese «Uno scrittore-donna, una bestia che parla, dunque»

Fra qualche giorno, per l’esattezza il 9 marzo, ci sarà il 19° anniversario della morte di Anna Maria Ortese (Roma, 13 giugno 1914 – Rapallo, 9 marzo 1998). Grande talento dietro la compostezza e l’umiltà con cui scelse di vivere la sua vita, da un apparente neorealismo letterario approda all’estrema sublimazione dell’interiorità umana, di quei meandri profondi e oscuri di dolore e di poesia persi nella realtà della vita. Chi la conosceva diceva che era una donna sempre in pena, mai contenta di se stessa. Una scrittrice fuori dalle righe, con una formazione irregolare e perlopiù da autodidatta, amava la solitudine che le era di fatto indispensabile per scrivere e pensare. Timida, timorosa di farsi vedere in pubblico, estranea a frequentazioni mondane e a salotti e a cerchie letterarie, visse per tutta la vita con la sorella postina, Maria. Enzo Golino su La Repubblica il 17 gennaio 2003 definisce le sue vicende biografiche «Una vita imprendibile, tormentata da una spasmodica volontà di espressione, dominata dal desiderio narcisistico di sublimarsi autobiograficamente in letteratura, turbata dalla coscienza di essere inadeguata al mondo». All’amico Dario Bellezza scriveva in una lettera sul disagio provato per l’ambiente letterario italiano:

«Spiegarti questo orrore segreto di partecipare alla cultura italiana di buon livello – è impossibile. Sai, sarebbe come rientrare malvestiti e invecchiati in una casa di potenti – dove tutti sono sempre vestiti in modo impeccabile, e soprattutto sono rimasti gli stessi».

La sua scrittura nasce come farmaco per il dolore e il male del mondo, diviene da subito il modo concreto di stare nel mondo e operare in esso, così come si è. Addolorata dalla morte del fratello marinaio Emanuele inizia a scrivere poesie. Esordisce nel 1937 a soli 23 anni con Angelici dolori, decise allora di vivere di scrittura, costandole il prezzo di una vita di stenti e miserie. Venne scoperta da Valentino Bompiani, fondatore della nascente casa editrice che porta il suo nome. Sicuramente l’opera con cui viene spesso ricordata è Il mare non bagna Napoli. Se questa le dette una certa notorietà – uscì nella collana Gettoni di Einaudi con una presentazione di Elio Vittorini nel 1953 – le costò al tempo stesso una rottura definitiva con la città dove si era trasferita da qualche anno e dove soprattutto si radicava la sua formazione letteraria, culturale e personale (la madre oltretutto era originaria proprio di Napoli). Infatti per via delle critiche mosse nel libro al gruppo di intellettuali napoletani che si raccoglieva intorno alla rivista Sud, «fu giudicato, purtroppo, un libro “contro Napoli”» scrive l’autrice nel 1994 «Questa “condanna” mi costò un addio, che si fece del tutto definitivo negli anni che seguirono, alla mia città. (…) mi domando se Il Mare è stato davvero un libro “contro” Napoli, e dove ho sbagliato, se ho sbagliato, nello scriverlo, e in che modo, oggi, andrebbe letto». Ha scelto di non tornare più nella città e di vivere in nostalgia, molla dell’incessante movimento creativo della sua scrittura.

«Una miseria senza più forma, silenziosa come un ragno, disfaceva e rinnovava a modo suo quei miseri tessuti, invischiando sempre più gli strati minimi della plebe, che qui è regina. Straordinario era pensare come, in luogo di diminuire o arrestarsi, la popolazione cresceva, ed estendendosi, sempre più esangue, confondeva terribilmente le idee all’Amministrazione pubblica, mentre gonfiava di strano orgoglio e di più strane speranze il cuore degli ecclesiastici. Qui, il mare non bagnava Napoli. Ero sicura che nessuna lo avesse visto, o lo ricordava.»1

coverDobbiamo ricordare che Il Mare nella lucidità del suo disincanto fu un’opera caratterizzata dallo spaesamento di una Italia nel dopoguerra, ma era lo spaesamento di tutti: era il “male oscuro di vivere”. Scritta nel silenzio della nazione, l’unico protagonista è la generazione dell’Ortese. Una denuncia alla realtà, senza i toni neorealistici del periodo, sperando di poter cambiare le cose con la letteratura (rimando all’articolo Il sonno della ragione: la Napoli di Ortese di Marco Gadaleta).
Sulla scia delle polemiche, lascia Napoli e arriva a Milano negli anni ’60 del boom economico.

Una costante della vita letteraria di Ortese è il dovere di scrivere di cose per le quali non ci sono parole:

«Si viene qui senza molta speranza, anzi nessuna; ma questa Natura, con i suoi rituali eterni e la sua segreta tristezza, ci parla invariabilmente di un passato, di una partenza, di un Altrove raggiante, di pace, e del giorno in ne fummo allontanati. E senza questa memoria di una ferita ormai indimostrabile, di questo lutto in sogno, esodo e frontiera perduta, forse non si può “scrivere”. Perché scrivere, quando non si giochi, è proprio questo: cercare ciò che manca, dappertutto – bussare a tutte le porte – raccogliere tutte le voci di un evento che ci ha lasciati e quando non le voci, i silenzi – scritti in ogni corteccia d’albero, in ogni dura pietra, quando non pure nelle risuonanti, sempre uguali narrazioni del mare.»2

Le tenebre non sono tali senza la luce. L’Iguana (1965), Il cardillo addolorato (1993) – pubblicato presso Adelphi, fu il libro che dopo una lunghissima e dolorosissima stagione di silenzio le aveva dato quegli onori e riconoscimenti che le erano sempre mancati – e Alonso e i visionari  (1996) si collocano sulla stessa strada stilistica de Il Mare: le cose si guardano attraverso un binocolo, c’è sempre un’altra prospettiva che si può allontanare all’infinito.
La forma romanza è fatta a pezzi e contaminata da citazioni irreali: cita delle cose per le quali non hanno nome.
Si dice che preferiva lavorare di notte con la macchina da scrivere sulle ginocchia, costruendosi una casa dentro la casa, come per chiudersi in se stessa in un guscio.
Era una visionaria di certo, aveva una sensibilità spiccata e una fantasia creatrice, credeva nell’invisibile, nel mondo delle creature, dei piccoli. Come poteva essere capace di fare presa e trasportare la realtà in altre dimensioni avendo rotto con la realtà che la circondava? Ne era in grado solo lei.

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Illustrazione: “L’Iguana” di Veronica Leffe (2015) per l’articolo “L’iguana e la bestia di Anna Maria Ortese” di Benedetta Sonqua Torchia

La triade L’Iguana, Il cardillo addolorato e Alonso e i visionari  è caratterizzata dal processo di maturazione al massimo livello nella poetica, nello stile e nella “germinazione di una cosmogonia narrativa” così come il rapporto con il mondo è sempre meno definito.

Uno degli articoli più lucidi che abbia letto sull’opera è L’iguana e la bestia di Anna Maria Ortese di Benedetta Sonqua Torchia di TerraNullius che trovate qui per la rubrica che si chiama “La Biblioteca Essenziale”.

Amico  e sostenitore nel mondo letterario, Pietro Citati colse l’essenza de “la zingara sognante”, scrive nel saggio “La principessa dell’isola”:

«Molta letteratura nasce dalla solitudine. Ma di rado ho avvertito una solitudine così profonda, così disperata, così assoluta come quella che che distrugge e difende Anna Maria Ortese. Non è la solitudine di un essere umano: ma la solitudine senza gesto e senza parola dell’animale condannato, che si chiude nella sua tana e non vorrebbe più uscirne; la solitudine di Kafka. (…) In tutto quello che la Ortese scrive, c’è un altissimo spazio lirico, un dolore portato al diapason e sempre sul punto si spezzare ogni misura, una tremenda angoscia, che nulla potrà mai placare; un amore mai sofferente, che non sa a chi consacrarsi. Soffre per la radicale ingiustizia.»3

Nel 1967 vince il Premio Strega per Poveri e semplici che, un romanzo non particolarmente significativo ma che traccia dietro i panni della protagonista Bettina le vicende dell’Ortese dall’arrivo a Milano al rapporto con il gruppo di intellettuali e artisti che costituiscono il coro del romanzo. Il romanzo più impegnativo,  complesso e discutibile Il Porto di Toledo (1975) – edito da Rizzoli, che dopo la vendita di sole 200 copie il primo anno rinunciò a venderlo – è quello che viene considerata l’autobiografia poetica dell’autrice in bilico tra esistenza ed espressione. Qui la scrittura viene chiamata proprio espressività o espressione con la consapevolezza che non tutto il reale sia afferrabile e che anzi possa anche sprofondare in immaginazione. La scrittura non si fa mai cupa, dura. E il rimpianto gioca un ruolo protagonista nel tentativo di riavvicinarsi alle cose umane. Il rimpianto è anche quello che la scrittrice prova per la sorella Maria che non si sposerà per rimanerle accanto e per aiutarla al sostentamento della loro vite.  La sorella si trasfigura in Juana de Il Porto di Toledo, così come è accaduto agli altri componenti della sua numerosa famiglia, le trasfigurazioni avvengono in personaggi fondamentali senza tempo e pieni di dolore. La stessa Ortese si traspone nella sua Estrellita, L’Iguana resa schiava dagli uomini, proverà la crudeltà umana arbitra.

«Uno scrittore-donna, una bestia che parla, dunque»: la frase appare nel libro autoriflessivo di meditazione e di memoria in «Attraversando un paese sconosciuto» dell’opera Corpo celeste (1997). «La bestia che parla» era un modo di dire un po’  popolare della lingua italiana negli anni di formazione dell’Ortese per indicare qualcosa di assurdo, inaudito, incredibile. Ebbene, Anna Maria Ortese è stata una tra le scrittrici maggiori del Novecento, poetessa, giornalista, saggista, reporter ma anche la bestia che parla.

Note

1. Anna Maria Ortese, Il Mare non bagna Napoli, pag. 39.

2. Anna Maria Ortese, Le piccole persone: in difesa degli animali e altri scritti, pag. 17.

3. Anna Maria Ortese, L’iguana, pagg. 199-200.

Bibliografia

Anna Maria Ortese, Il Mare non bagna Napoli, Torino, Einaudi, 1954.

Anna Maria Ortese, L’iguana, Milano, Adelphi, 1986.

Anna Maria Ortese, Corpo celeste, Milano, Adelphi, 1997.

Monica Farnetti, Anna Maria Ortese, Milano, Mondadori, 1998.

Gabriella Fiori, Anna Maria Ortese, o Dell’indipendenza poetica, Torino, Bollati Boringhieri, 2002.

Luca Clerici, Apparizione e visione: vita e opere di Anna Maria Ortese, Milano, Mondadori, 2002.

Anna Maria Ortese, Le piccole persone: in difesa degli animali e altri scritti,  Milano, Adelphi, 2016.

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