“XY” di Sandro Veronesi

XY del due volte vincitore Premio Strega Sandro Veronesi è tornato nelle librerie grazie a La Nave di Teseo da Novembre. Il libro era stato pubblicato per la prima volta nel 2010. Quando ha scritto questo libro, Veronesi pensava alla morte dei suoi genitori di cancro incurabile tutti e due insieme, alla difficoltà di accettare una situazione del genere e all’impossibilità di trovare nella scienza o nella religione una qualche spiegazione. Questa è la prima chiave di interpretazione di un libro incredibile che lo rende metafora della vita e del mondo nella sua analisi della sofferenza umana.

Come si accetta una tragedia a cui non si riesce a dare alcuna risposta?

«Se esistono le parole per dirlo, è possibile.» (1)

Veronesi illumina con la forza della scrittura la contemporaneità, le ombre più nascoste dell’animo umano, lo smarrimento e la frustrazione, nel pieno della tradizione letteraria di Balzac e Dostoevskij. Il romanzo dalle tinte noir è praticamente un thriller senza esserlo davvero che mette in relazione fede e ragione. Ma non solo. Letto in questo periodo, il romanzo ci sembra familiare, ci parla delle possibili reazioni a qualcosa che può sconvolgere le nostre vite (come la pandemia e le sue conseguenze che stiamo vivendo).

Quanto accade nel microcosmo di 42 abitanti nel Borgo San Giuda, dove il tempo sembra fermarsi in un’epoca indefinibile, ci viene raccontato da due punti di vista: quello di Don Ermete, il parroco che rischia quasi di perdere la fede, e quello di Giovanna Cassion, una giovane psichiatra che si trasferisce in questo paese per aiutare gli abitanti – ma forse più per scappare da sé stessa e da un amore finito. Questi due personaggi, incarnazioni di fede e scienza, si alleano con sforzi elefantiaci per mettere in salvo quel mondo di poche anime perse e mute, che sembrano lontanissime, ma che in realtà siamo noi. Non immaginatevi la trama del libro Uccelli di rovo ma il rapporto che Don Ermete e Giovanna si fonderà sempre più in un’intimità profonda e per nulla scontata.

Una mia foto alla copertina del libro di ©Beppe del Greco con la collaborazione del fotografo ©Marco Delogu

La tragedia che avvolge tutti i personaggi è un terribile pluriomicidio: vengono ritrovate undici persone morte, uccise da undici cause diverse, avvenute contemporaneamente sotto un albero ghiacciato di un rosso vivo, pulsante e intriso di sangue. Un mistero che neppure il finale risolve. Gli abitanti di Borgo San Giuda si ritrovano al centro dell’attenzione mediatica. Semplici testimoni del male, tutti insieme scivolano nel silenzio e in quelli che sembrano disturbi post-traumatici. Forse la follia era già tra quegli sguardi disperati e soli, ma le cose peggioreranno pagina dopo pagina fino a che non si arrenderanno tutti al mistero dell’insesplicabilità e saranno solo così salvi.

Gli stessi protagonisti provano a salvare sé stessi anche quando la scienza e la ragione si arrendono di fronte a un sanguinoso e irrisolto orrore, che viene occultato dalle stesse autorità come strage terroristica. Potrebbe restare il dono della fede, ma anche questo può vacillare di fronte al cuore della vicenda. Don Ermete – che era stato risolutore di dispute, problemi della comunità, ne aveva sostenuto l’equilibrio con autorità – continua ad avere dubbi, a farsi domande senza trovare risposta, e ad attaccarsi alla speranza se non ad illusioni da preferirle alla verità perché un prete non pensa, ma crede.

Una reazione psicotica da negazione della realtà colpisce tutti. La psichiatra Giovanna Cassion, tentando di difendersi dal rischio di coinvolgimento della catena di tracolli nervosi, tentando di salvare gli abitanti del piccolo borgo senza sentirsi all’altezza, analizzando i vari abitanti ne trae un quadro da DSM (manuale americano diagnostico e statistico dei disturbi mentali):

«Ne ho avuti sotto gli occhi di malati, anche più gravi di lui, ma questa immagine che cancello chiudendo la porta, di lui che dondola il busto, in piedi al centro della misera stanza di cui è orgogliosamente proprietario, in questa misera casa, in questo misero borgo spazzato dai venti e accerchiato dalla follia, dove lui ha passato uno dopo l’altro tutti i giorni e le ore dei cinquantun anni che non dimostra, mi sembra la cosa più triste che abbia visto in vita mia» (2)

Sembrerebbe un thriller, ma non lo è. C’è una strage quasi paranormale, senza moventi e mezzi, senza una spiegazione oggettiva e logica. Ci troviamo di fronte alla incapacità di accettare una situazione così forte e terribile che sconvolge ogni logica e razionalità in un piccolo paesino del Trentino. Ci troviamo di fronte alle domande più significanti di una vita: come si può continuare a vivere una vita senza trovare nessuna risposta alle proprie domande? perché è capitato proprio a me?

Questo male che all’improvviso si rivela trova espressione nell’incessante nevicare, nel succedersi di bufere e tormente. Il male inspiegabile colpisce persino il cavallo che ha assistito al ritrovamento dei cadaveri:

«No, dovrei dire, i cavalli non possono piangere come gli esseri umani. Il pianto emozionale, dovrei dire, è una caratteristica esclusiva dell’uomo. Ha la funzione, dovrei dire, di smaltire gli eccessi di uno specifico ormone dello stress detto adrenocorticotropo. Inoltre, dovrei dire, serve a lenire gli stati di dolore fisico e mentale mediante l’enkefalina, oppioide endogeno dall’azione anestetica contenuto anch’esso nelle lacrime del pianto emozionale. All’esame, dovrei dire, il liquido lacrimale proveniente da tutti gli altri animali non contiene queste sostanze, così come non le contengono le lacrime umane causate da irritazione della cornea e non da uno stato emozionale. No, dovrei dire, i cavalli non possono piangere» (3)

Sandro Veronesi

Il romanzo è diviso in tre parti: prima l’accadimento dell’evento che provoca delle conseguenze, i cocci che si infrangono; poi una serie di reazioni stravaganti che investono gli abitanti di Borgo San Giuda a cui sia il prete che la dottoressa provano a porre rimedio; infine la terza e ultima parte, la più affascinante, si prende atto di ciò che è successo e si prova a lasciarselo alle spalle. In questa parte ci troviamo in un dialogo che incolla il lettore e che fa nascere tantissime domande. La trama è ricchissima e mette in relazione tutti i personaggi caratterizzati con grande maestria. Veronesi ha concepito questo romanzo non sul male ma sull’accettazione, sulla salvezza dalla follia, sulla metaforizzazione della morte e anche sulla non salvezza. 

«E poi non è mica detto che si debba sempre capire tutto. L’indeterminatezza non può essere solo motivo di frustrazione: se così fosse sarebbe un bel guaio, dato che la maggior parte delle cose che ci governano sono indeterminate. Sei troppo negativa, Giovanna. Abbiamo davanti un mistero enorme, come possiamo pretendere di scioglierlo? Accontentiamoci di osservarlo…» (4)

Consiglio la lettura perché è davvero un libro originale nello stile e nella trama fino a teletrasportare il lettore all’interno delle oltre 400 pagine. Un susseguirsi di domande tiene attaccati alla trama del libro che letto oggi, in un mondo ancora più assurdo e a distanza di 10 anni, ha un altro sapore. La strage di San Giuda, i problemi piombati addosso, il male che porta all’accettazione del male stesso in un percorso mai facile. Finiamo per capire che se si osserva solo ciò che si comprende allora si esiste solo in ciò che si comprende. Ma non è solo questo a caratterizzarci come esseri umani nella vita. Per farvi tante domande senza risposte, leggete questo libro perché vi incuriosirà fino all’ultima pagina.

Note

L’immagine di copertina è tratta dal booktrailer del libro realizzato da Federico Mauro per La Nave di Teseo (fonte: YouTube)

(1) Citazione dell’autore nella quarta di copertina

(2) Sandro Veronesi, XY, La Nave di Teseo, 2020, pag. 190

(3) Ivi, pagg. 196-197

(4) Ivi, pag. 352

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