In difesa delle sacre immagini – Un viaggio alla scoperta della scuola riminese del ’300

In molti conoscono Rimini per i locali e le sue spiagge. Ad apprezzarne la storia sono invece pochi, ancor meno coloro che riescono a valorizzarla. Tra questi c’è il regista Davide Montecchi, già acclamato autore del thriller In a Lonely Place, che stavolta si cimenta in un genere a lui nuovo: il documentario.

in-difesa-delle-sacre-immaginiIn difesa delle sacre immagini, come rivela appunto il titolo, è un omaggio alla pittura di devozione. Già Giovanni Damasceno, nell’omonimo trattato risalente al VII secolo, si era schierato contro l’iconoclastia allora in voga, che vietava la riproduzione di icone che non fossero astratte. La questione fu oggetto di numerosi dibattiti, spesso molto violenti, e si concluse con la sconfitta del fronte iconoclasta. È dunque grazie a tali battaglie che è oggi possibile ammirare opere di maestri come Giotto e Cimabue e, non ultimi, i capolavori della scuola riminese del Trecento. Proprio ad essa – e in particolare al lavoro di Pietro, Giovanni e Giuliano da Rimini – è dedicato questo percorso iconografico, che si addentra nell’entroterra riminese ed approda sulle colline che sovrastano la riviera. Si parte così da Talamello, piccolo paesino dell’Alta Valmarecchia, dove è conservato un crocifisso attribuito appunto a Giovanni. Di quest’opera, che coniuga l’ascetismo bizantino alla naturalezza di matrice giottesca, parlava spesso il nonno del regista, Domenico, che proprio in quelle terre aveva trascorso la sua infanzia.

Si innesca così una ricerca, storica e personale al contempo, che ci porta a ripercorrere le tracce di quegli stessi artisti, spesso sepolte da strati di oblio e, talvolta, letteralmente coperte dalle croste di un passato più recente. È questo il caso degli affreschi della chiesa di Sant’Agostino, opera della bottega di Giovanni da Rimini, venuti alla luce solo in seguito a un violento terremoto. Prima del 1916, infatti, non sarebbe stato possibile ammirare il ciclo dedicato a San Giovanni Evangelista, nel quale è visibile anche il profetico Crollo del tempio di Efeso. Il viaggio prosegue poi oltreconfine, da Mercatello sul Metauro fino a Urbania, dove a seconda della luce cambia anche il volto di Cristo.

giuliano_da_Rimini_700.1406106626Montecchi sembra volersi avvicinare sempre di più, illuminare quelle figure fino a svelarne il mistero. Eppure, nonostante l’impiego della tecnologia più avanzata, c’è qualcosa che sfugge al suo occhio, una resistenza che sfida la qualità della definizione. Ecco dunque che anche questo documentario, sulla scia dell’opera che lo precede, devia infine verso il noir apocalittico. È essenziale in questo senso il contributo di Enrico Zavatta, autore della colonna sonora, e della fotografa Melissa Cecchini, abilissima a riprodurre le atmosfere fumose di Ghirri ed Antonioni. Ed è proprio a Ravenna, set dell’insuperabile Deserto Rosso, che il regista si reca per consultare il professore Alessandro Volpe, non scoprendo però molto altro riguardo le vite di questi pittori.

giotto_riminiPersino Alessandro Giovanardi, profondo conoscitore delle opere di questi artisti, insiste sul loro essere perturbanti ma inaccessibili. Attraverso la luce Dio riesce però a rivelarsi, e sarà proprio l’ennesima teofania a dissipare i dubbi del regista. A Misano Adriatico, dove il crocifisso trecentesco era portato in processione fino agli inizi del Novecento, capiamo dunque la vera funzione di queste icone ormai in disuso: sono loro che in realtà ci osservano. Certo non è sbagliato venerarle, ma non in quanto reperti da museo. Sono simboli che vivono finché vivrà l’umanità. Ciò che talvolta ne rende ostica la fruizione non è pertanto il soggetto, che anzi rende umano anche il divino, ma l’approccio che riserviamo loro. In un’epoca dominata dalle immagini, come quella a noi contemporanea, l’unico modo per vedere qualcosa è prestarvi l’attenzione che merita. Non voler vedere tutto a tutti costi, ma consentire a queste forme di emergere dal buio.

07-5C’è riuscito il fotografo Nino Migliori presentando, in una mostra allestita a Rimini due anni fa (Lumen), una serie di scatti realizzati proprio a lume di candela. Grazie alla debole luce della fiamma, posta accanto ai bassorilievi del Tempio Malatestiano, è stato dunque possibile riscoprire quelle opere attraverso gli occhi di chi li aveva eseguite. Si tratta, ancora una volta, di una questione di prospettiva. Solo contestualizzando quelle immagini, calandole nell’immaginario da cui derivano e al quale appartengono, ci sarà possibile apprezzarne il valore universale. Prima dunque che scompaiano per sempre, dissolvendosi come accade in Roma o nel Satyricon di Fellini, è bene rispondere alle domande, esplicite e no, che scandiscono le sequenze finali.

Perché le immagini? Cosa significano oggi? E, soprattutto, per chi è tutta questa bellezza?

Photocredits: fondazioneninomigliori.org; www.bancavalconca.it; www.museicomunalirimini.it;
www.luoghigiottoitalia.it; www.cinemafulgorrimini.it.

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